REPUBBLICA ITALIANA
GAZZETTA UFFICIALE
DELLA REGIONE SICILIANA

PARTE PRIMA
PALERMO - VENERDÌ 14 GIUGNO 2002 - N. 27
SI PUBBLICA DI REGOLA IL VENERDI'

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SUPPLEMENTO ORDINARIO

SOMMARIO

LEGGI E DECRETI PRESIDENZIALI

ORDINANZA COMMISSARIALE 29 maggio 2002.
Piano per il settore dei centri di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione dei veicoli a motore e dei rimorchi       pag.


ORDINANZA COMMISSARIALE 29 maggio 2002.
Linee guida per la progettazione, la costruzione e la gestione degli impianti di compostaggio       pag. 12 


ORDINANZA COMMISSARIALE 29 maggio 2002.
Piano stralcio per il settore dei rifiuti inerti       pag. 33 




ORDINANZA COMMISSARIALE 29 maggio 2002.
Piano per il settore dei centri di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione dei veicoli a motore e dei rimorchi.
IL VICE COMMISSARIO DELEGATO PER L'EMERGENZA RIFIUTI E LA TUTELA DELLE ACQUE

Vista la legge 24 febbraio 1992, n. 225, di istituzione del servizio nazionale di protezione civile;
Visto in particolare l'art. 3, comma 1, della predetta legge n. 225/92, che individua, tra l'altro, quali attività di protezione civile quelle necessarie ed indifferibili dirette a superare l'emergenza connessa ad eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari;
Visto, inoltre, il successivo comma 5 del predetto art. 3 della legge n. 225/92, che prescrive che il superamento dell'emergenza consiste unicamente nell'attuazione, coordinata con gli organi istituzionali competenti, delle iniziative necessarie ed indilazionabili, volte a ri muo vere gli ostacoli alla ripresa delle normali condizioni di vita;
Visto, ancora, l'art. 5 della legge n. 225/92, e, in particolare, il comma 2, che prevede che, per l'attuazione degli interventi d'emergenza, conseguenti alla dichiarazione dello stato d'emergenza, si provvede anche a mezzo di ordinanze, in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico;
Vista l'ordinanza del Ministro dell'Interno, delegato per il coordinamento della Protezione civile, n. 2983 del 31 maggio 1999, modificata ed integrata con ordinanze n. 3048 del 31 marzo 2000, n. 3072 del 21 luglio 2000, n. 3136 del 25 maggio 2001 e n. 3190 del 22 marzo 2002 concernenti l'emergenza rifiuti in Sicilia;
Vista l'ordinanza del Commissario delegato, Presidente della Regione siciliana n. 641 del 23 luglio 2001, con la quale l'avv. Felice Crosta è stato nominato Vice Commissario, con le competenze afferenti il Commissario delegato e tutte le attribuzioni amministrativo-contabili scaturenti dall'attuazione delle predette ordinanze di protezione civile;
Visto l'art. 4, comma 32, dell'ordinanza del Ministro dell'Interno, delegato per il coordinamento della protezione civile, n. 3136 del 25 maggio 2001, che prevede la predisposizione e l'adozione, da parte del commissario delegato, di un piano per identificare e localizzare, in ciascun ambito ottimale, gli impianti per la messa in sicurezza, la demolizione e la rottamazione dei veicoli a motore;
Vista la riunione del 21 dicembre 2001 con le province, i comuni dell'Isola ed i rappresentanti delle associazioni di categoria, giusta convocazione prot. n. 13190 del 19 novembre 2001;
Visto lo schema di piano per il settore dei centri di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione dei veicoli a motore e dei rimorchi, predisposto dalla struttura di supporto della gestione commissariale;
Visto l'art. 4 dell'ordinanza n. 3072 del 21 luglio 2000, che prevede che il rilascio delle autorizzazioni concernenti gli impianti di smaltimento di rifiuti, di cui agli artt. 27 e 28 del decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1999, è sospeso fino alla predisposizione del piano di cui all'art. 22 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, ovvero di stralci del piano medesimo;
Ritenuto necessario e urgente approvare lo schema di piano per il settore dei centri di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione dei veicoli a motore e dei rimorchi, nelle more della predisposizione del piano regionale di gestione dei rifiuti;
Ordina


Art. 1

E' approvato il piano per il settore dei centri di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione dei veicoli a motore e dei rimorchi, nello schema predisposto dalla struttura di supporto della gestione commissariale, che viene allegato alla presente ordinanza per farne parte integrante.

Art. 2

La presente ordinanza sarà pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana.
Palermo, 29 maggio 2002.
  CROSTA 

Allegato
PIANO PER IL SETTORE DEI CENTRI DI RACCOLTA PER LA MESSA IN SICUREZZA, LA DEMOLIZIONE, IL RECUPERO DEI MATERIALI E LA ROTTAMAZIONE DEI VEICOLI A MOTORE E DEI RIMORCHI

INQUADRAMENTO NORMATIVO
Con l'emanazione del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, recante "Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio" (supplemento ordinario n. 33 alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 38 del 15 febbraio 1997), successivamente modificato ed integrato decreto legislativo 8 novembre 1997 n. 389; legge 24 aprile 1998, n. 128 in supplemento ordinario n. 88 alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 104 del 7 maggio 1998; legge 9 dicembre 1998, n. 426 in Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 291 del 14 dicembre 1998), si introduce un nuovo quadro di riferimento normativo, una vera e propria legge-quadro nel settore dei rifiuti.
Con l'art. 56 del citato decreto, sono state abrogate, infatti, le principali leggi che regolavano tale materia, quali tra l'altro il D.P.R. n. 915/82, la legge n. 441/87, la legge n. 475/88; tuttavia, il citato decreto troverà piena operatività, con l'emanazione di numerosi decreti attuativi (circa 70), di cui solo una minima parte già pubblicati e che andranno a sostituire le norme tecniche ancora vigenti in virtù del regime transitorio previsto dal citato decreto (art. 57).
Il decreto legislativo n. 22/97, classifica all'art. 7, comma 3, lettera l), come rifiuti speciali: "i veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti".
All'interno dei veicoli fuori uso sono presenti, solitamente, rifiuti classificati come pericolosi (allegato "D" del decreto legislativo n. 22/97), quali ad esempio oli minerali esausti, accumulatori al piombo, fluidi idraulici e refrigeranti ed altro.
A seguito della decisione 2000/532/CE, modificata successivamente dalla 2001/119/CE dall'1 gennaio 2002 è stato elaborato il codice CER 16 01 04 identificativo dei "veicoli fuori uso" e l'attribuzione di rifiuto pericoloso ai veicoli stessi.
Ai sensi dell'art. 46 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modifiche ed integrazioni (di seguito denominato decreto legislativo n. 22/97) il proprietario di un veicolo a motore o di un rimorchio che intende procedere alla demolizione dello stesso deve consegnarlo ad un centro di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione, autorizzato ai sensi degli artt. 27 e 28 del medesimo decreto. Tali centri di raccolta possono ricevere anche rifiuti costituiti da parti di veicoli a motore o di un rimorchio. Il proprietario di un veicolo a motore o di un rimorchio destinato alla demolizione può altresì consegnarlo ai concessionari o alle succursali delle case costruttrici per la consegna successiva ai suddetti centri di raccolta, qualora intenda cedere il predetto veicolo o rimorchio per acquistarne un altro. Pertanto ai sensi dell'art. 46, comma 5, del decreto legislativo n. 22/97, i soggetti autorizzati a provvedere alla radiazione dal pubblico registro automobilistico dei veicoli e dei rimorchi avviati alla demolizione sono il titolare del centro di raccolta, il concessionario e il titolare della succursale della casa costruttrice.
In Sicilia, le autorizzazioni venivano rilasciate dall'Assessorato regionale al territorio ed ambiente, contestualmente al nulla-osta all'impianto previsto dall'art. 5 della legge regionale 29 dicembre 1981, n. 181, seguendo l'iter approvativo sinteticamente di seguito illustrato:
-  acquisizione del progetto, redatto secondo il decreto Assessorato territorio ed ambiente del 30 dicembre 1999;
-  istruttoria tecnica da parte del servizio rifiuti;
-  parere del Comitato regionale tutela ambiente, per il rilascio del N.O. all'impianto ex art. 5 legge regionale n. 181/81;
-  conferenza di servizi tra tutti gli enti interessati, finalizzata all'approvazione del progetto ed alla realizzazione dell'impianto (ai sensi dell'art. 27 del decreto legislativo n. 22/97); in tale sede, qualora non preventivamente acquisito, il comune esprime il proprio parere. Tale parere anche nel caso in cui l'approvazione del progetto costituisca variante allo strumento urbanistico vigente, sarà reso dal sindaco in qualità di organo di vertice del comune (vedasi decreto Assessorato territorio ed ambiente 30 dicembre 1999 in Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 8 del 25 febbraio 2000).
Con l'ordinanza del Presidente del consiglio dei ministri n. 2983 del 31 maggio 1999, il Presidente della Regione siciliana è stato nominato commissario delegato "per la predisposizione del piano di gestione dei rifiuti e delle bonifiche delle aree inquinate di cui all'art. 22 del decreto legislativo n. 22/97, per la predisposizione di un piano di interventi di emergenza per la gestione di rifiuti urbani nonché per la realizzazione degli interventi necessari per far fronte alla situazione di emergenza" nel settore dei rifiuti urbani.
Con successive ordinanze n. 3048 del 31 marzo 2000 e 3072 del 21 luglio 2000, che integrano e modificano la precedente, la situazione di emergenza, determinatasi nella Regione siciliana per i rifiuti urbani, è stata estesa anche ai rifiuti speciali e pericolosi.
In particolare l'art. 4 dell'ordinanza 3072 del 21 luglio 2000, successivamente modificato dall'ordinanza n. 3136 del 25 maggio 2001 prevede che "il rilascio delle autorizzazioni concernenti gli impianti di smaltimento di rifiuti, di cui agli artt. 27 e 28 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, è sospeso fino alla predisposizione del piano di cui all'art. 22 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, ovvero di stralci del piano medesimo...". L'art. 9 del l'ordinanza n. 2983 del 31 maggio 1999 così come modificato dal l'art. 4, comma 16, dell'ordinanza n. 3136 del 25 maggio 2001 prevede che "il commissario delegato - Presidente della Regione siciliana, provvede all'approvazione dei progetti ed all'autorizzazione all'esercizio degli impianti di recupero e smaltimento ai sensi degli artt. 27 e 28 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, in deroga al procedimento amministrativo dagli stessi disciplinato, salva la competenza attribuita ai prefetti in materia di discariche. L'approvazione dei progetti da parte del commissario delegato sostituisce ad ogni effetto, visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali e costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico comunale e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori".
Inoltre, l'art. 4, comma 32, dell'ordinanza n. 3136/2001 ha previsto la predisposizione e l'adozione, da parte del commissario delegato, di un piano per identificare e localizzare, in ciascun ambito ottimale, gli impianti per la messa in sicurezza, la demolizione e la rottamazione dei veicoli a motore.
Tale settore, è stato oggetto, in sede comunitaria, della direttiva 2000/53/CEE del 18 settembre 2000. In tale proposta sono stabilite le percentuali della massa del veicolo da riutilizzare e riciclare ed i requisiti che i centri di rottamazione devono possedere per potere ottenere le autorizzazioni necessarie ad operare.
Gli Stati membri dovranno conformarsi alla direttiva entro il 21 aprile 2002, per tale ragione nella redazione del suddetto piano di settore, sono state inserite anche le indicazioni contenute nella stessa.
Da quanto prima esposto emergono le seguenti considera zioni:
-  il centro di raccolta si configura oggi come una piattaforma per un recupero multimateriale;
-  svolge a tutti gli effetti un servizio di pubblica utilità, in quanto dal 30 giugno 1998, il titolare del centro e competente a provvedere alla radiazione dal P.R.A. del veicolo consegnato.
Tale attività, infatti è incardinata in un circuito che vede a monte il settore della produzione pressato dalla necessità di ridisegnare veicoli "più riciclabili" e meno inquinanti, a valle un'attività di recupero di materiali consolidata (fonderie), obbligatoria (Cobat, consorzio oli esausti, ecc.), potenziale (pneumatici, imbottiture ed altro), estesa anche ad altre tipologie di rifiuti da "rottamazione", provenienti dal settore edile ed industriale (materiale ferroso da demolizioni e costruzioni, macchinari ed apparecchiature deteriorati ed obsoleti).
INTERVENTI REGIONALI
A seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 22/97, l'Assessorato regionale territorio ed ambiente, ha prodotto una serie di direttive con l'intento di:
-  ricondurre ad un unico regime autorizzatorio, quello del l'au torizzazione regionale, l'attività svolta dai centri di raccolta esistenti nel territorio dell'isola;
-  avviare, attraverso apposite schede allegate alle suddette direttive, una puntuale ricognizione sulla effettiva potenzialità dei centri;
-  fornire criteri gestionali, progettuali e di localizzazione dei centri, in armonia con le indicazioni che scaturiscono dalla normativa vigente;
-  definire un regime transitorio al fine di consentire alle attività esistenti una continuità di esercizio nelle more dell'adeguamento alla normativa.
DESCRIZIONE SITUAZIONE REGIONALE
All'atto dell'emanazione del decreto legislativo n. 22/97, la realtà regionale vede la gran parte dei centri di autodemolizione esistenti (circa il 90%), localizzati in aree non compatibili con le previsioni degli strumenti urbanistici vigenti e solo pochissimi comuni, sensibili al problema, attivi nell'aver avviato procedure tendenti a regolarizzarne la posizione sotto il profilo urbanistico.
Da una ricognizione, effettuata sulla base dei dati in possesso dell'Assessorato regionale territorio ed ambiente, confrontati con quelli acquisiti nella riunione tenutasi il 21 dicembre 2001 con tutti i comuni dell'isola e le provincie regionali, è stato possibile rilevare la seguente casistica:
-  impianti non conformi allo strumento urbanistico vigente ed alle previsioni delle varianti generali;
-  impianti conformi allo strumento urbanistico vigente, ma non conformi alle previsioni delle varianti generali allo stesso, adottate e non ancora approvate (regime di salvaguardia)
-  impianti conformi alle previsioni delle varianti generali, ma non conformi allo strumento urbanistico vigente;
-  impianti conformi allo strumento urbanistico vigente ed alle previsioni delle varianti generali.
A seguito delle direttive regionali impartite quasi tutti gli operatori hanno inoltrato vari progetti e/o integrato gli originari con l'ulteriore documentazione richiesta; alcuni hanno cessato l'attività, pochi altri, infine, ricadenti in aree urbanisticamente idonee o a seguito di parere positivo rilasciato dal comune, sono stati autorizzati ai sensi del decreto legislativo n. 22/97.
DATI DI RIFERIMENTO
Sono stati utilizzati i seguenti dati:
-  immatricolazioni, radiazioni e parco veicoli circolanti, divisi per provincia e per categorie principali, raggruppati per serie storiche dal 1980 al 2000 (fonte ACI);
-  composizione tipo di un'autovettura (fonte: FIAT auto S.p.A.);
-  superficie di un centro-tipo (fonte: A.R.T.A. servizio rifiuti);
-  centri di rottamazione esistenti (fonte: A.R.T.A. servizio ri fiuti - comuni dell'isola).
L'Italia annovera un parco macchine tra i più vecchi d'Europa, attestandosi ad una vita media di 14 anni rispetto ad una media europea di 12 anni.
Ai fini del presente studio, si è assunto come soglia temporale il 2000, in quanto dal 1997 al 1998, a seguito della politica degli incentivi statali alla rottamazione, si è verificata un'impennata rispetto al 2000 (con un incremento medio intorno al 100%), della quantità delle autovetture rottamate.
Pertanto in Sicilia risultano:
-  veicoli circolanti: 3.307.034 (dato riferito al 31 dicembre 2000);
-  veicoli immatricolati: 169.113 (dato riferito all'anno 2000);
-  veicoli radiati: 133.123 (dato riferito all'anno 2000).
Le radiazioni effettuate per qualsiasi causa, tranne che per l'esportazione, nel 2000 sono pari a 133.123 unità; tale dato è comprensivo della totalità delle categorie di veicoli prese a riferimento in cui l'elemento più rilevante è costituito dalle autovetture (oltre il 90%).
Sulla base del dato prima riportato e stimando un peso unitario di 800 kg. per autovettura media (peso della Fiat Uno), si arriva a determinare un peso complessivo di 107.000 tonn. In media un'automobile risulta così composta (Tab. 1):
Tab. 1
Materiali che compongono un'autovettura


Materiale      Percentuale 
Acciai e ghise      72,30 
Vetri      3,60 
Gomme      4,80 
Plastica      9,10 
Vernici - bitumi - protettivi      5,10 
Metalli pregiati      5,10 




La consistenza del parco veicolare siciliano dall'anno 1991 al 2000 (Tab. 2), ha avuto un incremento quasi costante nell'ordine del 4% annuo.
Tab. 2
Consistenza del parco veicolare nella regione Sicilia


ANNO      Consistenza 
1991      2.585.640 
1992      2.685.929 
1993      2.716.145 
1994      2.817.195 
1995      2.887.053 
1996      3.116.465 
1997      3.094.955 
1998      3.045.722 
1999      3.190.432 
2000      3.307.034 




Le immatricolazioni registrate nel 2000 rispetto a quelle del 1980 (Tab. 3), sono aumentate nelle provincie di Palermo (c.a. 25%), Messina (c.a. 25%) e Ragusa (c.a. 65%), sono invece diminuite nelle restanti provincie. Nel complesso in ambito regionale si registra un lieve aumento delle immatricolazioni (circa 2%).
I veicoli radiati negli anni 1997 e 1998 hanno raggiunto dei valori elevatissimi a causa degli incentivi statali sulla rottamazione, mentre è possibile notare un ritorno a valori normali negli anni 1999 e 2000 anche in raffronto agli anni 1993/94/95/96 (Tab. 4).
Per individuare il fabbisogno di superficie in ambito regionale da destinare all'autodemolizione, è stato preso come dato di riferimento quello relativo alle radiazioni avvenute nell'anno 2000, pari a 133.123 unità.








In Sicilia, dai dati in possesso dell'Assessorato regionale territorio ed ambiente arricchiti e confrontati con quelli forniti dai comuni nella riunione del 21 dicembre 2001, il numero degli impianti esistenti (autorizzati e non) si attesta a 193, ed in particolare:
-  nella provincia di Agrigento, gli impianti esistenti sono 19, di cui 2 operanti in forza di autorizzazione regionale rilasciata dal l'Assessorato regionale territorio ed ambiente (Tab. 5 e Tab. 6);
-  nella provincia di Caltanissetta, gli impianti esistenti sono 12, di cui 1 operante in forza di autorizzazione regionale rilasciata dall'Assessorato regionale territorio ed ambiente (Tab. 5 e Tab. 7);
-  nella provincia di Catania, gli impianti esistenti sono 59, di cui 5 operanti in forza di autorizzazione regionale rilasciata dal l'Assessorato regionale territorio ed ambiente (Tab. 5 e Tab. 8);
-  nella provincia di Enna, gli impianti esistenti sono 4, non sono state rilasciate autorizzazioni regionali ai sensi del decreto legislativo n. 22/97 (Tab. 1 e Tab. 9);
-  nella provincia di Messina, gli impianti esistenti sono 14, di cui 1 operante in forza di autorizzazione regionale rilasciata dal l'Assessorato regionale territorio ed ambiente (Tab. 5 e Tab. 10);
-  nella provincia di Palermo, gli impianti esistenti sono 50, di cui 5 operanti in forza di autorizzazione regionale rilasciata dal l'Assessorato regionale territorio ed ambiente (Tab. 5 e Tab. 11);
-  nella provincia di Ragusa, gli impianti esistenti sono 8, di cui 3 operanti in forza di autorizzazione regionale rilasciata dal l'Assessorato regionale territorio ed ambiente (Tab. 5 e Tab. 12);
-  nella provincia di Siracusa, gli impianti esistenti sono 15, non sono state rilasciate autorizzazioni regionali ai sensi del decreto legislativo n. 22/97 (Tab. 1 e Tab. 13);
-  nella provincia di Trapani, gli impianti esistenti sono 17, di cui 5 operanti in forza di autorizzazione regionale rilasciata dal l'Assessorato regionale territorio ed ambiente (Tab. 5 e Tab. 14);
Tab. 5
Impianti esistenti nella regione Sicilia suddivisi per provincia


Provincia      Numero 
Agrigento      19 
Caltanissetta      12 
Catania      59 
Enna     
Messina      14 
Palermo      50 
Ragusa     
Siracusa      15 
Trapani      17 









L'attività svolta dai centri di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione può essere suddivisa sinteticamente nelle seguenti fasi:
Fase A: Bonifica e messa in sicurezza
Operazione consistente nella separazione dagli autoveicoli dei rifiuti potenzialmente pericolosi come oli minerali esausti, carburanti, batterie, liquidi idraulici e refrigeranti, ecc.
Fase B: Recupero dei materiali di pregio
Operazione consistente nella separazione delle parti e dei componenti di pregio che possono essere immessi sul mercato dell'usato (pezzi di ricambio) e delle parti recuperabili, quali plastica, vetro e carcasse "pulite".
Fase C: Rottamazione
Operazione consistente nella movimentazione e nella riduzione volumetrica delle carcasse bonificate e successiva commercializzazione dei materiali ferrosi e di acciaio.
Fase D: Frantumazione
Operazione consistente nella frantumazione e preparazione del materiale ferroso per l'industria metallurgica.
Solitamente tutti i centri svolgono le operazioni relative alle fasi "A" e "B", mentre la fase "C" viene svolta da un numero minore di operatori, in quanto la maggioranza si avvale, per la riduzione volumetrica, di impianti mobili (presse ecologiche).
Per quanto riguarda la fase "D", non risulta che alcun centro sia attrezzato per la frantumazione.
Per quantificare la superficie da destinare all'attività di demolizione e rottamazione, nel presente piano, si è tenuto conto della difficoltà nel reperimento di aree e anche dell'importanza di avere dimensioni minime dei centri da prendere a riferimento ai fini del calcolo del fabbisogno impiantistico e di aree.
In base alle superiori considerazioni si è così giunti ad individuare quale impianto tipo quello che tratta 500 carcasse all'anno e per ciascuna area organizzativa si sono definiti dei parametri di superficie minima (Tab. 15).



Il calcolo delle superfici minime è stato effettuato sulla base di alcuni dati contenuti nel piano dei centri di rottamazione della Regione Piemonte ed in armonia con le direttive già emanate dall'Assessorato territorio ed ambiente della Regione siciliana.
Nel suddetto calcolo, si è fatto riferimento a tempi medi di due settimane di permanenza per i veicoli da trattare e di sei mesi per le carcasse già trattate.
Si sottolinea comunque che attualmente i tempi medi di permanenza, in molti casi, sono più elevati. Pertanto, visto che l'ottica in cui ci si deve porre è quella di trasformare questi centri in attrezzati e funzionali impianti di recupero, la tendenza deve essere quella di indirizzare gli operatori del settore a diminuire i tempi di giacenza.
Alla luce delle superiori considerazioni, appare congruo determinare l'estensione minima di un centro-tipo che tratta 500 veicoli l'anno in mq. 2500 (Tab. 14), pertanto l'area necessaria per ogni auto trattata all'anno è di 5 mq.
E' opportuno precisare che il suddetto valore è puramente indicativo, suscettibile di variazioni a seconda delle condizioni particolari o locali (ad es. più autocarri e/o autobus si ricevono maggiore sarà la superficie per ogni carcassa trattata), nonché delle dotazioni tecnologiche in possesso del centro.
Considerato che il numero di veicoli a motore dismessi in Sicilia nell'anno 2000 è pari a 133.123 unità, si determina in 665.615 mq. il fabbisogno di superficie da destinare all'autodemolizione.
Tale superficie, ripartita per ogni provincia dell'Isola evidenzia che nelle province di Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Siracusa e Trapani, il fabbisogno di superficie da destinare all'autodemolizione è teoricamente soddisfatto dai centri attualmente esistenti, per le altre province (Messina, Palermo e Ragusa) il fabbisogno di superficie da destinare all'autodemolizione risulta essere superiore rispetto alla superficie occupata dai centri di autodemolizione esistenti (Tab. 16).




LINEE E CRITERI DI PROGRAMMAZIONE REGIONALE
I centri di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione, deve tendere nel tempo a configurarsi quali centri per un recupero multimateriale.
E' necessario al riguardo promuovere iniziative (accordi, contratti, convenzioni) tra gli operatori del settore per ottimizzare il recupero di materiali selezionati durante l'intero ciclo del rifiuto, limitandone il più possibile l'avvio in discarica.
Le autorizzazioni, ai sensi del decreto legislativo n. 22/97, potranno essere rilasciate per quei centri che rispondono ai criteri di localizzazione, gestione e progettuali di seguito illustrati.

CRITERI DI LOCALIZZAZIONE DEI NUOVI IMPIANTI
Al fine di favorire il processo di razionalizzazione di tali attività nel territorio, i comuni sono obbligati ad individuare le aree per l'attività di autodemolizione, nelle zone destinate a insediamenti industriali e artigianali, o in ulteriori aree a specifica destinazione urbanistica (centro di rottamazione, servizi per il trattamento dei rifiuti, ecc.).
Ove non ricorrono le possibilità prima citate si potrà procedere in variante allo strumento urbanistico, previo assenso sul sito da parte dell'Amministrazione comunale, purché vengano rispettate le seguenti condizioni:
i siti non ricadano in:
-  aree con vincoli imposti da leggi statali e regionali, nonché dagli strumenti urbanistici, a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici ed ambientali;
-  aree esondabili, instabili, alluvionabili;
-  aree destinate a parco o zone di salvaguardia ambientale;
-  aree con vincoli imposti da norme statali e regionali per la difesa militare e la sicurezza interna;
-  aree con ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle stesse;
i siti ricadano in:
-  aree distanti almeno 100 metri dalle abitazioni, nel caso l'attività comprenda la presenza di presse o ulteriori attrezzature a tecnologia complessa; nel caso di strutture esistenti e già autorizzate che non rispettino tale criterio, dovranno essere adottate le cautele necessarie per evitare inquinamento acustico.
-  zone site a distanza non inferiore a 200 metri dagli impianti di captazione idropotabile ad uso pubblico.
-  aree facilmente servibili dalla rete viaria di scorrimento urbano e di facile accessibilità anche da parte di automezzi pe santi.
LOCALIZZAZIONE DEGLI IMPIANTI ESISTENTI
Gli impianti esistenti che risultano localizzati in siti che ricadono in:
-  aree con vincoli imposti da leggi statali e regionali, nonché dagli strumenti urbanistici, a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici ed ambientali;
-  aree esondabili, instabili, alluvionabili;
-  aree destinate a parco o zone di salvaguardia ambientale;
-  aree con vincoli imposti da norme statali e regionali per la difesa militare e la sicurezza interna;
-  aree con ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle stesse
dovranno essere delocalizzati in altri siti che abbiano le caratteristiche richieste dal presente piano per i nuovi impianti, nel l'os ser vanza delle procedure richieste.
I comuni avviano ogni iniziativa utile al fine di favorire la rilocalizzazione dei centri che insistono in aree non idonee, soggette a vincoli assoluti, o che risultino nocivi e/o molesti, individuando forme di agevolazione specifica in considerazione del fatto che tali attività sono considerate di pubblico interesse.
I siti potranno essere individuati dai comuni possibilmente in:
-  aree distanti almeno 100 metri dalle abitazioni, nel caso l'attività comprenda la presenza di presse o ulteriori attrezzature a tecnologia complessa; nel caso di strutture esistenti e già autorizzate che non rispettino tale criterio, dovranno essere adottate le cautele necessarie per evitare inquinamento acustico.
-  zone site a distanza non inferiore ai 200 metri dagli impianti di captazione idropotabile ad uso pubblico;
-  aree facilmente servibili dalla rete viaria di scorrimento urbano e di facile accessibilità anche da parte di automezzi pe santi;
e non dovranno ricadere in:
-  aree con vincoli imposti da leggi statali e regionali, nonché dagli strumenti urbanistici, a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici ed ambientali;
-  aree esondabili, instabili, alluvionabili;
-  aree destinate a parco o zone di salvaguardia ambientale;
-  aree con vincoli imposti da norme statali e regionali per la difesa militare e la sicurezza interna;
-  aree con ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle stesse.
CRITERI DI PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DEI CENTRI DI ROTTAMAZIONE
1.  Criteri tecnico-progettuali
Progettazione del centro
Ai fini dell'approvazione del progetto e degli elaborati tecnici si dovrà tenere conto dei seguenti criteri e suddivisione in settori:
-  settore per il deposito dei veicoli e dei rimorchi in entrata;
-  settore per le operazioni di messa in sicurezza e smontaggio dei veicoli e dei rimorchi;
-  settore per il deposito dei veicoli e dei rimorchi bonificati;
-  settore per il deposito delle parti di ricambio commer ciabili;
-  settore per il deposito dei rifiuti solidi destinati alle operazioni di recupero;
-  settore per il deposito dei rifiuti solidi destinati allo smaltimento;
-  settore per il deposito dei rifiuti liquidi estratti dai veicoli (olio cambio, olio motore, liquidi idraulici e refrigeranti, acidi di batteria, ecc.).
Il centro, inoltre, deve:
-  essere dotato di parcheggio interno, di percorsi obbligati per l'accesso al pubblico, di adeguata viabilità interna per un'agevole movimentazione dei materiali e per consentire il passaggio dei mezzi di soccorso in caso di incidente;
-  essere prevista una zona servizi comprendente anche un deposito per le sostanze da usare per l'assorbimento dei liquidi in caso di sversamenti accidentali;
-  essere dotato di presidi di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, nonché di idoneo impianto antincendio, nel rispetto delle rispettive normative di settore;
-  essere dotato di impianto di convogliamento delle acque piovane verso pozzetti di raccolta muniti di separatori per oli, adeguatamente dimensionati, e scarichi idrici conformi alla normativa vigente (allacciamento, ove possibile, in pubblica fognatura o predisposizione di idoneo impianto di trattamento prima dello scarico). In particolare devono essere adottati tutti gli accorgimenti atti ad impedire che le acque meteoriche e di lavaggio delle superfici del centro di raccolta, quali pavimenti, cortili, piazzali e qualsiasi area interna od esterna agli insediamenti, possano dilavare residui di processo o di lavorazione;
-  essere previsto l'allacciamento (elettrico, telefonico, ecc.) in conformità alle disposizioni vigenti;
-  essere opportunamente recintato (altezza recinzione min. 2 ml.) e dotato di cancelli da chiudersi durante le ore notturne o in assenza di personale;
-  essere prevista idonea schermatura perimetrale con siepi ed alberature atte a minimizzare l'impatto visivo dell'impianto e la rumorosità verso l'esterno. Per ciò che attiene al rumore in ambiente esterno si rinvia a quanto stabilito dalla legge 26 ottobre 1995, n. 447, recante "legge quadro sull'inquinamento acustico".
Settore per il deposito dei veicoli e dei rimorchi in entrata
In questo settore vengono collocati i veicoli e i rimorchi in arrivo al centro, in attesa di essere sottoposti alla operazioni di bonifica e messa in sicurezza. I veicoli e i rimorchi devono essere collocati in posizione di marcia, non accatastati.
La pavimentazione deve essere adeguatamente impermeabilizzata mediante trattamento superficiale di indurimento del cemento o ciclo di verniciatura con prodotti resisitenti agli oli minerali, agli acidi ed alle altre sostanze liquide contenute nei veicoli. La pavimentazione deve possedere inoltre una pendenza tale da convogliare gli eventuali colaticci verso un idoneo sistema di drenaggio che garantisca il deflusso degli stessi verso i pozzetti di raccolta muniti di separatori per gli oli.
I veicoli e i rimorchi devono sostare in questo settore solo per il tempo strettamente necessario alla loro cancellazione dal Pubblico registro automobilistico (P.R.A.), ai sensi dell'art. 46, comma 5, del decreto legislativo n. 22 del 1997, e comunque tenendo conto dello stato di conservazione degli stessi.
I veicoli e i rimorchi, salvo quelli soggetti a particolari disposizioni della autorità giudiziaria o amministrativa, nel qual caso comunque il sito del relativo stoccaggio dovrà possedere caratteristiche analoghe a quelle previste per il settore di deposito dei veicoli e dei rimorchi in entrata, non possono essere detenute presso l'impianto per un periodo di tempo superiore a 180 giorni dalla data del conferimento.
Settore per le operazioni di messa in sicurezza e smontaggio dei veicoli e dei rimorchi
In detto settore i veicoli e i rimorchi devono essere sottoposti alle operazioni di messa in sicurezza e di rimozione delle parti di ricambio nonché dei rifiuti recuperabili e non recuperabili. La messa in sicurezza comporta l'asportazione degli elementi ambientalmente critici presenti in un'autovettura, quali: il combustibile, la batteria, gli oli contenuti nel motore, nelle sospensioni idrauliche, nel l'idroguida, ecc., il liquido dei freni, il liquido refrigerante, i CFC e HFC (clorofluorocarburi e idrofluorocarburi) dei condizionatori, ecc.
Tutti i rifiuti allo stato liquido rimossi dai veicoli e dai rimorchi devono essere depositati in appositi contenitori in modo da non determinare alcun tipo di percolazione, per il successivo smaltimento e/o recupero a norme di legge. E' vietato l'incenerimento di qualsiasi sostanza o rifiuto.
Il settore di trattamento deve presentare i medesimi requisiti del settore di conferimento; l'area deve inoltre essere dotata di apposita copertura provvista di pluviali per l'intercettazione delle acque meteoriche. All'interno del settore, o nelle sue immediate vicinanze, deve essere previsto un deposito di sostanze da utilizzare per l'assorbimento dei liquidi in caso di sversamento accidentale.
Settore per il deposito dei veicoli e dei rimorchi bonificati
La pavimentazione dell'area di deposito delle carcasse deve essere protetta mediante selciato ghiaioso dotato di rete di scolo per le acque piovane.
Qualora nel settore vengano depositate carcasse che possono dar luogo a percolazioni, la pavimentazione dovrà essere adeguatamente impermeabilizzata e presentare i medesimi requisiti dei settori di conferimento e di trattamento dei veicoli.
Le carcasse possono essere accatastate, ma non devono superare l'altezza della recinzione.
Settore per il deposito delle parti di ricambio commerciabili
Come previsto dall'art. 46, commi 7 e 8, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, è consentito il commercio delle parti di ricambio recuperate dalla demolizione dei veicoli a motore ad esclusione di quelle che abbiano attinenza con la sicurezza dei veicoli. Con apposito decreto emanato ai sensi dell'art. 46, comma 10, del decreto legislativo n. 22 del 1997, verranno individuate le suddette parti di ricambio attinenti alla sicurezza che potranno essere cedute esclusivamente agli iscritti alle imprese esercenti attività di autoriparazione, di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 122.
L'intero settore deve essere in ogni caso pavimentato. Qualora nel settore vengano depositate parti di ricambio che possono comportare l'emissione di colaticci (es. motori, differenziali, sospensioni idrauliche, ecc.), la pavimentazione dovrà essere adeguatamente impermeabilizzata e presentare i medesimi requisiti dei settori di conferimento e di trattamento dei veicoli.
Al fine di prevenire il deterioramento della componentistica e di comprometterne quindi il futuro riutilizzo, l'area adibita al deposito delle parti di ricambio dovrebbe essere di norma coperta.
Settore per il deposito dei rifiuti destinati alle operazioni di recupero e settore per il deposito dei rifiuti solidi destinati allo smaltimento
I settori devono essere chiaramente delimitati sul posto al fine di consentire la loro immediata individuazione. Il settore dei rifiuti recuperabili deve essere separato dal settore dei rifiuti destinati allo smaltimento. I rifiuti codificati con codice CER diverso, ancorché stoccati all'interno di un unico settore, devono essere depositati in modo differenziato. Se il deposito avviene in cumuli, questi dovranno essere realizzati su basamenti pavimentati o, qualora sia richiesto dalle caratteristiche dei rifiuti, su basamenti impermeabili che permettano la separazione dei rifiuti dal suolo sottostante.
E' consentito l'utilizzo di contenitori mobili del tipo scarrabile (container), purché adibiti a contenere rifiuti codificati con lo stesso codice CER. Il contenitore deve essere mantenuto nell'area individuata nella documentazione di progetto.
Devono essere adottati tutti gli accorgimenti atti ad impedire che le acque meteoriche possano dilavare i rifiuti in deposito, prevedendo, se del caso, la copertura dei settori.
Settore per il deposito dei rifiuti liquidi estratti dai veicoli
Il settore deve presentare i medesimi requisiti tecnici del settore di trattamento dei veicoli e dei rimorchi, vale a dire l'impermeabilizzazione della pavimentazione e la copertura dell'area.
All'interno del settore, o nelle sue immediate vicinanze, deve essere previsto un deposito di sostanze da utilizzare per l'assorbimento dei liquidi in caso di sversamento accidentale.
In detto settore deve essere prevista una serie di serbatoi per la raccolta dei liquidi estratti dai veicoli (combustibili inutilizzabili, olio cambio, olio motore, liquidi idraulici e refrigeranti, acidi di batteria, ecc.).
Le diverse tipologie di rifiuti devono essere depositate separatamente e per classi omogenee.
Lo stoccaggio dei rifiuti CFC e degli HFC deve avvenire in appositi contenitori (bombole di varia capienza) protetti dai raggi solari ed in grado di garantire la corretta conservazione dei rifiuti.
Si precisa altresì:
-  se lo stoccaggio di liquidi pericolosi avviene in più serbatoi fuori terra, questi devono essere dotati di un bacino di contenimento di capacità eguale alla terza parte di quella complessiva effettiva degli stessi e, in ogni caso, il bacino deve essere di capacità pari a quella del più grande dei serbatoi;
-  i serbatoi contenenti rifiuti liquidi devono essere provvisti di opportuni dispositivi antitraboccamento; qualora questi ultimi siano costituiti da una tubazione di troppo pieno, il relativo scarico deve essere convogliato in modo da non costituire pericolo per gli addetti e per l'ambiente;
-  i recipienti mobili devono essere provvisti di:
-  idonee chiusure per impedire la fuoriuscita del contenuto;
-  accessori e dispositivi atti ad effettuare in condizioni di sicurezza le operazioni di riempimento e svuotamento;
-  mezzi di presa per rendere sicure ed agevoli le operazioni di movimentazione;
-  allo scopo di rendere nota, durante lo stoccaggio provvisorio, la natura e al pericolosità dei rifiuti, i recipienti, fissi e mobili, devono essere opportunamente contrassegnati con etichette o targhe, apposte sui recipienti stessi o collocate nelle aree di stoccaggio; detti contrassegni devono essere ben visibili per dimensioni e collocazione.
L'impianto di stoccaggio degli oli minerali usati in quantità superiore a 500 litri, dovrà essere realizzato in conformità alle prescrizioni tecniche indicate nell'allegato C al decreto ministeriale 16 maggio 1996, n. 392 (regolamento recante norme tecniche relative alla eliminazione degli olii usati).
2.  Criteri gestionali
Certificato di rottamazione
A far data 2 marzo 1997, il proprietario di un veicolo a motore o di un rimorchio che intenda procedere alla demolizione dello stesso deve consegnarlo ad un centro di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione, autorizzato ai sensi degli artt. 27 e 28 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22. Tali centri possono ricevere anche rifiuti costituiti da parti di veicoli a motore.
Alla consegna del veicolo il titolare del centro dovrà rilasciare al suo proprietario un certificato di rottamazione, così come previsto anche dalle direttive 2000/53/CE del 18/09/2000 e 2002/518/CE del 19 febbraio 2002, dal quale deve risultare la data della consegna, gli estremi dell'autorizzazione del centro, le generalità del proprietario e gli estremi di identificazione del veicolo, nonché l'assunzione da parte del gestore del centro stesso dell'impegno a provvedere direttamente alle pratiche di cancellazione dal Pubblico registro automobilistico (P.R.A.).
Cancellazione dal P.R.A.
Dal 30 giugno 1998 la cancellazione dal Pubblico registro automobilistico (P.R.A.) dei veicoli e dei rimorchi avviati a demolizione avviene esclusivamente a cura del titolare del centro di raccolta senza oneri di agenzia a carico del proprietario del veicolo o del rimorchio. A tal fine, entro 60 giorni dalla consegna del veicolo o del rimorchio da parte del proprietario, il titolare del centro di raccolta deve comunicare l'avvenuta consegna per la demolizione del veicolo e consegnare il certificato di proprietà, la carta di circolazione e le targhe al competente ufficio del P.R.A. che provvede ai sensi e per gli effetti dell'art. 103, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (nuovo codice della strada).
Ai sensi dell'art. 46, comma 6-bis, del decreto legislativo n. 22 del 1997, i gestori di centri di raccolta, i concessionari e i gestori delle succursali delle case costruttrici di cui ai commi 1 e 2 non possono alienare, smontare o distruggere i veicoli a motore e i rimorchi da avviare allo smontaggio ed alla successiva riduzione in rottami senza aver prima adempiuto ai compiti di cui al comma 5, dell'art. 46, del decreto legislativo n. 22 del 1997, poc'anzi richiamati.
Recupero dei rifiuti
I veicoli e i rimorchi, prima di essere avviati alla demolizione, devono essere sottoposti, per quanto è possibile, ad un trattamento di smontaggio della componentistica, finalizzato al raggruppamento in frazioni merceologicamente omogenee dei materiali recuperabili non soggetti a commercio come parti di ricambio (es. plastica, vetro, pneumatici logori, ecc.).
I suddetti materiali devono essere gestiti come rifiuti, pertanto dovranno essere attivate tutte le procedure amministrative e tecniche previste dalla normativa specifica (registri di carico/scarico, denuncia annuale, formulari di identificazione, ecc.).
Nella gestione dei veicoli a motore, rimorchi, simili e loro parti, si ribadisce la necessità di adottare i seguenti accorgimenti:
-  presenza di adeguati dispositivi di estinzione degli incendi;
-  l'impianto deve essere gestito e mantenuto in modo che vengano costantemente rispettate le prescrizioni previste da altre norme regolamentari necessarie per lo svolgimento dell'attività;
-  durante il deposito, prima del pretrattamento, i veicoli a motore, rimorchi, ecc. non devono essere adagiati sul fianco o sul tetto, per evitare la fuoriuscita di liquidi che, potrebbero inquinare le acque ed il terreno;
-  i veicoli a motore, rimorchi, ecc. prima del pretrattamento possono essere depositati solo nell'apposito settore;
-  dovrà essere rispettato il divieto di procedere alla combustione dei pneumatici, delle parti in plastica, dei fili elettrici, ecc.
-  i fluidi refrigeranti contenuti nei condizionatori, quali CFC e HCF, devono essere asportati. Lo stoccaggio deve avvenire in appositi contenitori (bombole o bomboloni) protetti dai raggi solari ed in grado di garantire la corretta conservazione dei rifiuti. I contenitori devono essere sottoposti a periodica manutenzione ed al fine di garantire il recupero dei gas aspirati non è consentito miscelarli in un unico contenitore. L'estrazione deve avvenire a mezzo dispositivi aspiranti operanti in circuito chiuso in modo da assicurare che non ci sia alcun rilascio nell'atmosfera, conformemente a quanto previsto all'art. 6, della legge n. 549/93. Detti dispositivi devono consentire la completa aspirazione dei fluidi.
-  gli air-bag a centralina meccanica vanno smontati previo disarmo dei dispositivi di detonazione. Tali dispositivi vanno inviati a centri specializzati; i dispositivi di detonazione degli air-bag e dei pretensionatori a centralina elettronica devono essere fatti brillare direttamente sull'autovettura adottando le necessarie precauzioni per garantire la sicurezza degli operatori.
3.  Adempimenti amministrativi
Istanza di autorizzazione
In base all'art. 46, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, le imprese che intendono svolgere l'attività di centro di raccolta per la messa in sicurezza, il recupero dei materiali e la rottamazione di veicoli a motore e rimorchi devono essere autorizzate ai sensi degli artt. 27 e 28 del decreto legislativo medesimo, nonché, a seguito della classificazione del veicolo fuori uso quale rifiuto pericoloso, alle procedure di valutazione di impatto ambientale regionale.
Pertanto gli interessati dovranno ai fini della valutazione di impatto ambientale rivolgere regolare richiesta all'Assessorato regionale territorio ed ambiente e, nel perdurare dello stato di emergenza, rivolgere l'istanza di autorizzazione ai sensi degli artt. 27 e 28 del decreto legislativo n. 22/97 all'ufficio del commissario delegato per l'emergenza rifiuti e per la tutela delle acque in Sicilia, allegando alla stessa la sottoelencata documentazione:
-  certificato di iscrizione alla Camera di commercio;
-  copia autenticata del titolo di studio del direttore tecnico;
-  certificato del casellario giudiziale e certificato dei carichi pendenti, rilasciati dalla Procura della Repubblica competente e dalla Pretura, relativi al direttore tecnico responsabile, ovvero autocertificazione;
-  certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti rilasciato dalla Procura della Repubblica competente, ovvero autocertificazione, per:
a)  titolare della ditta, se trattasi di ditta individuale;
b)  ciascuno dei soci, se trattasi di s.n.c.;
c)  ciascuno dei soci accomandatari, se trattasi di s.a.s.;
d)  ciascuno degli amministratori o componenti il consiglio di amministrazione, se trattasi di S.p.A., s.r.l., società in accomandita per azioni o cooperativa. In presenza di amministratore unico, i certificati dovranno essere presentati solo per questo, ovvero per tutti gli amministratori che risultino autorizzati a rappresentare legalmente la società;
-  dichiarazione di accettazione dell'incarico da parte del direttore tecnico;
-  dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, resa ai sensi dell'art. 4 della legge n. 15 del 4 gennaio 1968 attestante l'obbligo da parte del richiedente di:
a)  assicurare la regolare tenuta dei registri di carico e scarico di cui all'art. 12 del decreto legislativo n. 22/97;
b)  assicurare che le batterie, gli oli usati, i carburanti, i liquidi di frenatura ed altri liquidi idraulici vengano consegnati ad idonei impianti di recupero e/o di smaltimento;
c)  assicurare la tempestiva comunicazione di ogni eventuale variazione del nominativo del direttore tecnico;
d)  assicurare l'adeguamento alle norme tecniche relative alle caratteristiche degli impianti ed alle operazioni di messa in sicurezza di cui al comma 10 dell'art. 46 del decreto legislativo n. 22/97, entro 60 giorni dalla loro emanazione;
e)  assicurare il rispetto delle disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, di igiene pubblica e pubblica sicurezza;
-  titolo attestante la disponibilità esclusiva dell'area soggetta ad autorizzazione all'impianto;
-  certificato di destinazione urbanistica, rilasciato dal comune ai sensi dell'art. 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, con allegato lo stralcio dello strumento urbanistico, attestante la conformità del centro allo strumento urbanistico vigente, in caso contrario assenso sul sito rilasciato dall'amministrazione comunale;
-  relazione tecnica che illustri:
a)  descrizione del centro di rottamazione, delle attrezzature e degli impianti esistenti e/o da realizzare con particolare riguardo alle aree di stoccaggio degli oli esausti e delle batterie, al tipo ed altezza della recinzione ed ai quantitativi stoccati, distinti per tipologia;
b)  descrizione dell'ubicazione del centro in rapporto all'assetto urbano ed alla viabilità;
c)  descrizione delle modalità di gestione, con particolare riguardo alle opere di protezione del suolo nelle aree di stoccaggio degli oli esausti e delle batterie ed alla disposizione delle carcasse d'auto, indicando le potenzialità massime di stoccaggio nell'impianto, distinte per tipologia ed espresse in metri cubi;
d) descrizione dei sistemi di tutela ambientale nelle varie matrici (acque, suolo, ecc.);
e)  indicazione di eventuali vincoli presenti (paesaggistici, monumentali, etc.);
f)  descrizione dettagliata dei vari settori costituenti l'im pianto;
g)  descrizione dettagliata dell'impianto di trattamento acque;
-  corografia - scala 1:25.000 o 1:10.000 - con l'indicazione dell'area dell'impianto, delle zone soggette a protezione e/o vincolo e delle edificazioni esistenti;
-  stralcio dello strumento urbanistico del comune, esteso per un raggio di m. 500 dal sito del centro, con la specifica delle destinazioni d'uso;
-  estratto di mappa catastale con l'indicazione delle particelle interessate;
-  planimetrie, in scala opportuna, dell'area interessata allo stoccaggio con l'ubicazione e l'estensione dei vari settori, degli edifici, della recinzione, etc.;
-  elaborati esecutivi, in scala opportuna, relativi a tutte le opere che si intendono realizzare, con particolare riferimento alle opere per la salvaguardia dell'ambiente;
-  documentazione fotografica del centro e della zona circostante, effettuata da diverse angolazioni, allegata ad una planimetria con l'indicazione dei punti di ripresa e delle direzioni inquadrate;
-  studio geologico di massima che rappresenti, su planimetria in scala 1:10000, le caratteristiche litologiche, morfologiche ed idrogeologiche dell'area estesa per il raggio di 1 km dal sito del l'im pianto;
-  elaborati e documentazione prevista dalle legislazioni vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, di igiene pubblica allegando la copia della comunicazione inviata all'Azienda unità sanitaria locale - Medicina del lavoro relativa al nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione infortuni;
-  elaborati e documentazione prevista dalle legislazioni vigenti in materia di emissioni sonore redatta ai sensi della legge n. 447 del 26 ottobre 1995 e successive modifiche ed integrazioni.
-  planimetrie in scala opportuna raffiguranti il tragitto idropotabile e la riserva idrica, nonché il tragitto fognario sia delle acque provenienti dai servizi igienici che di quelle provenienti dall'attività, rappresentando anche il sistema di separazione olio/acqua ed i relativi allacci al sistema di smaltimento;
-  planimetria in scala adeguata dei locali servizio igienico con relative specifiche (w.c., antibagno, doccia, spogliatoio, ecc.);
-  autorizzazione allo scarico;
-  copia di eventuale parere igienico-sanitario rilasciato dal l'Azienda unità sanitaria locale (per i centri esistenti);
-  agibilità o concessione edilizia anche in sanatoria ovvero relative richieste (per i centri esistenti);
-  dichiarazione a firma del progettista e/o del geologo che attesti il rispetto della fascia dei 200 mt. di intorno libero da punti di captazione di acque usate a scopo idropotabile per uso pubblico; nel caso in cui dalla relazione geologica si evinca l'esistenza di falde acquifere, occorre precisare se queste hanno uno sfruttamento idropotabile a valle dell'impianto;
-  piano di gestione;
-  relazione tecnica-ambientale che descriva le modalità di bonifica e recupero ambientale post-chiusura;
-  scheda dati riassuntiva integrata dei codici C.E.R. di cui alla decisione CEE 2000/532, secondo le indicazioni fornite con la direttiva del Ministero dell'ambiente 9 aprile 2002 (Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 108 del 10 maggio 2002, supplemento ordinario n. 102).
Bonifica e recupero ambientale
Il soggetto autorizzato dovrà provvedere alla bonifica finale del l'area in caso di chiusura dell'attività autorizzata. Il recupero del l'area ove insiste l'impianto dovrà essere effettuato in accordo con le previsioni dello strumento urbanistico vigente.
Le modalità esecutive del recupero ambientale devono essere attuate, fermi restando gli obblighi derivanti dalle vigenti normative in materia, previo nulla-osta della Provincia territorialmente competente, a cui è demandato il controllo dell'avvenuto ripristino am bientale, da certificarsi al fine del successivo svincolo della garanzia fidejussoria. Tali modalità devono comunque prevedere:
-  il conferimento dei residui di materiali a ditte del settore autorizzate;
-  il conferimento dei residui di rifiuti liquidi speciali e speciali pericolosi ad impianti autorizzati;
-  la bonifica dei contenitori previo lavaggio con appositi prodotti detergenti;
-  la pulizia dei luoghi oggetto di stoccaggio e lavorazione dei vari materiali;
-  la pulizia e la bonifica di tutte le strutture mobili ed immobili dell'impianto;
-  lo smaltimento dei materiali di risulta dalla pulizia e/o bonifica, quali rifiuti non pericolosi e/o pericolosi, presso idonei impianti autorizzati.
Iscrizione all'albo delle imprese
In base all'art. 30, comma 4, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, le imprese che svolgono attività di gestione di impianti di smaltimento o di recupero di titolarità di terzi, devono essere preventivamente iscritte all'albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti, vale a dire presso la sezione istituita in seno alla Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Palermo. L'iscrizione non è invece necessaria nel caso di gestione di impianti in conto proprio.
E' altresì prevista l'iscrizione all'albo nel caso di imprese che svolgono attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi, nonché di raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi (sia propri che prodotti da terzi), con esclusione dei trasporti di rifiuti pericolosi effettuati dal produttore dei rifiuti stessi fino ad un quantitativo di trenta chilogrammi al giorno o di 30 litri al giorno.
Comunicazione annuale (MUD)
Ai sensi dell'art. 11, comma 3, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, il soggetto autorizzato alla gestione del centro di raccol ta è tenuto a comunicare entro il 30 aprile di ogni anno, alla Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura, la quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti smaltiti nell'anno solare precedente, utilizzando il modello unico di dichiarazione (M.U.D.) conforme alla normativa vigente. In proposito si ricorda che, ai sensi dell'art. 52, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, chiunque non effettua la comunicazione suddetta, ovvero la effettua in modo incompleto o inesatto, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire 5.000.000 a lire 30.000.000. Se la comunicazione è effettuata entro il sessantesimo giorno dalla scadenza del termine del 30 aprile, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da lire 50.000 a lire 300.000.
Registro di carico/scarico
Ai sensi dell'art. 12, comma 3, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, i soggetti autorizzati alla gestione del centro di raccolta hanno l'obbligo di tenere un registro di presa in carico, con fogli numerati e vidimati dall'ufficio del registro, su cui devono annotare le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti, da utilizzare ai fini della comunicazione annuale al catasto dei rifiuti.
Il modello del registro nonché le modalità di tenuta e compilazione dello stesso sono disciplinate dal decreto ministeriale 1 aprile 1998, n. 148. Il registro degli oli usati previsto dall'art. 8 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95, in uso alla data del 13 giugno 1998, può essere utilizzato fino al suo esaurimento purché contenga tutti gli elementi previsti dal nuovo modello sopra menzionato.
Registro entrata/uscita veicoli
Resta ferma la disciplina dettata dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in merito alla tenuta del registro di entrata e di uscita dei veicoli, che dovrà continuare ad essere utilizzato secondo le norme del regolamento emanato ai sensi del decreto citato. A tenore della circolare ambiente-industria di data 4 agosto 1998, n. GAB/DEC/812/98, la presa in carico e lo scarico dei veicoli avviati alla demolizione potrà essere annotata solo su quest'ultimo registro, mentre il registro di carico/scarico dei rifiuti previsto dal decreto legislativo n. 22 del 1997 potrà essere utilizzato per le annotazioni dei rifiuti originati dalla attività di demolizione dei veicoli. In proposito si ricorda che, ai sensi dell'art. 52, comma 2, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, chiunque omette di tenere ovvero tiene in modo incompleto il registro di carico e scarico è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire 5.000.000 a lire 30.000.000.
Formulario di identificazione rifiuti
Ai sensi dell'art. 15 del decreto legislativo n. 22 del 1997, durante il trasporto effettuato da enti o imprese i rifiuti sono accompagnati da un formulario di identificazione il cui modello uniforme e le rispettive modalità di compilazione sono state adottate con decreto ministeriale 1° aprile 1998, n. 145. Il formulario di identificazione deve essere vidimato presso l'ufficio del registro o le Camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura. La fattura di acquisto del formulario, riportante gli estremi della numerazione dello stesso, deve essere annotata sul registro I.V.A.-acquisti.
Il formulario è quindi necessario per il trasporto di rifiuti conferiti al centro di raccolta (es. veicoli radiati dal P.R.A.) effettuato da enti o imprese, nonché per il trasporto dei rifiuti prodotti presso il centro stesso e consegnati a ditte autorizzate per il recupero o per lo smaltimento.
Il formulario può essere compilato sia da parte del produttore o detentore dei rifiuti, che dal trasportatore al quale si consegnano i rifiuti.
Entro 3 mesi dal conferimento dei rifiuti al trasportatore, il titolare del centro deve ricevere una copia del formulario controfirmato e datato in arrivo dal destinatario; qualora ciò non avvenisse il gestore dovrà comunicare la mancata ricezione all'Amministrazione provinciale territorialmente competente ed all'Assessorato regionale territorio ed ambiente.
Il formulario non è obbligatorio per il trasporto di rifiuti che non eccede la quantità di 30 chilogrammi o litri al giorno effettuato dal produttore dei rifiuti stessi.
Il trasporto di olio minerale usato deve essere accompagnato anche dall'allegato F al decreto ministeriale 16 maggio 1996, n. 392.
4.  Norme generali per la messa in sicurezza delle autovetture e dei rimorchi e la gestione dei rifiuti discendenti da tale attività
Per messa in sicurezza si intende ogni intervento di contenimento o isolamento definitivo della fonte inquinante rispetto alle matrici ambientali circostanti.
Le operazioni di messa in sicurezza dei veicoli e dei rimorchi devono essere effettuate nei centri di raccolta aventi le caratteristiche tecniche minimali richiamate al paragrafo relativo a "criteri tecnico-progettuali", all'interno dello specifico settore adibito al trattamento dei veicoli.
Combustibile
Il combustibile, anche se presente all'interno dei serbatoi dei veicoli in piccole quantità, deve essere rimosso. Esso deve essere avviato ad un immediato riuso senza stoccaggi intermedi che richiederebbero pratiche burocratiche e prescrizioni tecniche di difficile attuazione.
Batterie esauste
Codice CER 160601 - accumulatori al piombo - Rifiuto pericoloso
Le batterie devono essere asportate dai veicoli e stoccate negli appositi contenitori aventi le caratteristiche prima descritte.
Ai sensi dell'art. 9 quinquies, comma 6, della legge n. 475 del 1988, così come modificato dall'art. 5 della legge 1 marzo 2002, n. 39, i rifiuti pericolosi, costituiti da batterie al piombo esauste derivanti dalle operazioni di messa in sicurezza dei veicoli, dovranno essere consegnati al consorzio obbligatorio per la raccolta e recupero delle batterie al piombo o ad altri soggetti autorizzati, in base alla normativa vigente, ad esercitare l'attività di gestione di tali ri fiuti.
Il suddetto consorzio si avvale, a livello statale, di una rete di raccoglitori incaricati, i quali operano all'interno di aree geografiche prestabilite. Per conoscere l'elenco aggiornato di detti raccoglitori è attivo il n. verde 167-869120 o l'indirizzo elettronico: cobat@mail.nexus.it.
Oli usati
Codice CER 130111 - oli sintetici per circuiti idraulici (rifiuto pericoloso).
Codice CER 130113 - altri oli per circuiti idraulici (rifiuto pericoloso).
Codice CER 130204 - scarti di olio minerale per motori, ingranaggi e lubrificazioni, clorurati (rifiuto pericoloso).
Codice CER 130205 - scarti di olio minerale per motori, ingranaggi e lubrificazioni, non clorurati (rifiuto pericoloso).
Codice CER 130206 - scarti di olio sintetico per motori, ingranaggi e lubrificazioni (rifiuto pericoloso).
Codice CER 130207 - olio per motori, ingranaggi e lubrificazioni, facilmente biodegradabile (rifiuto pericoloso).
Codice CER 130208 - altri oli per motori, ingranaggi e lubrificazioni (rifiuto pericoloso).
Ai sensi dell'art. 6, comma 1, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95, i rifiuti pericolosi costituiti da oli usati derivanti dalle operazioni di messa in sicurezza di veicoli, dovranno essere consegnati al consorzio obbligatorio degli oli usati, istituito ai sensi dell'art. 11 della citata legge, o ad imprese concessionarie regolarmente autorizzate che effettuano la raccolta degli stessi. Il registro di carico/scarico degli oli usati di cui all'art. 8, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95, non è più previsto; le movimentazioni degli oli usati in giacenza potranno essere annotate sul registro di carico/scarico previsto per le altre tipologie di rifiuti. Per conoscere l'elenco aggiornato dei raccoglitori che hanno ottenuto dal consorzio la concessione alla raccolta e trasporto è attivo il n. verde 167-863048 o l'indirizzo elettronico: www.coou.it.
L'indirizzo della sede del consorzio è: via del Giorgione n. 59 - 00147 Roma, tel. 06/596931, fax 06/5413432.
Contenitori di combustibili gassosi
Codice CER 160116 - rifiuti della demolizione dei veicoli (rifiuto non pericoloso).
I contenitori di combustibili gassosi (GPL e metano) eventualmente presenti nei veicoli, data l'elevata pericolosità di esplosioni nel caso di frantumazione della carcassa, devono essere asportati, prima di sottoporre i veicoli stessi ad ogni altro trattamento di bonifica, e successivamente si deve provvedere alla loro messa in sicurezza.
Filtri olio usati
Codice CER 160107 - filtri dell'olio (rifiuto pericoloso).
Tali componenti possono contenere, se non preventivamente bonificati, fino a 450 gr. di olio esausto.
Prima delle demolizioni dei veicoli è quindi necessario provvedere alla loro bonifica, privandoli dell'olio contenuto previa scolatura e stoccandoli in appositi contenitori.
Liquido freni
Codice CER 160113 - liquidi per freni (rifiuto pericoloso).
Il liquido per i freni è chimicamente una miscela di poliglicoli, poliglicoleteri ed esteri borici di poliglicoleteri.
Esso deve essere asportato dalle apposite vaschette presenti sui veicoli, stoccato con le stesse modalità degli oli, nonché etichettato secondo la specifica normativa.
Liquido refrigerante
Codice CER 160114 - liquidi antigelo contenente sostanze pericolose (rifiuto pericoloso).
Il liquido refrigerante e antigelo chimicamente è un glicole monoetilenico in concentrazione variabile tra il 35% e il 50%. Grazie al suo elevato punto di ebollizione (197 °C), al suo basso punto di congelamento nonché alla sua solubilità in acqua, è da sempre stato utilizzato come liquido per radiatori. E' un prodotto nocivo sia per le persone che per l'ambiente, perciò deve essere bonificato dai veicoli, indipendentemente dal suo grado di diluizione con acqua.
Il liquido deve essere conservato in contenitori specifici, etichettati e depositati secondo le prescrizioni richiamate per gli oli.
HCFC degli impianti di condizionamento
Codice CER 140601 - clorofluorocarburi, HCFC, HFC (rifiuto pericoloso).
La normativa comunitaria ha sancito la messa al bando di questi prodotti chimici, altamente dannosi per lo strato di ozono atmosferico che protegge la terra dai raggi ultravioletti, a partire dal 1° gennaio 1995. Nei veicoli i CFC (clorofluorocarburi), presenti all'interno degli impianti di condizionamento come liquidi refrigeranti, sono stati sostituiti già a partire dal 1994, con gli HFC (idrofluorocarburi), meno dannosi per l'ozono. Inoltre fino a qualche anno fa si potevano trovare anche nelle imbottiture dei sedili e nei volanti, in quanto erano utilizzati come agenti espandenti nelle schiume integrali e negli espansi poliuretanici.
Nei veicoli da rottamare si possono trovare quindi essenzialmente due tipi di gas refrigeranti:
-  i CFC nelle vetture immatricolate fino al 1994;
-  i HFC (o 134/A) nelle vetture immatricolate dopo il 1994.
In ogni caso i gas refrigeranti devono essere rimossi dagli impianti di condizionamento, con tecniche adeguate che impediscano la fuoriuscita degli stessi, in quanto ai sensi dell'art. 6, comma 1, della legge 28 dicembre 1993, n. 549, ne è vietata la dispersione nell'ambiente.
Relativamente alle attività di raccolta e di stoccaggio dei gas si evidenzia che le stesse dovranno essere effettuate nel rispetto degli accordi di programma di cui all'art. 6, comma 6, della citata legge, ai quali si rinvia.
Tuttavia si richiamano le seguenti problematiche di ordine generale:
-  per la bonifica devono essere utilizzate specifiche attrezzature da parte di personale competente, in grado di garantire la raccolta completa dei gas direttamente dagli impianti di condizionamento dei veicoli, compreso il residuo di gas presente nell'olio del compressore;
-  l'aspirazione del gas, effettuata con una pompa da vuoto di discreta potenza, può durare da 10 a 15 minuti per veicolo;
-  i gas aspirati devono essere stoccati in apposite bombole di varia capienza (50-90-1000 litri) a seconda della potenzialità del centro di raccolta;
-  i contenitori devono essere sottoposti a periodica manutenzione (sostituzione delle guarnizioni di tenuta, controllo del manometro, ecc.);
-  al fine di non comprometterne il riutilizzo, gas diversi non devono essere miscelati tra loro e quindi devono essere conservati in contenitori separati (le caratteristiche dei gas contenuti negli impianti sono di norma riportate su etichette nel vano motore del veicolo);
-  le bombole devono essere stoccate al riparo dal sole e protette dagli urti;
-  i gas raccolti devono essere inviati presso appositi impianti di trattamento per l'eliminazione dei contaminanti e per il successivo riutilizzo.
Piano di gestione
Al fine di garantire un livello minimo di efficienza gestionale, dovrà essere definita la procedura che identifichi innanzitutto il quadro organizzativo interno all'impianto (responsabilità e ruoli), che dovrà essere dichiarato in forma scritta e reso trasparente all'autorità di controllo; pertanto le attività contemplate dal piano di gestione dovranno essere enunciate in apposito "regolamento di gestione" che dovrà essere messo a disposizione dell'autorità di con trollo.
I gestori dei centri potranno fare riferimento, per ricavarne utili elementi, al Regolamento comunitario di ecogestione e audit (reg. CE/1761/2001) ed alla norma ISO 14000 per garantire la gestione del centro nel rispetto dell'ambiente, le norme ISO 9001/9002/9003 per garantire il servizio reso e la norma BS 8800 per il sistema di gestione della sicurezza.
L'applicazione delle suddette norme, può essere il primo passo verso l'adozione di sistemi volontari di certificazione da parte del gestore, nell'ottica di una valorizzazione dell'attività e di una gestione ottimale dei centri nel rispetto dell'ambiente.
Disposizioni finali
Le indicazioni contenute nel piano di settore devono essere integrate con ogni altra previsione normativa vigente in materia.
Pertanto, i riferimenti normativi devono essere di volta in volta aggiornati con riguardo ad ogni successivo intervento normativo di modifica o di integrazione.
(2002.22.1351)


ORDINANZA COMMISSARIALE 29 maggio 2002.
Linee guida per la progettazione, la costruzione e la ge stione degli impianti di compostaggio.
IL VICE COMMISSARIO DELEGATO PER L'EMERGENZA RIFIUTI E LA TUTELA DELLE ACQUE

Visto l'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225;
Visto il decreto del Ministro dell'Interno delegato per il coordinamento della protezione civile del 14 gennaio 2002, con il quale è stato prorogato lo stato di emergenza nel settore dei rifiuti in Sicilia sino al 31 dicembre 2004;
Vista l'ordinanza del Ministro dell'Interno, delegato alla Protezione civile, n. 2983 del 31 maggio 1999, con la quale, tra l'altro, il Presidente della Regione siciliana è stato nominato commissario delegato per la predisposizione del piano di gestione dei rifiuti nonché per la realizzazione degli interventi necessari per far fronte alla situazione di emergenza;
Viste le successive ordinanze del Ministro dell'Interno, delegato alla protezione civile, n. 3048 del 31 marzo 2000 e n. 3072 del 21 luglio 2000 di modifica ed integrazione della precedente citata ordinanza;
Vista l'ordinanza del Ministro dell'Interno, delegato alla Protezione civile, n. 3190 del 22 marzo 2002, con la quale vengono dettate ulteriori disposizioni per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti in Sicilia;
Vista l'ordinanza commissariale n. 641 del 23 lu glio 2001, con la quale l'avv. Felice Crosta è stato nominato Vice Commissario con le competenze afferenti il Commis sario delegato e tutte le attribuzioni amministrativo-contabili scaturenti dell'attuazione delle ordinanze di protezione civile per l'emergenza rifiuti in Sicilia;
Vista l'ordinanza commissariale n. 488 del 22 giugno 2001, con la quale è stato affidato alla scuola agraria del Parco di Monza l'incarico per lo svolgimento di attività di supporto e consulenza alle funzioni ed ai compiti del commissario delegato in materia di compostaggio e di trattamento biologico della frazione umida dei rifiuti, con l'individuazione delle linee-guida per la progettazione e costruzione degli impianti di compostaggio e di trattamento biologico, con particolare riferimento agli standard ambientali;
Vista la nota prot. n. 16/c del 14 febbraio 2002, con la quale la scuola agraria del Parco di Monza trasmette le "linee-guida per la progettazione, la costruzione e la ge stione degli impianti di compostaggio";
Considerato che la struttura del supporto alla gestione commissariale, con appunto del 6 maggio 2002, propone di condividere le predette linee-guida, con la sola precisazione che potrà essere valutata l'opportunità di sperimentare iniziative pilota e forte valenza ambientale, sociale ed economica.
Considerata la necessità di approvare le predetta linee guida, nel testo predisposto dalla scuola agraria del Parco di Monza, con la precisazione proposta dalla struttura di supporto alla gestione commissariale;
Ordina:


Art. 1

Sono approvate le linee-guida per la progettazione, la costruzione e la gestione degli impianti di compostaggio, che vengono allegate alla presente ordinanza, per farne parte integrante.

Art. 2

Il preposto alla struttura di supporto alla gestione commissariale è incaricato dell'esecuzione della presente ordinanza, che sarà pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana.
Palermo, 29 maggio 2002.
  CROSTA 

Allegato
LINEE GUIDA PER LA PROGETTAZIONE, LA COSTRUZIONE E LA GESTIONE DEGLI IMPIANTI DI COMPOSTAGGIO

PREMESSA
Le "linee guida regionali per la progettazione, la costruzione e la gestione degli impianti di compostaggio" rappresentano lo strumento predisposto dall'Amministrazione per garantire che la realizzazione e l'esercizio degli impianti di trattamento biologico siano caratterizzati da standard processistici ed ambientali efficaci; contestualmente, lo strumento può coadiuvare la valutazione (esempio in sede di istruttoria tecnica dei progetti) della sostenibilità, sia processistica che ambientale, delle iniziative legate alla gestione della componente organica dei rifiuti urbani (RU).
Le linee guida mirano dunque ad essere contemporaneamente:
-  uno strumento di programmazione, ad integrazione dei do cumenti di piano;
-  un ausilio ai progettisti definendo il contorno operativo ed ambientale all'interno del quale possono liberamente svilupparsi le specificità progettuali (tecnologie adottate, composizione planimetrica delle diverse aree operative, caratteristiche architettoniche dei manufatti, ecc.) delle singole iniziative;
-  un supporto per la valutazione dei progetti, al fine di garantire uniformità di giudizio.
In tale modo, le linee guida mirano a garantire uno sviluppo corretto, uniforme, solido delle strategie e degli impianti volti al trattamento e valorizzazione delle frazioni organiche del RU e delle biomasse in genere.
L'obiettivo di individuare una tendenziale standardizzazione de gli approcci operativi e gestionali è dunque inteso a portare al consolidamento di un sistema impiantistico proporzionato alle esigenze del territorio, ed all'avanguardia sia per il raggiungimento degli obiettivi preposti sia per la tutela dell'ambiente, che rispetti quindi criteri generali di gestione e le esigenze locali essenzialmente legate:
-  al conseguimento degli obiettivi operativi (stabilizzazione agronomica delle biomasse trattate),
-  al contenimento dei potenziali impatti o molestie nei confronti dei cittadini.
Occorre tuttavia garantire contemporaneamente la possibilità di approcci differenziati al medesimo problema, con soluzioni tecnico-progettuali che presentano importanti differenze pur rispettando tutte le esigenze di base qui presentate, sempre tenendo presente che non esiste un sistema tecnologico ottimale sotto tutti i punti di vista (operativo, gestionale, tecnico ed economico); esistono piuttosto delle condizioni di adozione e gestione delle diverse tecnologie, con specifiche vocazioni d'uso, ed a tali condizioni cercheremo di fare riferimento nell'analisi delle diverse possibili tecnologie adottabili.
Il documento si concentra dunque su quelle indicazioni tese a:
a) garantire una ottimale e proporzionata progettazione della rete impiantistica e dei singoli impianti da prevedere nella Regione Sicilia, tenendo conto delle garanzie costruttive, di sicurezza e funzionalità;
b)  garantire le condizioni efficaci di avviamento degli im pianti e della strategia cui gli stessi sono asserviti (recupero delle frazioni selezionate alla fonte mediante compostaggio, trattamento biologico delle frazioni da selezione meccanica del rifiuto indifferenziato);
c) ottimizzare i processi gestionali in relazione agli obiettivi previsti;
d)  minimizzare le esternalità ambientali degli impianti, in par ticolare per quanto riguarda la molestie o gli impatti ambientali;
e) informare e costruire il consenso dell'opinione pubblica in relazione agli obiettivi preposti e alle garanzie di sicurezza fornite.
Per garantire quanto sopra, è evidentemente necessario fornire indicazioni sui "processi unitari", ossia gli elementi che vanno a comporre un sistema operativo, descritti nei loro obiettivi e specificità, quali:
-  sistemi di pre e post-trattamento;
-  sistemi di presidio ambientale;
-  fondamenti di processo;
-  strumenti per la regolazione dello stesso, ecc.;
indicando,  ove opportuno, le necessità di dotazione e di dimensionamento in relazione alle differenti condizioni operative; il documento si astiene invece opportunamente da indicazioni prescrittive sui singoli sistemi di processo (ossia le proposte tecnologiche che compongono i diversi elementi tecnologici per dare risposta in forma compiuta alla domanda di impianti) pur segnalandone alcune condizioni di impiego e vocazioni d'uso. Le indicazioni riportate nelle linee guida devono mantenere infatti carattere indicativo, segnalando specificità, problemi e condizioni delle diverse situazioni operative e delle diverse soluzioni tecnologiche sviluppate per darvi soluzione.
In tale modo, il documento mira al duplice obiettivo di salvaguardare contestualmente le garanzie di affidabilità tecnico-operativa e la propensione all'innovazione tecnologica.
1.  ITRATTAMENTI BIOLOGICI DELLE FRAZIONI ORGANICHE 
1.1.  Rassegna sintetica dei materiali trattabili 

La componente organica dei rifiuti urbani rappresenta la frazione omogenea prevalente in peso, nonché la più problematica da gestire con i sistemi tradizionali di smaltimento, per gli impatti ambientali che genera. Gli impianti di trattamento biologico in genere consentono di trattare la componente organica dei rifiuti al fine di riciclarla sotto forma di fertilizzanti organici oppure di stabilizzarla al fine di ridurre gli impatti ambientali che si possono originare dal suo smaltimento definitivo in discarica.
Si delineano quindi due linee operative strategiche complementari che originano due distinti flussi di materiale organico:
a)  compostaggio di frazioni organiche "di qualità" e biomas se separate a monte tramite raccolta differenziata, o rifiuti organici originati da specifiche attività produttive o di recupero che consentono di ottenere un flusso omogeneo e ben caratterizzabile analiticamente e merceologicamente;
b)  trattamento biologico di rifiuti indifferenziati con contenuto variabile di sostanze organiche, o frazioni organiche non di qualità derivanti dal trattamento meccanico di rifiuti indifferenziati (vagliatura) o di frazioni organiche selezionate ma con carico di elementi pericolosi relativamente elevato (esempio alcuni fanghi di depurazione civile).
Rammentiamo che nella gestione integrata dei rifiuti urbani occorre dare priorità all'avvio e consolidamento della raccolta differenziata, al fine di intercettare in purezza ed alla fonte la maggior quantità possibile di frazione organica presente. Occorre però tenere presente che la raccolta dell'organico non può raggiungere un'efficienza prossima all'unità, e ciò significa che una parte del l'organico non viene intercettato e separato, rimanendo quindi al l'interno dei rifiuti indifferenziati da avviare allo smaltimento. E' necessario quindi prevedere opportuni sistemi di separazione e trattamento di questa componente organica non differenziata al fine di ridurre il carico inquinante dei rifiuti da smaltire.
Questo documento si concentra ad ogni modo sulle caratteristiche tecnico-operative dei soli impianti finalizzati alla valorizzazione di biomasse selezionate da raccolta differenziata (compostaggio di qualità).
Seguendo una classificazione merceologica dei rifiuti di derivazione urbana, per quanto riguarda i rifiuti organici in purezza, separati alla fonte tramite raccolta differenziata, si individuano le seguenti categorie (si faccia riferimento al punto 16, allegato 1, sub allegato 1 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998) di materiali che possono essere sottoposti a trattamenti biologici:
-  rifiuti di provenienza alimentare collettiva, domestica e mercatale (da raccolte "secco-umido" in ambito urbano);
-  rifiuti vegetali provenienti da attività di manutenzione del verde pubblico e privato e scarti lignocellulosici naturali (trucioli e segature non contaminati, cassette e bancali non trattati);
-  materiale cartaceo.
A queste possono poi essere assimilate per omogeneità dei flussi e costanza delle caratteristiche chimiche e merceologiche, anche le seguenti categorie di rifiuti agricoli e speciali:
-  fanghi di depurazione civile;
-  altre biomasse agricole ed agroindustriali (paglie, lolla, graspi e vinacce, fanghi agroindustriali, ecc.).
Si riportano di seguito alcuni specifici approfondimenti sulle condizioni di trattamento relative alle principali frazioni elencate in precedenza.
1.1.1.  Rifiuti organici di provenienza alimentare
Spesso definiti anche come frazione organica dei rifiuti urbani (FORSU) ottenuta da raccolta differenziata "secco-umido". Si trat ta di una frazione omogenea costituita dagli scarti organici derivanti dalla preparazione dei cibi e dai resti dei pasti, sia domestici che da utenze collettive (ristorazione o mense). A queste si ag giungono gli eventuali scarti mercatali raccolti sia nei mercati generali che in quelli locali. Le esperienze pilota sviluppate in ambito nazionale hanno dimostrato ottimi risultati quali-quantitativi, sia per la capacità di intercettazione che per il grado di purezza merceologica (tabella 1).


Dal punto di vista tecnico-gestionale questa frazione organica presenta una elevata fermentescibilità unita ad una ridotta capacità strutturante, caratteristiche che ne richiedono un veloce avvio a trattamento per evitare problemi riconducibili alle emissioni odorigene causati dall'innescarsi di fenomeni putrefattivi. Anche per quanto detto il suo stoccaggio temporaneo, il pre-trattamento e le prime fasi di trasformazione devono essere preferibilmente collocate in un luogo chiuso e dotato di opportuni presidi ambientali, a meno di localizzazioni particolarmente favorevoli (distanze dagli insediamenti prossimi dell'ordine dei chilometri) e di dimensioni operative particolarmente contenute (esempio sotto le 1.000 tonnellate/anno).
1.1.2.  Scarti "verdi" ed altri materiali legnosi
Si tratta dei materiali di risulta delle attività di manutenzione e cura del verde pubblico e privato, raccolti in purezza e separati dagli altri flussi di rifiuti alla fonte. In questa tipologia di scarti organici ricadono poi, per coerenza compositiva, anche le biomasse di risulta di attività agricole e boschive, i resti legnosi dalle attività industriali e artigianali che impiegano legno o fibre vegetali non trattate. I materiali compresi in questa frazione si distinguono per avere una più ridotta reattività biochimica e per essere dotati di una elevata capacità strutturante, risultando quindi complementari rispetto alla frazione precedente.
Gli scarti di manutenzione del verde costituiscono un flusso di materiali compostabili che incide in percentuale variabile, a seconda dei contesti urbanistici, sul totale dei rifiuti solidi urbani ma tende comunque (e con particolare evidenza nelle situazioni con elevata incidenza di abitazioni monoutenza con giardino) a manifestarsi con marcati incrementi della produzione mensile di rifiuti solidi urbani nei periodi primaverili ed estivi, laddove non vengono predisposti circuiti dedicati alla sua intercettazione. In condizioni colturali mediamente intensive, quali quelle adottate per la cura e la manutenzione dei giardini privati parchi pubblici, si registra una produzione annua di alcuni chilogrammi (3-5) di sfalcio erboso; tali quantitativi sono all'incirca raddoppiati da potature e fogliame. Risulta insomma il notevole contributo di questa frazione alla produzione complessiva di rifiuti solidi urbani domestici già in abitazioni con piccoli giardini.
A consuntivo di una serie storica di dati di raccolta nelle situazioni in cui i circuiti si stanno consolidando (Regioni in cui la raccolta differenziata dello scarto verde è stata resa obbligatoria, come Lombardia, Piemonte, Veneto), si può notare che l'intercettazio ne unitaria si colloca generalmente tra i 20-30 ed i 70-90 kg. ab-1 anno-1, con una ovvia influenza, tra l'altro, della situazione urbanistica.
In alcuni comuni in realtà, soprattutto laddove i circuiti non sono ancora consolidati, le rese di raccolta registrate risultano inferiori (15/20 kg. ab-1anno-1); va infatti considerato che le rese vengono influenzate:
-  in senso positivo, dalla graduale introduzione e sviluppo del compostaggio familiare, che tende ad intercettare soprattutto gli scarti delle utenze con giardino;
-  in senso negativo, da bruciatura o da altre attività improprie di smaltimento, gestite spesso, e soprattutto per i residui di potatura, direttamente dalle utenze professionali (giardinieri): ab bandono ai margini di campi e boschi, bruciatura.
In altri casi, invece, la adozione di modelli intensivi di raccolta dello scarto verde (in particolare, con l'implementazione di circuiti di raccolta a domicilio a frequenza settimanale o quindicinale) ha determinato una eccessiva propensione delle famiglie al conferimento degli scarti verdi, rispetto alla adozione o mantenimento della pratica del compostaggio domestico; in tali casi, si sono frequentemente registrati dati unitari di raccolta compresi tra 100 e 200 kg ab-1 anno-1, con punte superiori a 400 kg ab-1 anno-1 (esempio Forte dei Marmi, 1998); il che comporta ovviamente un aumento delle percentuali di raccolta differenziata, ma contestualmente (come si può intuire) un incremento sensibile della quantità complessiva di rifiuti da gestire; ciò comporta un peggioramento complessivo delle prestazioni del sistema di raccolta sia in relazione agli obiettivi strategici (che dovrebbero prevedere la priorità della prevenzione) che ai costi di gestione complessivi.
Allo scopo di "governare" il sistema evitando un conferimento eccessivo di scarti di giardino al servizio di raccolta, è opportuno dunque prevedere la separazione dei circuiti di raccolta del verde (sistema a consegna generalmente centralizzata, od a raccolta domiciliare a frequenza differita) da quelli dell'"umido" (sistema "intensivo" con raccolta a domicilio ad elevata frequenza); ciò consente a sua volta:
-  un dimensionamento dei manufatti di raccolta dell'"umido" congruo con le necessità, in quanto viene sottratto ad essi il forte fattore di stagionalità dei flussi rappresentato dagli scarti verdi;
-  l'individuazione di criteri specifici di raccolta per l'"umido in considerazione della elevata fermentescibilità e peso specifico (adozione di sacchetti a perdere, impiego di mezzi "leggeri", non a compattazione);
-  l'ottimizzazione dei costi di gestione dei due flussi, mediante l'individuazione delle economie specifiche relative allo scarto "verde" (semplificazione dei sistemi di raccolta, diminuzione delle frequenze nella raccolta domiciliare, impiego di mezzi a compattazione, minori tariffe praticate dagli impianti di compostaggio per il conferimento di tale flusso);
-  l'incentivazione, se sostenuta da un programma di promozione, del compostaggio domestico nelle abitazioni con giardino, mentre la raccolta domiciliare costituisce, intuitivamente, un fattore di "eccessiva" comodità per la consegna dello scarto verde all ministrazione Pubblica.
Ulteriori indicazioni, con la specificazione dei dettagli operativi, possono essere desunte dalla lettura dei documenti di indirizzo relativi ai sistemi di raccolta differenziata.
1.1.3.  Fanghi civili ed agro-industriali
I fanghi derivanti da impianti di depurazione delle acque reflue civili e dagli impianti agro-industriali presentano un elevato contenuto di sostanza organica che li rende idonei a subire trattamenti biologici. Generalmente presentano delle caratteristiche compositive e quantitative costanti nel tempo. Occorre però monitorarne il contenuto in elementi di disturbo (microinquinanti organici ed inorganici, quali i metalli pesanti) al fine di valutarne l'ipotesi di una loro efficace valorizzazione agronomica. I ristretti limiti di qualità introdotti da decreto MiPAF 27 marzo 1998 ("modificazione all'allegato 1C della legge 19 ottobre 1984, n. 748 recante nuove norme per la disciplina dei fertilizzanti") che definisce quali compost vanno intesi come prodotti fertilizzanti liberamente ammissibili alla vendita, risultano difficilmente rispettabili da molti fanghi civili, in quanto i relativi distretti di depurazione ricevono, oltre alle acque da caditoie stradali, anche molti flussi di reflui industriali. Il controllo analitico è dunque sempre opportuno.
1.1.4.  Carta e cartone
Da un punto di vista processistico ed agronomico, il materiale cartaceo, in relazione alle sue caratteristiche chimico-fisiche, è un ottimo costituente delle miscele di materiale organico inviate al compostaggio. La valorizzazione agronomica mediante compostaggio è:
-  senz'altro possibile per la carta bianca e da cucina;
-  ormai assodata per la carta di giornale, grazie a nuove tecni che di stampa che permettono di contenere gli apporti in elementi di disturbo;
-  generalmente ritenuta possibile anche per la carta patinata (riviste/periodici) generalmente commercializzata in Europa;
-  va ovviamente esclusa per i poliaccoppiati parzialmente cartacei, a meno di sistemi di pre-trattamento che consentano la separazione delle diverse componenti.
Le analisi disponibili attestano, nel complesso del materiale cartaceo da raccolte differenziate, livelli di contaminazione molto bassi per quanto concerne i parametri di valutazione relativi agli elementi potenzialmente inquinanti (con particolare riferimento ai metalli pesanti).
Va evidenziato che in fondo questi materiali, per i quali localmente possono crearsi condizioni economiche sfavorevoli al recapito ai sistemi industriali di recupero della carta, costituiscono un ottimo supporto cellulosico alternativo, in grado di condizionare positivamente umidità e C/N delle miscele da compostare (scenari locali con deficit di biomasse lignocellulosiche); inoltre, se raccolti congiuntamente all'"umido" domestico (esempio utilizzo di carta di giornale per il primo contenimento dello scarto di cucina) consentono una gestione più ordinata dei manufatti per il primo contenimento (bidoni, secchi) assorbendo l'umidità in eccesso e contenendo fortemente gli odori. Queste indicazioni operative e comportamentali sono da tempo in adozione in diversi comprensori esteri.
1.2.  I diversi tipi di trattamento biologico 

Con la definizione di "trattamenti biologici", si intende il complesso delle operazioni, processi ed attività a carico di materiali biodegradabili di varia natura, che sfruttando le potenzialità degradative e di trasformazione da parte di sistemi biologici (essenzialmente legati all'attività di microrganismi decompositori), consentono una mineralizzazione delle componenti organiche maggiormente degradabili (processo definito anche come "stabilizzazione" della sostanza organica) e l'igienizzazione per pastorizzazione della massa di rifiuti.
Scopo dei trattamenti biologici è quindi:
a)  raggiungere la stabilizzazione della sostanza organica (os sia la perdita di fermentescibilità) mediante la mineralizzazione delle componenti organiche più aggredibili, con produzione finale di acqua ed anidride carbonica e loro allontanamento dal sistema biochimico; tale processo è inteso a garantire la compatibilità tra i prodotti finali e le ipotesi di impiego agronomico); un prodotto organico "stabile", infatti nel suolo agricolo non produce più metaboliti (intermedi di degradazione) ad effetto fitotossico, né consuma ossigeno (necessario per la trasformazione delle componenti organiche "fresche"), sottraendolo alle piante ed alla microflora del terreno;
b) conseguire la igienizzazione della massa; ciò consente di debellare i fitopatogeni presenti nei residui vegetali, impedendo che il compost ne diventi vettore, nonché i patogeni umani veicolati presenti nei materiali di scarto (esempio: fanghi civili);
c)  ridurre il volume e la massa dei materiali trattati al fine di renderne più agevole ed economico il trasporto.
Il trattamento biologico delle frazioni organiche di rifiuto può essere realizzato con differenti tecnologie e processi, riconducibili a 3 tipologie, che è opportuno mantenere terminologicamente di stinte:
a)  compostaggio di qualità, a carico di biomasse di buona qua lità selezionate alla fonte, indirizzato alla produzione di materiali valorizzabili nelle attività agronomiche e commerciabili in coerenza con il disposto della legge n. 748/84 modifiche ed integrazio ni sui fertilizzanti;
b) trattamento biologico di biostabilizzazione o bioessiccazione, a carico di matrici organiche di qualità inferiore (quali frazioni organiche da separazione meccanica del rifiuto indifferenziato, fanghi biologici con presenza relativamente elevata di metalli pesanti, ecc.); l'obiettivo di tali processi (non esaminati in questo documento allo scopo di massimizzare l'efficacia espositiva ed evitare equivoci sulla impostazione strategica delle iniziative) può essere variamente inteso come:
-  stabilizzazione pre-discarica, intesa come "trattamento" in coerenza con la direttiva n. 99/31 CE sulle discariche e con l'art. 5, comma 6 del decreto legislativo n. 22/97;
-  produzione di materiali stabilizzati (spesso definite come "fra zioni organiche stabilizzate" o "compost da rifiuti" o "compost gri gio") per applicazioni controllate in attività paesistico- ambientali;
-  bioessiccazione, ossia asportazione relativamente veloce (nel l'arco di 15-20 giorni) di gran parte dell'umidità originariamente presente, in modo da aumentare il potere calorifico della massa in previsione di utilizzi energetici; l'obiettivo viene perseguito mediante lo sfruttamento delle capacità di asportazione di umidità da parte delle arie di processo insufflate nella massa, e si avvale comunque del concorso dei processi di degradazione parziale della sostanza organica, grazie all'aumento delle capacità evaporative del sistema per il calore biogeno generato appunto da tali processi di degradazione;
c)  digestione anaerobica in cui la fase di degradazione intensiva viene gestita in ambiente anaerobico allo scopo di conservare l'energia biochimica della sostanza organica sotto forma di biogas; la digestione anaerobica può avvenire a carico di matrici organiche di elevata qualità selezionate alla fonte (e dunque essere inserita in una filiera di valorizzazione agronomica) o di materiali di qualità inferiore (da selezione meccanica o con contaminazioni relativamente elevate in metalli pesanti); in quest'ultimo caso il digestato (ossia il materiale palabile residuato dalla fase di digestione) può essere poi indirizzato alla stabilizzazione pre-discarica, alla bioessiccazione od alla produzione di materiali per applicazioni controllate paesistico-ambientali. Per il pieno conseguimento di tali obiettivi la digestione anaerobica richiede generalmente l'integrazione con una fase di finissaggio aerobico (ossia una sezione di post-compostaggio del digestato, che altrimenti va gestito come un fango ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dal decreto legislativo n. 99/92 sulla applicazione dei fanghi in agricoltura). Alla digestione anaerobica ed alle condizioni per la sua integrazione nel sistema dei trattamenti biologici dedicheremo una apposita sezione, mettendone in risalto le specificità rispetto al trattamento aerobico.
Nel resto del documento adotteremo anche la seguente terminologia con i relativi significati:
-  biotrasformazione = bioconversione: ossia la trasformazione a carico della biomassa compiuta da agenti di tipo biologico (essenzialmente microrganismi);
-  bioconversione aerobia o stabilizzazione biologica aerobia: il processo di bioconversione che avviene in condizioni aerobiche, ovvero in presenza di ossigeno; comprende dunque il compostaggio e la biostabilizzazione aerobica dei rifiuti indifferenziati, ma non la digestione anaerobica.
1.3.  Le tecnologie per la bioconversione aerobica 

1.3.1.  Generalità sul compostaggio di qualità
Il compostaggio di qualità può interessare come matrici in ingresso sia i soli scarti lignocellulosici raccolti in purezza, sia gli scarti organici da raccolta differenziata secco-umido (scarti alimentari da utenze domestiche, commerciali, di servizio) in miscela con gli scarti lignocellulosici (materiale strutturante o di "bul king") ed eventualmente anche con fanghi che abbiano adeguate caratteristiche qualitative ed altre matrici compostabili ad elevata fermentescibilità, umidità e basso grado di strutturazione (esempio: scarti agroindustriali, liquami zootecnici, ecc.).
A seconda della tipologia delle matrici trattate devono essere predisposti adeguati sistemi tecnologici di processo e di presidio; il compostaggio di soli scarti lignocellulosici, quali le risulte da manutenzione del verde, può avvalersi delle condizioni favorevoli di aerazione naturale per processi diffusivi e convettivi nella massa, favoriti dalla buona porosità della stessa, mentre il basso potenziale odorigeno di tali materiali facilità la prevenzione di fenomeni odorosi mediante alcuni accorgimenti gestionali relativamente semplici.
Invece, la fermentescibilità tipica di scarti quali le matrici alimentari richiede di considerare la disposizione di adeguati sistemi di governo del processo mediante l'adduzione di flussi d'aria alla massa (per drenare il calore in eccesso ed apportare ossigeno) e generalmente, a meno di localizzazioni favorevoli e basse capacità operative, l'allestimento di tecnologie di presidio ambientale per il controllo e l'abbattimento degli odori.
Come già sottolineato, l'obiettivo ultimo del compostaggio di qualità è la produzione di materiali stabilizzati ed igienizzati, con basso contenuto di sostanze potenzialmente inquinanti, manipolabili, commerciabili ed utilizzabili in agricoltura in coerenza con il disposto della legge n. 748/84 modifiche ed integrazioni. Il tutto ga rantendo al contempo la minimizzazione dei disturbi ambientali indotti, con particolare riferimento all'abbattimento delle potenziali molestie olfattive.
1.3.2.  I fattori di scelta delle tecnologie e la coerenza operativa degli impianti
La stabilizzazione biologica delle biomasse di scarto è un processo naturale che può essere coadiuvato da una molteplicità di opzioni tecnologiche (fattori di scelta); il settore del compostaggio e dei trattamenti biologici in generale è ampiamente sviluppato, a livello nazionale e mondiale, ed ha generato una molteplicità di approcci in relazione alle differenti situazioni territoriali, alle diverse condizioni gestionali, alle diverse biomasse trattate all'attenzione prestata al contenimento degli impatti ambientali verso l'intorno territoriale (con particolare riferimento alle molestie olfattive) ecc.
Molte delle aziende fornitrici propongono sistemi operativi completi, ossia comprensivi sia delle sezioni ed attrezzature per la bioconversione sensu strictu, che dei sistemi ed attrezzature per il pre-trattamento (esempio: per il condizionamento della biomassa, o la sua selezione preliminare) od il post-trattamento (generalmente, per l'allontanamento dei corpi estranei mediante raffinazione di mensionale ed a volte densimetrica). In altri casi, gli impianti vengono realizzati per composizione di diversi sistemi operativi ed attrezzature, ad esempio adottando una certa tecnologia di processo e inserendo nello schema operativo un certo pre-trattamento per rendere la tipologia di materiale da compostare massimamente adatto alla bioconversione con quella tecnologia.
Nella molteplicità degli approcci possibili, è importante comunque che le scelte progettuali e gestionali tengano conto delle condizioni poste dal quadro operativo al contorno (localizzazione, capacità operative, tipologia di materiali trattati, ecc.) al fine di massimizzare l'efficacia di processo e minimizzare i disturbi ambientali, fermo restando che potrà essere valutata l'opportunità di sperimentare iniziative pilota a forte valenza ambientale, sociale ed economica.
Va dunque ricercata la coerenza tra:
a)  tipologia delle matrici da compostare (caratteristiche della miscela di partenza);
b) situazione territoriale (che influisce ad esempio sul grado necessario di attenzione al contenimento degli impatti olfattivi);
c)  sistema di processo (connotati tecnologici del progetto);
d)  criteri gestionali (strategie di processo).
Di seguito riportiamo dunque una rassegna delle tecnologie adottabili per la gestione dei processi di bioconversione aerobica, specificando le rispettive vocazioni specifiche e le condizioni di adozione.
Nello sviluppo della rassegna, adotteremo il seguente schema logico:
1)  faremo inizialmente riferimento al "cuore" del sistema, cioè i fondamenti del processo biologico aerobico, in quanto alla loro ottimizzazione sono intese in gran parte le scelte progettuali;
2)  svilupperemo poi l'esame delle diverse tecnologie di processo, raggruppate per categorie in relazione alle esigenze e condizioni unitarie;
3)  successivamente si accennerà ai pre-trattamenti e i trattamenti finali necessari rispettivamente per predisporre le matrici all'aggressione biologica e per ottenere un prodotto finale idoneo all'impiego ed alla commercializzazione;
4)  infine forniremo delle indicazioni sui presidi ambientali al contorno dell'iniziativa, con specifico riferimento a genesi e natura degli odori e criteri per la minimizzazione e l'abbattimento.
1.3.3.  I fondamenti processistici: i fattori di governo del processo biologico
Ricordiamo che il processo di compostaggio è un processo:
-  aerobico (necessità di ossigeno per la mineralizzazione delle componenti a maggiore fermentescibilità, con conseguente stabilizzazione della biomassa);
-  esotermico (viene prodotto calore che va in certa misura allontanato dal sistema, onde evitare il surriscaldamento della biomassa in eccesso rispetto ai valori ottimali di range delle temperature).
Il processo di compostaggio può essere descritto e suddiviso in due fasi:
-  fase attiva (anche definita di "biossidazione accelerata" o "ACT - active composting time"), in cui sono più intensi e rapidi i processi degradativi a carico delle componenti organiche maggiormente fermentescibili; in questa fase, che si svolge tipicamente in condizioni termofile, si raggiungono elevate temperature e si palesa quindi la necessità di drenaggio dell'eccesso di calore dal sistema e di una elevata richiesta di ossigeno necessario alle reazioni biochimiche;
-  fase di maturazione (o fase di curing) in cui si completano i fenomeni degradativi a carico delle molecole meno reattive ed in cui intervengono reazioni di trasformazione e polimerizzazione a carico delle stesse (con particolare riferimento alla lignina) che portano alla "sintesi" delle sostanze umiche. Sia le esigenze di drenaggio di calore che quelle di adduzione di ossigeno al sistema sono minori rispetto alla fase attiva.
I fattori principali di controllo del processo, che garantiscono le ottimali condizioni di sviluppo della microflora e che consentono di accelerare le reazione di decomposizione-trasformazione, sono rappresentati da:
-  concentrazione di ossigeno (ed il rapporto ossigeno/anidride carbonica); la permanenza della concentrazione di ossigeno a livelli superiori al 15% garantisce il perdurare delle condizioni di perfetta aerobiosi indispensabile per la accelerazione del metabolismo batterico aerobio; ciò a sua volta consente di ridurre od annullare i fenomeni putrefattivi (causa primaria di genesi di odori molesti); il flusso di aria deputato alla adduzione di ossigeno all'interno della massa di rifiuti in compostaggio, garantisce contestualmente l'asportazione del calore in eccesso e (se necessario) l'allontanamento dell'eccesso di umidità sotto forma di vapore acqueo;
-  temperatura; la temperatura si innalza come conseguenza del calore biogeno sviluppato dai processi degradativi; il suo accumulo nella massa dipende dall'equilibrio tra:
-  sviluppo di calore (legato alla fermentescibilità degli scarti);
-  dispersione di calore (legato alla dimensione della massa ed alla sua umidità, dal momento che l'evaporazione di acqua assorbe calore sia per l'innalzamento della temperatura dell'acqua stessa che per il suo passaggio allo stato di vapore).
Nella fase attiva, con biomasse non eccessivamente umide e cumuli di dimensioni adeguate, la temperatura può anche superare agevolmente i 70°C, garantendo in tal modo le condizioni per la igienizzazione del materiale (3 giorni a 55°C per la legislazione italiana); le condizioni termometriche ottimali per i processi di stabilizzazione sono invece quelle tendenzialmente mesofile (attorno a 40-45°C); per tale motivo è opportuno adottare sistemi di rimozione del calore in eccesso, utilizzando efficacemente i flussi d'aria naturali (per diffusione e convezione) od indotti (sistemi di aerazione forzata della biomassa); in molti sistemi di processo la temperatura viene in realtà mantenuta attorno ai 50°C, per ricercare un compromesso tra le esigenze di asportazione del calore in eccesso (che richiederebbero flussi d'aria anche superiori), quelle di risparmio energetico e quelle di prevenzione dei disseccamenti precoci (che richiedono invece un abbassamento delle dimensioni dei flussi d'aria);
-  umidità: è indispensabile per lo sviluppo microbico che risente fortemente sia di eccessi di umidità (con rischio di occupazione totale della porosità della biomassa da parte dell'acqua, e dunque di anaerobiosi del sistema) che di mancanza (che comporta la stasi dei processi degradativi). I valori ottimali della umidità della massa tendono a decrescere con il procedere dei processi di stabilizzazione e conseguentemente con il decremento delle attività biologiche a carico della massa in trasformazione. Il materiale iniziale deve invece avere una umidità relativamente elevata per esaltare le funzioni di termoregolazione collegate alla evaporazione della stessa e evitare al contempo disseccamenti precoci. In tabella 2 vengono riportati, a puro titolo indicativo, e segnalando comunque la natura relativamente adattativa dei processi biologici - i range ottimali di umidità nelle diverse fasi del compostaggio per un processo mediamente veloce.
Tabella 2
Range ottimali di umidità


      Range Settimana     ottimale     di umidità 
1       55-65 
2       53-60 
3       50-57 
4       46-51 
5       42-47 
6       38-43 
7       35-40 
Successive       35-40 (1) 

(1)  Possibilità di scendere a 30 verso la fine per esigenze di raffinazione.

-  nutrienti: sotto tale profilo è importante il ruolo giocato dal rapporto C/N, che esprime il rapporto tra le sostanze che forniscono ai microrganismi energia per le loro reazioni metaboliche (composti carboniosi) e materiali plastici per la loro moltiplicazione (composti azotati); il C/N ideale è compreso tra 25 e 30 unità, tenendo presente che ogni scostamento medio da questi valori porta a carenze o eccessi che condizionano fortemente le attività biologiche, determinando:
-  una massiccia perdita di azoto (nel caso di valori bassi di C/N);
-  un rallentamento delle reazioni metaboliche, nel caso di valori alti di C/N.
In realtà gli impianti nascono ed operano per garantire il trattamento delle diverse biomasse generate sul territorio e di cui viene programmata la selezione e l'avvio a compostaggio. Il controllo su questo parametro non rientra dunque in genere nella consuetudine operativa, pur aiutando l'interpretazione di certi fenomeni (esempio difficoltà di avvio della fase termofile per alto C/N) laddove questi si presentino.
L'evoluzione della sostanza organica durante il compostaggio procede sia quantitativamente, con una evidente riduzione volumetrica e ponderale, che qualitativamente, con una modificazione anche consistente delle caratteristiche chimiche della sostanza organica contenuta nel compost rispetto a quella originaria delle biomasse ad inizio trattamento. Dal punto di vista qualitativo la sostanza organica, una volta terminato il processo di compostaggio, si presenta:
1)  stabile, cioè con processi degradativi di natura biologica al quanto rallentati; la misura della stabilità di una biomassa si può concretizzare attraverso la determinazione analitica di:
-  contenuto residuo in sostanza organica (od in solidi volatili);
-  indici di respirazione statico o dinamico (legati alla attività metabolica residua);
-  concentrazione di ammoniaca (legata alla persistenza di at ti vità di degradazione e proteolisi in misura superiore a quelle di nitrificazione dell'ammoniaca);
2)  matura, cioè non presenta fenomeni di fitotossicità, misurabili con l'omonimo test;
3)  umificata, cioè dotata opportunamente di molecole umiche (humus) originatesi da reazioni di umificazione a carico delle componenti della sostanza organica più recalcitranti alla mineralizzazione.
DEFINIZIONE DELLE NECESSITÀ DI PROCESSO
Gran parte del successo delle iniziative di compostaggio si gioca sulla corretta definizione progettuale del processo stesso di biostabilizzazione aerobica; in uno scenario in cui le raccolte differenziate spinte sono in grado di consegnare all'impianto flussi di biomassa ad un eccellente livello di purezza merceologica, preselezione e raffinazione finale tendono infatti a diventare fasi accessorie volte al solo perfezionamento delle condizioni di processo e della qualità del prodotto. Mantengono invero una certa importanza quei pre-trattamenti di condizionamento della biomassa (frantuma zione/sfibratura, miscelazione ed omogeneizzazione) strettamente connessi alla ricerca delle condizioni fisico-meccaniche ottimali per l'innesco e l'accelerazione dei processi biologici a carico della massa.
In base a quanto specificato, vanno raggiunti gli obiettivi di fon do costituiti:
a)  dalla necessità di garantire l'aerobiosi del processo. Sotto tale profilo, laddove i flussi spontanei di aria indotti per diffusione e convenzione non sono in grado di bilanciare la velocità di consumo di ossigeno (correlata alla fermentescibilità della biomassa, e dunque massima nelle prime fasi di processo), bisogna intervenire con l'aerazione forzata della biomassa
b)  dal mantenimento della struttura del materiale grazie:
-  all'opportuna miscelazione con matrici di buona consistenza e pezzatura (in particolare, materiali lignocellulosici);
-  all'eventuale rivoltamento periodico della massa (in particolare a prevenzione di fenomeni di compattazione per biomasse poco strutturate) nonché;
-  alla sua collocazione in cumuli opportunamente dimensionati (le dimensioni eccessive determinano una più spiccata tendenza alla compattazione precoce).
Va qui specificato che il significato precipuo del rivoltamento è quello della ricostituzione dello stato strutturale e delle condizioni di conduttività all'aria, mentre la sua adozione esclusiva non consente di garantire i flussi d'aria necessari a mantenere l'aerobiosi e il drenaggio del calore in eccesso. In altri termini, l'effetto di ossigenazione e di dispersione del calore garantito dal rivoltamento è solo temporaneo. Il mantenimento di condizioni opportune di aerobiosi e di temperatura richiede l'intervento dei processi diffusivi e convettivi, ed in caso di loro insufficienza (per bassa porosità della massa o per alta velocità delle reazioni ossidative) l'adozione della aerazione forzata.
c)  dalla ricerca di condizioni termometriche ottimali, necessarie alla massima velocizzazione delle attività microbiche (40°-50°C) ed al conseguimento della pastorizzazione (3 giorni a 55°C per la legislazione italiana). Senza dimenticare d'altronde l'obiettivo coordinato;
d)  della gestione, controllo ed abbattimento dei potenziali im patti delle fasi critiche, individuabili soprattutto in quelle iniziali.
Risulta intuitivo, in base alle definizioni date, che la fase attiva si configura come "fortemente sensibile alle condizioni di processo", laddove quella di maturazione risulta a "basso livello di sensibilità tecnologica". In effetti ciò si evince anche dai diversi sistemi tecnologici proposti sul mercato, essenzialmente tesi al governo della fase "intensiva", proponendo in diversa combinazione gli strumenti di governo del processo (aerazione forzata, sistemi di inumidimento, sistemi di abbattimento degli odori, ecc.) in relazione alle condizioni critiche ivi presenti.
In sede di maturazione, aumentano invece i gradi di libertà della scelta tecnologica, in quanto le condizioni meno intensive consentono l'adozione di sistemi di processo estensivi basati sul criterio del "minor costo".
Va anche anticipata una ulteriore considerazione: la differenziazione tra fase "intensiva" (fase attiva) ed "estensiva" (maturazio ne), tende a perdere di significato nel caso del compostaggio di soli materiali a matrice lignocellulosica ed a degradabilità bassa e/o lenta. In questo caso, la bassa degradabilità dei materiali indirizza i processi biochimici verso una dinamica prolungata e rallentata, con una relativa uniformità tra le prime fasi di trasformazione e quelle successive; non sono dunque necessari approntamenti tecnologici specifici per la fase "intensiva" di trasformazione, ed il compostaggio può realizzarsi sin dall'inizio attraverso dinamiche che replicano i processi degradativi naturali, con ventilazione per diffusione spontanea (coadiuvata dalla elevata porosità di tali materiali), rivoltamenti a frequenza rada e tempi prolungati di processo.
1.3.4.  Classificazione dei sistemi per la stabilizzazione biologica aerobica
Per quanto riguarda le necessità di processo, i sistemi di processo possono venire classificati in:
-  sistemi intensivi ed estensivi, a seconda del grado di articolazione tecnologica, dell'importanza data ai processi naturali ed a quelli indotti, e degli input energetici unitari;
-  sistemi chiusi ed aperti a seconda del confinamento o meno degli stessi rispetto all'intorno ambientale;
-  sistemi statici e dinamici a seconda della presenza e frequenza degli interventi di movimentazione per la ricostituzione periodica dello stato strutturale;
-  sistemi areati e non aerati a seconda della adozione del l'aerazione forzata o, di converso, dell'affidamento esclusivo ai processi spontanei di diffusione e convezione.
Altri tipi di distinzione, quale ad esempio quella tra sistemi in continuo ed in batch, perdono significato ai fini della ottimizzazione del processo ed assumono significato sotto il solo profilo ergonomico e dell'organizzazione operativa complessiva.
a) SISTEMI INTENSIVI ED ESTENSIVI
Il compostaggio e la biostabilizzazione sono per definizione processi di tipo aerobico in cui le tecnologie di processo sono tesi a fornire al sistema principalmente:
-  l'ossigeno necessario a sostenere il metabolismo microbico;
-  l'aria utile ad asportare il calore in eccesso dal sistema.
In relazione ai criteri adottati per perseguire tali obiettivi possiamo distinguere tra "sistemi intensivi" ed "estensivi" di bioconversione aerobica; tale distinzione fa essenzialmente riferimento al grado di complessità tecnologica, alle condizioni gestionali, alla durata del processo, ed ai parametri unitari di consumo di aria e di energia:
Sistemi intensivi
Per biomasse ad alta fermentescibilità (frazioni "umide" domestiche, scarti mercatali e della ristorazione collettiva, fanghi civili ed agro-industriali, ecc.) in miscelazione con percentuali più o meno elevate di materiali strutturali, quali gli scarti di manutenzione del verde.
Tendono a presentare la differenziazione processistica tra una fase attiva (con condizioni di trasformazione intensive e critiche, estremamente sensibili alle scelte tecnologiche ed alla loro ottimiz zazione) e una di maturazione o "curing" (a basso livello di complessità tecnologica, simile ai sistemi "estensivi"). Compatibilmente con le esigenze tecnologiche, si tende ovviamente a contrarre al massimo la durata della fase attiva, in quanto comporta necessità di materiali, attrezzature, energia ed i costi a ciò conseguenti:
-  tempi di processo: 25/30-120 giorni (in relazione all'ottimizzazione del processo ed agli obiettivi agronomici finali); dimensionamento su 90 giorni almeno per garantire piena versatilità alle strategie commerciali collegate all'impianto;
-  consumi energetici specifici relativamente elevati (generalmente nell'ordine dei 40-60 kwh/tonnellate) per l'alimentazione delle dotazioni elettromeccaniche e delle attrezzature con motori endotermici (rivoltatrici, sistemi di ventilazione, trituratori, vagli, ecc.);
-  necessità specifica di superficie: 0,7-1,5 mq./tonnellate di capacità operativa annua (tutto incluso).
Sistemi estensivi
Per biomasse a basso coefficiente di degradabilità e di buona consistenza (residui ligno cellulosici: scarti della manutenzione del verde, cassette, pallets, ecc.) compostate senza aggiunta di matrici fermentescibili quali scarti alimentari, agroindustriali e fanghi.
Non presentano la differenziazione funzionale tra fase attiva e fase di maturazione, ma generalmente adottano un unico approccio processistico a basso grado di articolazione tecnologica; la tipologia più frequente è quella a macrocumulo su piazzale, aerato per diffusione e convezione naturale, con rivoltamenti radi per la ricostituzione dello stato poroso. Raramente questi sistemi sconfinano in forme di transizione verso i sistemi intensivi, con aumento della frequenza dei rivoltamenti o adozione dell'aerazione forzata.
Le ridotte caratteristiche odorigene dei materiali e le caratteristiche stesse del processo (che lasciando i materiali in gran parte indisturbati evita la massiccia liberazione dei composti odorigeni verso l'esterno), determinano la possibilità di condurre l'intero processo all'aperto.
La relativa semplicità della gestione processistica determina la possibilità di disaggregare le iniziative, decentrandole, con condivisione delle attrezzature specifiche (trituratori, vagli) tra più centri di compostaggio grazie a forme di associazione cooperativa od alla fornitura di servizi operativi specifici conto terzi;
-  tempi di processo: 6 mesi, 1 anno ed oltre;
-  consumi energetici specifici modesti (10-20 kwh/tonnellate), fondamentalmente per la frantumazione, il rivoltamento saltuario con attrezzature generiche (pale meccaniche) e la vagliatura;
-  necessità di superficie: ca. 1,5-2 mq/tonnellate di capacità operativa annua (tutto incluso).
b)  SISTEMI "APERTI" E "CHIUSI"
Nei sistemi chiusi il processo viene condotto in spazi confinati (container, bioreattori) o in aree coperte e tamponate, (capannoni) con il duplice scopo di un migliore controllo delle condizioni processistiche (relativa indipendenza dalle condizioni meteoriche) ma soprattutto di una maggiore efficacia dei presidi ambientali (controllo, gestione, abbattimento degli effluenti odorigeni).
In realtà tutti i sistemi tecnologici possono essere gestiti in ambiente chiuso, tuttavia per alcuni sistemi processistici (biocontainer, sili, biotamburi) il confinamento della biomassa e la definizione dei limiti fisici del processo sono connaturati alla natura stessa della tecnologia, mentre per altre (cumuli, andane, trincee dinamiche) la chiusura delle aree per la fase attiva è opzionale e generalmente legata alla necessità di controllare, gestire, annullare i potenziali impatti olfattivi.
L'affidabilità ed efficacia dei sistemi aperti per la conduzione del processo ed il contenimento degli impatti dipende dalla sussistenza (meglio se in sinergia) di alcune condizioni di fondo:
-  bassa fermentescibilità delle matrici; elevata percentuale (esempio: maggiore del 70% p/p) di "bulking" lignocellulosico, che consente d'altronde l'adozione di sistemi "statici" di compostaggio evitando i rilasci massicci di effluenti odorigeni collegati alle movimentazioni;
-  inserimento delle iniziative in situazioni tipicamente "rurali" o "semi-rurali", con distanze dagli insediamenti abitativi dell'ordine dei 1.000 metri o superiori;
-  dimensioni operative limitate, nell'ordine delle centinaia o poche migliaia di tonnellate/anno.
L'adozione dei sistemi aperti può in realtà essere ipotizzata e prevista (consentendo il contenimento dei costi di investimento e gestione) nelle fasi successive a quella attiva del processo (fase di maturazione), in cui alla diminuzione della putrescibilità ed alla dinamica metabolica tipica dei processi di umificazione conseguono una diminuzione del potenziale odorigeno ed un minore consumo di ossigeno.
Previsioni sulla dotazione dei presidi ambientali nelle normative nazionali e locali
Ad oggi a livello nazionale sono previste prescrizioni operative sul compostaggio solo a livello del decreto del ministro dell'am biente 5 febbraio 1998 sulle "procedure semplificate" in ap plicazione degli artt. 31 e 33 del decreto "Ronchi"; in base al punto 16, allegato 1, relativo appunto alle attività di recupero di scarti organici tramite compostaggio, gli impianti che trattano matrici fermentescibili quali fanghi, scarti alimentari e di trasformazione delle derrate (con l'eccezione dunque degli impianti che trattano solo scarti di manutenzione del verde ed altre matrici lignocellulosiche) devono essere dotati di sistemi di gestione al chiuso delle prime fasi di trasformazione e di tecnologie per il trattamento degli odori, indipendentemente da dimensioni operative e distanza dalle abitazioni.
Queste prescrizioni generali, intese evidentemente a standardizzare in senso cautelativo le previsioni operative per gli im pianti ammessi alle procedure semplificate, sono eccessivamente severe per molte delle situazioni operative in cui il potenziale odorigeno sarebbe trascurabile, a causa di basse capacità operative, localizzazioni defilate e/o specifici sistemi di processo (esempio: quelli di tipo statico). Va anche aggiunto che il decreto non prevede né criteri di dimensionamento dei sistemi di presidio (solo il principio viene definito), né metodi di valutazione della loro efficacia. Questo può evidentemente portare a situazioni, invero frequenti, in cui l'installazione di sistemi di abbattimento degli odori con tempi di contatto insufficienti rispetta le condizioni prescrittive, ma non garantisce la prevenzione, né la gestione del problema.
Allo stato attuale delle cose, comunque, va segnalato che le procedure di autorizzazione "normali" (le più utilizzate, sinora) non prevedono alcuna codificazione di aspetti prescrittivi relativi a ge stione e trattamento delle arie odorigene (come d'altronde niente viene descritto per la gestione delle acque reflue, né per gli standard di processo). Le norme tecniche nazionali relative al compostaggio (D.C.I. 27 luglio 1984 per il compostaggio di RU indifferenziato, legge n. 748/84 per il compost di qualità) non prevedono condizioni prescrittive su costruzione e gestione degli impianti e sistemi di presidio ambientale, dal momento che sono intese a regolare la sola qualità finale del prodotto ed i meccanismi tecnico-amministrativi di applicazione agronomica.
Forse il decreto ministeriale sui trattamenti biologici in applicazione dell'art. 18 ("competenze dello Stato") del "Ronchi" potrà cominciare ad impostare il problema. Nelle bozze sinora circolate, vengono stabiliti alcuni criteri di principio quali:
-  la chiusura delle prime fasi di processo (in capannoni o sistemi containerizzati) fino al conseguimento di una certa fermentescibilità residua (da valutarsi mediante i test respirometrici);
-  prescrizioni semplificate per il compostaggio dei soli scarti verdi; ma anche per impianti che trattano materiali fermentescibili, se a basse potenzialità operative; questo approccio è maggiormente attinente alla articolazione della situazione territoriale italiana, che in molti comprensori collinari e montani non consegue quelle "masse critiche" operative che consentono la gestione di un sistema tecnologicamente complesso di abbattimento degli odori.
In ragione dell'aspetto relativamente nuovo del tema-odori, ed allo scopo di coadiuvare, da un lato, l'ottimizzazione dei percorsi progettuali allo scopo della minimizzazione del rischio olfattivo e, dall'altro, la scelta e la lettura dei criteri di valutazione in sede diagnostica e di controllo, in allegato riportiamo alcune note su genesi, natura, prevenzione, trattamento e valutazione degli odori negli impianti di trattamento biologico.




Con ciò stesso, verrebbero salvaguardati gli approcci operativi in cui il settore può svilupparsi per diffusione sul territorio di micro-impianti comprensoriali da 500-2.000 tonnellate, ed in cui il tema delle potenziali molestie olfattive può venire gestito con localizzazioni congrue e con alcune attenzioni gestionali alla ottimizzazione del processo ed alla tempestività degli interventi operativi.
Nel frattempo, comunque, alcune regioni hanno pubblicato re go lamenti, direttive, linee guida o "codici operativi" riferiti, con mag giore o minore dettaglio, agli standard ambientali, ed in essi quelli relativi alla gestione degli odori, negli impianti di compostaggio. In tabella 3, a titolo indicativo e di confronto, sono riportate sinteticamente le caratteristiche principali dei principali sistemi prescrittivi.
c) SISTEMI "STATICI" E "DINAMICI"
Una ulteriore classificazione rilevante ai fini della individuazione dei criteri di processo è quella tra i sistemi che propongono meccanismi periodici o continui di movimentazione della biomassa ("dinamici") e quelli che ne prevedono invece la immobilità ("statici"). Vale la pena di precisare che, essendo la movimentazione intesa, ai fini della valutazione processistica, al rimescolamento della massa ed alla ricreazione delle condizioni di porosità e strutturazione, vanno considerati tendenzialmente "statici" (dal punto di vista processistico) quei sistemi che pur traslando la massa non ne provocano rimescolamento e ristrutturazione (esempio: per traslazione a pistone).
Una delle idee generatrici dei sistemi statici è quella di non disturbare i rapporti tra biomassa, ife fungine che con essa hanno preso contatto, popolazione microbica locale (che tende a creare con il tempo una "nicchia microecologica" in ogni punto della biomassa); viene al contempo evitato lo "shock termico" temporaneo dovuto alla perdita del calore per diffusione massiva durante l'operazione di movimentazione. Dal punto di vista delle esternalità am bientali, l'assenza di rivoltamenti impedisce inoltre la diffusione massiva di polveri ed odori verso l'esterno.
L'attenzione ad alcune condizioni di ottimizzazione della fisiologia microbica, può effettivamente contribuire, nel caso dei sistemi statici, ad ulteriori accelerazioni del processo di stabilizzazione: va comunque considerato che tali sistemi richiedono generalmente come presupposto gestionale, degli scenari piuttosto "rigidi" di composizione della miscela di partenza, che deve possedere un grado di strutturazione sufficiente ad evitare l'autocompattazione della massa stessa; le umidità di partenza delle miscele da trattare non devono generalmente superare il 65%.
I sistemi dinamici possono al contrario comportare i disturbi sopra descritti per la fisiologia microbica ma presentano una maggiore elasticità di condizioni di applicazione in relazione alla composizione ponderale delle diverse matrici (in quanto adottabili anche a percentuali di materiali lignocellulosici anche relativamente basse ed umidità superiori).
A titolo indicativo, e tenuto conto anche delle condizioni medie di stagionalità della natura stessa dei materiali lignocellulosici, si possono fornire i seguenti riferimenti operativi:
-  impianti con tecnologia di tipo statico richiedono una mi scela con almeno il 40 (meglio 50%) in peso di bulking ligneo-cellulosico;
-  impianti con tecnologia dinamica richiedono una miscela con almeno il 25-30% (meglio 40%) in peso di bulking ligneo-cellulosico.
Particolari criteri gestionali, ad esempio con ottimizzazione del ricircolo degli scarti lignocellulosici (il che non può comunque prescindere da una triturazione grossolana onde comportare un basso grado di mineralizzazione di tali materiali) possono giustificare percentuali più basse di materiali lignocellulosici in ingresso all'impianto (da dimostrare comunque in base ad una valutazione dei flussi di massa).
I sistemi statici si avvalgono tipicamente di operazioni di pre-trattamento volte alla miscelazione ed omogeneizzazione spinta della biomassa, dal momento che l'assenza di rivoltamenti per un periodo relativamente lungo comporta la necessità di creare da subito le condizioni di composizione e strutturazione omogenea nei diversi punti della biomassa.
E' importante segnalare anche la maggiore vocazione specifica dei sistemi statici o semi-statici (ossia a bassa frequenza di rivoltamento), per le sezioni di maturazione non presidiate da sistemi di abbattimento odori, proprio in relazione all'assenza di momenti di liberazione massiva di odori; in tali sezioni, la minore fermentescibilità ed umidità della biomassa rende in genere facilmente adottabili i sistemi statici, purché si abbia attenzione a conservare condizioni di porosità proporzionate alle dimensioni dei cumuli.
d) SISTEMI AERATI E NON AERATI
L'aerazione forzata della biomassa è un importante fattore di ottimizzazione delle condizioni di processo nei sistemi intesi al trattamento di materiali a bassa consistenza (scarsa conduttività ai processi di diffusione spontanea) e elevata fermentescibilità. Non mancano tra l'altro casi, per quanto sporadici, di applicazione dell'aerazione forzata anche al compostaggio di soli scarti verdi (che generalmente si basano invece sulla sola esaltazione dei processi diffusivi e convettivi per l'ingresso spontaneo di aria all'interno della biomassa); in questo caso ci si avvale soprattutto della possibilità di governo termoigrometrico del processo che l'aerazione forzata consente.
La capacità di intervenire, tramite adeguati sistemi di aerazione, anche sul controllo delle temperature di processo e sull'evoluzione dello stato igrometrico della biomassa è in effetti una caratteristica importante, anche se spesso negletta, dei sistemi di processo che applicano l'aerazione forzata della biomassa. Il processo di bioconversione ha effettivamente dei range di temperatura e di umidità ottimali, ancorché differenti nelle diverse fasi del processo. L'aerazione forzata consente di intervenire, oltre che sulla ossigenazione della biomassa, anche su queste caratteristiche.
E' importante definire e descrivere brevemente natura e ruolo delle grandezze fondamentali che regolano la ottimizzazione della aerazione forzata, assieme ad alcuni dei difetti operativi riscontarti più di frequente a livello progettuale o gestionale:
-  la portata d'aria specifica (p.a.s.) generalmente espressa in normal metri cubi per ora e per unità di peso della biomassa (Nmc/h.tonnellate). Va sottolineato che generalmente le necessità di aerazione relative al drenaggio del calore in eccesso sono superiori, anche di un intero ordine dimensionale, rispetto a quelle relative alla fornitura dell'ossigeno stechiometricamente necessario; nel caso di biomasse di origine alimentare, si tratta rispettivamente di decine ed unità di Nmc/h.tonnellate Ciò equivale a dire che i sistemi di aerazione vanno dimensionati ed utilizzati essenzialmente sulle necessità di controllo termometrico, mentre come effetto derivato si ottiene anche l'ossigenazione della biomassa. Quello che spesso viene sottovalutato è che contestualmente tale dimensionamento comporta una forte evaporazione dalla biomassa, con l'eccezione di sistemi confinati dal punto di vista igrometrico quali quelli a container con ricircolo delle arie, con intensi ed estesi processi di disseccamento. Spesso l'interruzione precoce dei processi di biostabilizzazione per l'abbassamento dell'umidità al di sotto dei contenuti minimi coerenti con la dinamica del processo nelle diverse fasi porta a collocare in maturazione esterna matrici con un potenziale metabolico elevato, che in caso di reinumidimento (anche per le semplici precipitazioni meteoriche) danno luogo ad una massiccia riattivazione di processi metabolici, in una fase non presidiata né dotata di strumenti per la conduzione di processi intensivi di stabilizzazione. Buona norma è dunque la predisposizione di sistemi di reinumidimento della biomassa ed il controllo periodico delle necessità di ristoro; questo soprattutto nei sistemi "dispersivi" da un punto di vista igrometrico, quali sono anche i sistemi confinati in capannone ma in cui l'aspirazione finale delle arie cariche di umidità ed il loro invio a trattamento/dispersione determina un massiccio drenaggio di umidità al sistema;
-  la proporzione tra tempi di accensione e spegnimento. E' una abitudine operativa diffusa negli impianti, al pari dell'aerazione in continuo, quella della ventilazione intermittente della biomas sa, allo scopo di consentire durante i periodi di spegnimento l'equalizzazione di umidità e temperatura nelle diverse zone della biomassa (l'aerazione in continuo può comportare invece stratificazioni più o meno estese). La proporzione tra tempi di accensione e spegnimento viene guidata essenzialmente dal livello termometrico che si vuole mantenere nella biomassa; a parità di portata d'aria specifica e di "potere calorigeno" della biomassa (dipendente a sua volta dalla sua umidità e dalla sua ricchezza in sostanze facilmente aggredibili) una maggiore incidenza dei tempi di accensione porta a livelli termometrici medi inferiori; temperature di processo ottimizzate consentono la massima velocizzazione dello stesso processo e un sostanziale abbattimento della fermentescibilità della biomassa prima del suo recapito alle fasi di processo meno intensive e non presidiate (maturazione, deposito finale);
-  la durata assoluta dei tempi di spegnimento delle soffianti. Spesso si rilevano, in sede di gestione dell'impianto, durate eccessive dei tempi di spegnimento, con abbassamento temporaneo delle concentrazioni di O2 al di sotto, prima, dei limiti di massima velocizzazione del processo (15-17%) e, poi, di quelli di sostenibilità del processo aerobico stesso (10-12%). Tale effetto si può produrre, per biomasse ancora "giovani" e metabolicamente attive, in un tempo relativamente breve, dell'ordine dei 20'-30'. Si esamini ad esempio il grafico di figura 1:



Il grafico è stato ottenuto per rilevamento diretto on-site, durante un intero ciclo di accensione e spegnimento, del tenore CO2 prodotta dal metabolismo microbico, il cui rapporto stechiometrico con l'abbassamento del tenore in O2 rispetto al contenuto ideale del 21%, è pari a 1,375; la rilevazione è stata condotta in una fase di stabilizzazione già relativamente avanzata (dopo circa 20 giorni in trincea areata).
Ci si rende subito conto che per biomasse ancora relativamente "giovani" ed il cui metabolismo aerobico è ancora attivo, tempi di spegnimento tendenzialmente maggiori di 30' possono comportare scostamenti dalla condizione di buona aerobiosi per buona parte del processo. Due gli effetti negativi ai fini della minimizzazione degli odori:
-  un rallentamento del metabolismo aerobico e del processo di biostabilizzazione per proporzioni anche rilevanti dell'intero tempo di processo; dunque si può determinare il recapito alla sezione di maturazione di una biomassa ancora fermentescibile e non coerente con i sistemi di processo generalmente non presidiati, né insufflati, predisposti in tale fase;
-  una produzione diretta di composti ridotti ed odorigeni nel caso di tempi di spegnimento particolarmente lunghi, per l'attivazione di meccanismi metabolici putrefattivi; il che determina un aumento del carico odorigeno complessivo, fino a poter mettere in crisi il sistema di presidio predisposto.
1.3.5.  Il problema delle dimensioni operative: approcci semplificati per i sistemi decentrati di compostaggio
Il compostaggio è sostanzialmente un processo naturale basato sul governo dei processi spontanei a carico della sostanza organica; può dunque consentire, accanto ai sistemi ad alta complessità tecnologica, anche approcci low-tech. Alcuni accorgimenti processistici (come ad esempio l'allestimento di cumuli di dimensioni limitate e forme adeguate a promuovere il ricambio dell'aria interna per diffusione passiva e moti convettivi) possono consentire anche una estrema semplificazione operativa; in questi casi si potrebbe anche ipotizzare, a fronte di una estensivizzazione del processo, con conseguente aumento della superficie specifica necessaria, di escludere la aerazione forzata (scelta che tuttavia comporta generalmente un minore grado di controllo e gestione del processo, e dunque sconsigliamo) e/o il rivoltamento periodico della biomassa, ed il compostaggio va ad assomigliare ai processi naturali di decadimento della sostanza organica quali avvengono nei sistemi naturali o nelle letamaie degli insediamenti zootecnici.
Vanno invece considerate con attenzione le opportunità, le condizioni e le conseguenze delle semplificazioni tecnologiche ed operative per quanto concerne i sistemi di gestione e trattamento degli odori; anche i processi naturali di mineralizzazione tendono infatti a produrre ed, in certe condizioni, a liberare odori. Sotto questo punto di vista, il "potenziale odorigeno" di una iniziativa può essere concettualmente valutato come il prodotto di alcuni fattori, secondo la seguente equazione concettuale:

In cui O (il rischio di determinare disturbi olfattivi presso gli insediamenti abitativi) è direttamente proporzionale a F (fermentescibilità dei materiali, più alta per scarti alimentari e fanghi che per gli scarti di giardino) e a Q (quantità di materiali trattati) ed inversamente proporzionale alla distanza D dagli abitati.
Le condizioni per la adozione di approcci operativi semplificati, con specifico riferimento alla semplificazione delle dotazioni di presidio ambientale, si possono dunque determinare essenzialmente per:
-  natura dei materiali trattati, grazie alla bassa fermentescibilità delle matrici; è questo ad esempio il caso delle piazzole per il compostaggio di soli scarti "verdi", descritte e valutate, nelle loro specificità, al capitolo 4.
-  dimensioni operative limitate, in eventuale combinazione con localizzazioni favorevoli (contesti rurali o comunque ad elevata distanza dalle abitazioni)
In territori collinari e montani, con forte decentramento abitativo, è oggettivamente difficile pensare di concentrare le capacità impiantistiche che giustifichino gli allestimenti "hi-tech", in quanto tale concentrazione sarebbe discordante, prima ancora che con il "principio di prossimità" attestato dalle direttive europee sulla gestione dei rifiuti, con il buon senso che porta a minimizzare i percorsi di trasporto (soprattutto in situazioni con viabilità generalmente difficile).
Per tale motivo, ad esempio, da tempo in Austria si è sviluppata una vasta tipologia di siti decentrati per il compostaggio, sino all'introduzione dei centri operativi all'interno di strutture rurali preesistenti (Baüerliche Kompostierung, ossia compostaggio "rurale"); e questo, in verità, non solo in realtà tipicamente montane: ad esempio la città di Graz, seconda per popolazione in Austria, da tempo conferisce il suo scarto di cucina e quello "verde" ad una rete cooperativa di aziende agricole (ARGE Kompost) che mettono a disposizione piazzali, attrezzature e macchinari specifici (trituratori, vagli) gestiti in forma itinerante per ammortizzarne il costo su più siti. Per motivi analoghi, la Provincia di Bolzano ha inteso promuovere un forte decentramento, in una ipotesi di distribuzione territoriale delle attività di compostaggio che prevedono sostanzialmente una rete di piazzole di piccole dimensioni (da 200 a 2.000 ton/anno) in ogni comprensorio montano.
Sulla base di queste premesse le presenti linee-guida riconoscono la particolarità delle situazioni operative decentrate, consentendo la semplificazione dei sistemi di presidio ambientale in siti decentrati a bassa capacità operativa, onde assicurare le condizioni per lo sviluppo del compostaggio, ad esempio, anche in molti dei comprensori collinari e montani dell'interno della Regione.
CONFIGURAZIONI OPERATIVE E VOCAZIONI
L'attivazione di siti impiantistici dedicati al compostaggio in situazioni decentrate si deve generalmente confrontare con l'esigenza di rendere operative le iniziative in mancanza di edifici per la gestione confinata di parte delle operazioni (in particolare, le fasi di ricezione, pretrattamento e/o stabilizzazione accelerata) e in assenza dunque di sistemi per la canalizzazione delle arie esauste ai sistemi di trattamento degli odori. La scelta è duplice: o si contengono fortemente le capacità operative (esempio: fino a 1000 tonnellate/anno), ricadendo nella tipologia degli impianti di piccolissime dimensioni, oppure vanno privilegiati quei sistemi operativi che consentono una gestione poco odorigena dei processi anche a dimensioni superiori, per quanto ancora relativamente limitate.
In questo secondo caso vanno dunque rispettate contestualmen te le seguenti condizioni:
-  la preferenza per sistemi statici o semi-statici di compostag gio, in ragione della loro attitudine a liberare odori in misura sensibilmente inferiore rispetto ai sistemi con movimentazione frequente della biomassa;
-  la predilezione per sistemi, ancorché decentrabili, "chiusi" o "semi-coibentati" mediante strutture o materiali di contenimento (esempio: container, teli semi-traspiranti), in ragione delle loro capacità di consentire un migliore controllo delle arie esauste e degli odori da essi veicolati;
-  la necessità di predisporre iniziative modulari e facilmente amovibili, onde consentire una possibile evoluzione operativa del sito (od una sua dismissione una volta attrezzato un sito per la ge stione centralizzata del flusso di scarto compostabile a servizio di un distretto allargato);
-  il contenimento delle capacità operative comunque entro determinati limiti dimensionali, nell'ordine di poche migliaia di tonnellate/anno, allo scopo di governare al meglio il potenziale odorigeno connesso alle fasi di ricezione e pretrattamento, nel caso che fattori costrittivi di natura economica o topografica rendano difficile l'allestimento degli edifici chiusi deputati a tali operazioni. Ovviamente, a potenzialità relativamente più elevate, ed anche in considerazione della maggiore o minore criticità per la distanza degli insediamenti abitativi, è opportuno comunque predisporre edifici chiusi atti a svolgere le operazioni di ricezione, pretrattamento, cernita, operazioni che richiedono movimentazioni e dunque sono connotate da una spiccata tendenza alla liberazione di odori.
Particolarmente vocate, in questi casi, anche per la tempestività di allestimento, sono le tecnologie a biocontainer (in particolare quelli in carpenteria metallica, grazie alla loro amovibilità) ed a cumuli statici aerati, esempio con teli coibenti semi-traspiranti.
MODULARITÀ DELLE TECNOLOGIE DI PROCESSO
La modularità (cioè la possibilità di parcellizzare le capacità operative allo scopo di conseguire una dimensione minima impiantistica, il che può essere interessante nel caso di esperienze di compostaggio a servizio di piccoli bacini, ma anche al fine di conseguire una modulazione fine delle potenzialità delle linee a servizio di diversi flussi di matrici compostabili) è una caratteristica intrinseca di alcune delle tipologie impiantistiche, così come specificato nel paragrafo seguente, in sede di descrizione delle diverse tecnologie di processo.
La modularità degli impianti è ovviamente particolarmente interessante nel caso di piccole iniziative di compostaggio. In queste situazioni sono generalmente da preferire quelle tecnologie che richiedono ridotti investimenti in opere civili ed infrastrutturali.
In realtà non esistono tecnologie modulari o meno in senso assoluto (anche una tecnologia adatta a capacità operative medio-grandi può essere replicata più volte, ovvero su più linee, in un impianto la cui potenzialità è multipla del modulo-base), ma si può in ogni modo valutare ed evidenziare una maggiore o minore modularità in relazione alla dimensione minima operativa, necessaria a mantenere comunque una relativa efficienza tecnico-economica in relazione agli ammortamenti delle opere e dei macchinari. Intuitivamente, a potenzialità operative crescenti, aumenta progressivamente la competitività economica (una volta considerate le necessità di superficie, gli investimenti e gli ammortamenti specifici) di tecnologie a bassa modularità; il contrario può essere affermato, a parità dei fattori al contorno, per le tecnologie a spiccata modularità.
Nella tabella seguente si riportano indicazioni di "range" sulle caratteristiche dimensionali minime (per una gestione economicamente efficace) delle principali tipologie di impianti a spiccata mo dularità. Ulteriori indicazioni ed informazioni vengono fornite nel paragrafo seguente, in sede di descrizione delle singole tecnologie di processo.



Le tipologie impiantistiche basate sul contenimento delle fasi di processo più odorose in capannoni (con compostaggio in trincea, su pavimentazione aerata, ecc.,) in ragione degli ammortamenti necessari trovano la loro vocazione specifica in iniziative di compostaggio di dimensioni operative dell'ordine delle 10'000 tonnellate/anno o superiori. In questi casi riescono generalmente a sfruttare meglio le aree disponibili, coadiuvando l'ottimizzazione del progetto nel caso che la superficie rappresenti un fattore limitante (il che oggettivamente è raro nelle iniziative di piccola dimensione).
E' importante in ogni modo sottolineare che le condizioni di scelta tra le diverse tecnologie devono comunque tenere conto di tutti gli altri fattori legati alla specificità locale, quali (a titolo esemplificativo e non esclusivo): il grado di meccanizzazione desiderato; la prevista disponibilità (in percentuale sulla miscela in ingresso) di materiale strutturale; le sinergie con iniziative operative di altro tipo (aziende zootecniche, piattaforme ecologiche, ecc.); il grado di presidio ambientale necessario, ecc.
E' infine evidente che vanno contestualmente valutati altri ri svolti operativi ed economici delle iniziative decentrate, quali anzitutto la necessità di trovare economie di gestione al parco-attrezzature. In ragione dei costi di acquisto delle principali macchine operatrici specifiche (trituratori, vagli, movimentatrici, ecc.) è opportuno considerare quanto segue:
-  per trituratori e vagli: noleggio periodico presso la rete dei contoterzisti (già consolidata in altri contesti regionali e di cui è verosimile ipotizzare uno sviluppo a seguito della implementazione delle strategie di settore sul territorio regionale) o presso altri impianti, per le capacità eccedenti le loro necessità. In ragione del finanziamento pubblico previsto per molti degli impianti, è evidentemente raccomandabile individuare già in sede di programmazione una gestione coordinata di questi circuiti di nolo o prestito, con valutazione dei costi di nolo al netto dell'ammortamento nel caso di contributo integrale ed a fondo perso. Ovviamente, nel caso del ricorso periodico a macchinari esterni va considerato il dimensionamento di piazzali di stoccaggio, rispettivamente dei materiali lignocellulosici in ingresso per i trituratori, e del prodotto finale per i vagli, di capacità adeguata ad accumulare volumi sufficienti a sfruttare bene l'intervento del macchinario a nolo; sovente, in ragione della elevata incidenza dei costi di trasferta, viene infatti "venduta" la giornata di lavoro, che viene bene ammortizzata solo su quantitativi di materiali da trattare dell'ordine di qualche centinaio di metri cubi;
-  per il rivoltamento: adottare le pale meccaniche (per le capacità in esubero rispetto alle altre operazioni richieste) oppure prevedere sistemi di processo di tipo "statico".
1.3.6.  Descrizione dei sistemi tecnologici
Sulla scorta dei concetti precedentemente esposti, di seguito vengono elencati i sistemi di processo, descrivendone le caratteristiche precipue, le vocazioni d'uso e le condizioni di adozione.
Sottolineiamo anzitutto che tutti i sistemi di processo possono essere confinati in spazi presidiati; alcuni di essi (esempio: sili, biocontainer) sono chiusi per caratteristiche intrinseche. In generale possono essere comunque individuate le seguenti condizioni normali di adozione:
Sistemi aperti (eventualmente confinabili):
-  cumulo statico aerato;
-  cumuli rivoltati.
Sistemi chiusi:
-  sili;
-  biocontainer;
-  biotamburi;
-  trincee dinamiche (nelle condizioni generali di allestimento);
-  bacini dinamici (nelle condizioni generali di allestimento).
Sistemi versatili:
-  andane rivoltate.
CUMULI STATICI AERATI
Sistema di relativa semplicità tecnologica. Sviluppato anzitutto in America con il nome di "sistema Beltsville", allo scopo di fornire agli agricoltori un sistema semplice di bioconversione, stabilizzazione ed umificazione delle biomasse di scarto a scopo agronomico, nelle diverse varianti si configura come un sistema statico ed aerato, tipicamente aperto: prevede la disposizione della biomassa in cumulo, con aerazione forzata in aspirazione al di sotto dei cumuli stessi ed invio delle arie esauste ad un biofiltro a compost; sulla superficie del cumulo viene disposto uno strato di compost maturo, inteso a fornire un leggero effetto di coibentazione ed a garantire la biofiltrazione degli effluenti gassosi sfuggiti dalla superficie del cumulo.
La filosofia ispiratrice, come in tutti i sistemi statici, è la semplificazione operativa, e, dal punto di vista processistico, la mancanza di rivoltamenti del cumulo non disturba la biomassa microbica, oltre ad impedire la diffusione massiva degli odori molesti. Necessita, come sistema tipicamente statico, di una alta percentuale di materiale strutturale di natura lignocellulosica; l'umidità della miscela di partenza è un parametro dirimente per la sua applicabilità, ed il sistema si avvale efficacemente di pre-trattamenti di omogeneizzazione spinta.
In alcune interessanti varianti innovative, in corso di forte diffusione sul territorio nazionale ed estero, l'aerazione avviene per insufflazione e per la copertura dei cumuli vengono adottati appositi teli o membrane semi-permeabili, con adeguate caratteristiche di traspirabilità per la perdita controllata di umidità dal sistema. La creazione di un velo liquido nella faccia inferiore dei teli aumenta la ritenzione complessiva delle molecole odorigene all'interno del sistema, determinandone le condizioni di metabolizzazione per ossidazione fino a molecole non odorigene; la CO2 prodotta viene invece rilasciata verso l'esterno, così come il vapore d'acqua, con cinetiche di traspirazione determinate appunto dalla traspirabilità dei teli. Alcune ditte propongono teli a diversa traspirabilità per:
-  compostaggio/stabilizzazione (a traspirabilità relativamente bassa, per impedire il disseccamento precoce della biomassa e l'arresto del metabolismo a carico delle sostanze fermentescibili ancora presenti) e;
-  bioessiccazione (a traspirabilità superiore per favorire l'al lontanamento sollecito dell'umidità dal sistema).
Nel caso di elevate capacità operative e/o localizzazioni critiche, è comunque opportuno istituire un ulteriore livello di presidio onde gestire i potenziali problemi di odori - resi avvertibili in conseguenza delle masse movimentate - che possono svilupparsi per le operazioni di miscelazione, costruzione e asportazione dei cumuli.
CUMULI RIVOLTATI
Prevedono la disposizione della biomassa in cumuli di grandi dimensioni (3-4 mt. di altezza; larghezza da 3 ad oltre 20 mt.), tipicamente senza aerazione; adottano frequenze di rivoltamento generalmente rade (intervalli di settimane o mesi), con pala meccanica; altre volte semi-intensivizzato con rivoltatrici apposite (nel caso di sistemi in continuo, descritti di seguito).
Questo sistema è adottato generalmente per matrici ad alta prevalenza di materiale lignocellulosico (residui verdi) o per biomasse già in stato avanzato di biostabilizzazione (maturazione di biomasse già ben stabilizzate dopo fase attiva). In relazione alle condizioni di adozione tipiche (scenari non critici di gestione del processo) il sistema è generalmente aperto.
I cumuli possono essere gestiti in batch, su postazioni per partite coetanee di biomassa, o in continuo, con formazione del cumulo su una sezione di carico e traslazione progressiva, mediante meccanismi di rivoltamento con traslazione laterale, verso la sezione di scarico. Questa seconda soluzione elimina gli spazi inutilizzati fra cumulo e cumulo, mentre costringe ad adottare rivoltamenti a periodicità fissa e scollegata dalle effettive esigenze di processo (il che può risultare operativamente ed economicamente più impegnativo) per le esigenze geometriche di predisposizione di nuovo spazio nella sezione di carico. Ovviamente in base a quanto detto la disponibilità di spazio diventa un fattore dirimente nella scelta.
ANDANE
Le andane hanno generalmente dimensioni inferiori ai cumuli (altezza max 2,5 mt.) e possono usufruire o meno dell'aerazione forzata; il rivoltamento è generalmente frequente (tipicamente, a intervalli di qualche giorno o quotidiani) ed avviene con movimentatrici apposite. Vi è una grande varietà di rivoltatrici disponibili sul mercato, differenziabili essenzialmente in base al sistema di movimentazione (per agitazione, nel caso delle scavallatrici; per traslazione, nel caso di macchine tipo desilatrici modificate o di rulli a fresa laterale con scarico laterale o sul retro) oltre che in base alle capacità operative (da poche decine a migliaia di mc/h).
Usate all'aperto od al chiuso, vengono adottate:
-  per la fase attiva di matrici a fermentescibilità elevata, preferibilmente al chiuso, od all'aperto in situazioni ove (per capacità operative limitate o per localizzazioni distanti da insediamenti abitativi) gli impatti olfattivi non costituiscono oggetto di preoccupazione;
-  per fasi di maturazione all'aperto (più raramente al chiuso) di materiale con fermentescibilità solo residua (dopo fase attiva in sistema controllato e presidiato).
BIOCONTAINER E BIOCELLE
Sono reattori chiusi a sviluppo orizzontale, tipicamente statici (ma alcuni tipi prevedono sistemi di movimentazione interna) e con aerazione forzata. La biomassa viene disposta in letti dell'altezza massima di circa 3 metri, altezza che tende a prevenire il compattamento e favorisce la diffusione dell'aria all'interno. A livello terminologico si distingue generalmente tra biocontainer (nel caso di strutture in carpenteria metallica) e biocelle (nel caso di strutture in calcestruzzo). I tratti comuni dei due sistemi sono l'adozione della aerazione forzata e la canalizzazione delle arie esauste verso sistemi di trattamento (generalmente, nel caso dei biocontainer, biofiltri anch'essi predisposti su container dedicati). I caratteri distintivi dal punto di vista processistico sono invece descrivibili come di seguito:
-  biocontainer: amovibili, non coibentati; volumi unitari del l'ordine dei 20-30 mc (la tipologia più diffusa prevede volumi utili di 25 mc/container); arie esauste generalmente non ricircolate;
-  biocelle: non amovibili, coibentate; volumi unitari dell'ordine di diverse decine di metri cubi; generalmente prevedono la possibilità del ricircolo dell'aria, ed a volte sono dotate di scambiatore di calore; spesso dotate di sistemi di rilevazione dei principali parametri di stato (umidità, percentuale di ossigeno nell'atmosfera interna, temperatura) e regolazione in feed-back dei flussi d'aria e delle percentuali di ricircolo.
La disponibilità di un sistema di ricircolo dell'aria dotato di scambiatore di calore consente di disaccoppiare le necessità di drenaggio del calore in eccesso dal sistema da quelle di ossigenazione della massa; dal momento che le esigenze specifiche di aerazione, come esaminato in precedenza, sono sensibilmente maggiori per il governo termometrico del sistema che per l'apporto dell'ossigeno stechiometricamente necessario, le arie "esauste" dopo un passaggio singolo attraverso la biomassa sono ancora relativamente ricche di ossigeno, mentre devono rilasciare il calore all'esterno; il ricircolo di arie passate dallo scambiatore di calore consente tale operazione evitando al contempo:
-  di aumentare il flusso di arie da inviare al trattamento finale di abbattimento odori;
-  di asportare in misura eccessiva l'umidità drenata dalla biomassa, ricircolandola invece (almeno parzialmente) con le arie riutilizzate e mantenendo il sistema nello stato termoigrometrico ottimale per la prosecuzione del processo.
Tutto ciò consente un eccellente controllo integrato delle condizioni di processo, utilizzando di volta in volta l'aria insufflata co me sistema di drenaggio di calore e/o vettore di ossigeno. La quota di aria esausta progressivamente sostituita da aria nuova prelevata all'esterno può venire determinata in continuo dai feed-back del sistema di controllo (in caso di abbassamento del tenore in ossigeno, aumenta la percentuale di aria immessa nel sistema dall'esterno, e di conseguenza quella di aria esausta espulsa dal sistema ed avviata a trattamento degli odori).
Le biocelle ed biocontainer vengono efficacemente usati come tecnologia per la gestione della fase attiva del compostaggio della frazione organica da raccolta differenziata ed altre matrici fermentescibili; il fattore condizionante, come generalmente avviene nei sistemi statici, può essere rappresentato dal grado richiesto di strutturazione della biomassa, che prevede buone percentuali di supporto lignocellulosico.
Altra peculiarità, grazie alle capacità operative unitarie generalmente basse (qualche tonnellata/die per unità di processo), è l'adattabilità del sistema a iniziative modulari di trattamento con linee differenziate per compostaggio di qualità e trattamento biologico di frazioni da selezione post-raccolta (disposizione in parallelo di più reattori).
Rispetto alle biocelle, i biocontainer attestano una maggiore flessibilità operativa (per le capacità ancora inferiori del singolo container rispetto a quelle di una biocella) e le condizioni di facile amovibilità (potenzialmente importanti in uno scenario impiantistico in evoluzione). Dal punto di vista economico, i costi di in vestimento specifici tendono ad essere favorevoli per i biocontainer a dimensioni operative medio-piccole e piccole (esempio: sotto le 10.000 tonnellate/anno) mentre ad elevate capacità operative possono diventare competitive le biocelle, a causa della maggiore incidenza unitaria del costo della carpenteria metallica necessaria per la realizzazione di più moduli di capacità equivalente ad una singola biocella in calcestruzzo.
TRINCEE DINAMICHE
Si tratta di reattori dinamici a sviluppo orizzontale, a capacità modulare suddivisa in più trincee servite da una o più linee di aerazione forzata (parzializzate in senso longitudinale o, meglio, trasversale, con modulazione delle portate d'aria specifiche nelle diverse sezioni corrispondenti alle diverse età di processo); sui montanti delle trincee corrono binari per la traslazione di movimentatrici della biomassa. Le movimentatrici generalmente comportano anche il trasferimento progressivo della biomassa dalla testa alla coda della singola trincea o da una trincea a quella adiacente (nel caso di traslazione laterale). Il sistema è dunque tipicamente in continuo.
Le trincee sono tipicamente impiegate per la gestione delle fasi attive di biomasse ad elevata fermentescibilità (fanghi, agroalimentari, "umido" domestico) in ambienti chiusi (capannoni). Come si stema dinamico, hanno il vantaggio di potere controllare attivamen te, garantendo un buono svolgimento del processo, qualunque scenario di composizione delle matrici, anche nelle condizioni più sfavorevoli di umidità di partenza, grazie alla ricostituzione periodica dello stato strutturale e poroso della biomassa ed alla prevenzione della formazione di strati saturi e compattati per il rimescolamento periodico. Sono tecnologie notevolmente diffuse in impianti di dimensioni medie e grandi, basate generalmente su abbinamenti di movimentatrice e trincea, nelle specifiche dimensioni e disposizioni proposte dalle diverse ditte fornitrici.
Le trincee, grazie alle capacità operative unitarie generalmente basse (qualche tonnellata/die per unità di processo), sono facilmente adattabili ad eventuali iniziative modulari di trattamento biologico con linee differenziate per compostaggio di qualità e trattamento biologico di frazioni organiche da selezione post-raccolta (grazie alla disposizione in parallelo di più reattori).
BACINI DINAMICI
Con questa tipologia impiantistica, tipicamente dinamica ed aerata il materiale viene disposto in un tappeto di biomassa, rivoltato con rivoltatrici apposite (a coclee, a ruote dentate, a tazze, ecc. generalmente montate su carri ponte) ed aerato.
Viene generalmente gestito al chiuso ed impiegato per la fase attiva di biomasse ad elevata fermentescibilità o in alternativa per entrambe le fasi (fase attiva e di maturazione nello stesso edificio senza discontinuità; a volte in tale caso, la parte finale del processo non è aerata).
I costi di allestimento relativi alle strutture di sostegno e guida delle rivoltatrici determinano generalmente diseconomie a piccole capacità operative, mentre tali sistemi possono rivelarsi economicamente competitivi ad elevate capacità (esempio: superiori a 100 ton/die)
Valgono le considerazioni già sviluppate sulle trincee dinamiche per quanto concerne le prerogative di sistemi con rivoltamento della biomassa.
BIOTAMBURI
Sono reattori a sviluppo orizzontale, generalmente dotati di adduzione forzata di aria e canalizzazione e raccolta delle arie esauste (sistemi chiusi, a loro volta confinabili in capannoni). Il sistema è dinamico e la movimentazione della biomassa viene qui garantita dalla rotazione delle stesse strutture di contenimento; il carico e lo scarico possono essere in continuo od in batch.
Vengono usati per la fase attiva in sistemi intensivi di compostaggio, ma più spesso con bassi tempi di ritenzione (48-72 h) e come pretrattamento dinamico di omogeneizzazione e pre-fermentazione accelerata, prima del passaggio ad altre tecnologie di stabilizzazione in fase attiva.
SILI
Si tratta di reattori chiusi a sviluppo verticale con carico (e scarico) continuo o discontinuo della biomassa e adozione della aerazione forzata. La tecnologia appartiene al gruppo dei sistemi chiusi, e prevede grossi contenitori a torre, mono o pluristadio (con setti divisori orizzontali), con carico dall'alto e insufflazione generalmente dal basso. Il sistema è generalmente statico (tecnologie in batch) o semi-dinamico (esempio: sili a scarico progressivo da settori superiori a quelli inferiori).
La tecnologia a silo è relativamente poco diffusa in Italia. Questi sistemi, in particolare, quelli monostadio, tendono a presentare un limite operativo nei frequenti ed attendibili compattamenti della massa e nelle difficoltà di diffusione dell'ossigeno all'interno della intera massa contenuta, laddove le altezze della biomassa ammassata nel singolo stadio tendono a superare i 4 metri.
1.3.7 Pre-trattamenti e trattamenti finali
I pre-trattamenti ed i trattamenti finali (o post-trattamenti) vengono così definiti in relazione alla collocazione di questi interventi rispetto al processo di trasformazione biologica.
In generale si può affermare che i pre-trattamenti comprendono tutte quelle operazioni tecnologiche volte ad allontanare i corpi indesiderati dalle biomasse prima di avviarle al trattamento biologico, oppure a condizionarne la natura fisico-chimica delle matrici (esempio: pezzatura, umidità) al fine di ottimizzare il processo, oppure ad ottenere una miscela "ottimale" e quanto più possibile omogenea con lo stesso scopo.
I trattamenti finali possono invece essere finalizzati a condizionare il materiale finale prima di trasportarlo all'esterno dell'im pianto per collocarlo a destinazione finale o commercializzarlo, con l'obiettivo specifico di uniformarne la granulometria ed allontanare i corpi indesiderati eventualmente sfuggiti ai pre-trattamenti, oppure condizionarne la natura fisica (esempio: umidità) o merceologica (esempio: granulometria, consistenza).
I pre e post-trattamenti sono spesso fondamentali per un buon trattamento dei rifiuti fermentescibili anche se non lo sono in ogni caso e per ogni situazione impiantistica specifica.
Riassumendo e schematizzando, I pre e post-trattamenti possono dunque essere classificati in ordine all'obiettivo di:
a)  "condizionare" la natura fisica dei materiali da sottoporre al processo biologico (pretrattamenti) o quella merceologica dei prodotti finali (post-trattamenti):
-  pre-trattamenti:
-  triturazione/sfibratura;
-  miscelazione/omogeneizzazione;
-  inumidimento od asportazione dell'umidità in eccesso;
-  post-trattamenti:
-  essiccamento;
-  pellettizzazione;
b)  separare i corpi estranei od indecomposti eventualmente presenti:
-  pre-trattamenti:
-  vagliatura/separazione (dimensionale, idrodinamica, ecc.);
-  separazione di corpi metallici;
-  post-trattamenti:
-  raffinazione dimensionale, densimetrica o aeraulica.
L'elenco fornisce un quadro delle opzioni operative normalmen te utilizzate in iniziative di compostaggio di qualità con recapito all'impianto di scarti a buon grado di purezza merceologica, come generalmente è nel caso di iniziative collegate a circuiti dedicati di raccolta differenziata alla fonte. Le stesse tecnologie trovano, applicate in modo differente, collocazione anche in impianti di trattamento biologico per rifiuti indifferenziati contenenti sostanza organica putrescibile.
Va inoltre rilevato che in alcune situazioni pre e post-trattamenti vengono inseriti tra le fasi principali del processo biologico (esempio: tra la fase attiva e la fase di maturazione) per avvalersi di particolari condizioni fisiche della biomassa in tale fase e/o impedire un contatto prolungato tra certi corpi estranei e la biomassa e/o una usura accentuata dei macchinari. E' tuttavia sconsigliabile adottare raffinazioni dimensionali intermedie spinte, per evitare di impoverire di materiali di buona consistenza e capacità strutturale la biomassa, che ancora deve essere sottoposto alla fase di maturazione in cui i processi diffusivi e la conduttività all'aria devono soddisfare la richiesta d'ossigeno residuale.
Per ciascuna tipologia di trattamento elencata sono possibili differenti ed innumerevoli soluzioni impiantistiche. Di seguito si riportano le principali considerazioni a riguardo della scelta di adozione e delle coerenze operative connesse a ciascuna opzione.
TRITURAZIONE, LACERAZIONE E SFIBRATURA
Queste operazioni devono consentire una adeguata lacerazione dei tessuti organici e/o dei sistemi di contenimento (sacchi) in modo da aumentare la superficie di contatto ed attiva per il metabolismo microbico. Ciò può essere ottenuto da sistemi tecnologici che prevedono generalmente gruppi operativi a martelli, a coltelli, oppure a coclee.
Per gli agenti di supporto lignocellulosici vengono generalmente adottati trituratori a martelli in quanto in grado di garantire una buona apertura delle fibre ligniniche e cellulosiche mantenendo un buon grado di consistenza dimensionale e strutturale.
Diverse esperienze hanno invece fatto rilevare l'incongruità dell'impiego di tali trituratori per la sfibratura delle biomasse alimentari da raccolte selezionate dell'"umido" in ambito urbano; la presenza eventuale, ancorché saltuaria, di corpi estranei vetrosi e di altro tipo in tali flussi di biomassa determina infatti l'inconveniente della loro frammentazione, rendendo più complicata la loro separazione in sede di raffinazione finale ed andando dunque ad aumentare la quota di inerti nel prodotto. Per le linee di triturazio ne di biomasse da raccolta selezionata dell'umido si dimostrano dun que più funzionali i sistemi di triturazione basso numero di giri con apparati laceranti a coclee od uncini/ramponi/coltelli, per i quali si può, in modo più congruo, parlare di "lacerazione" dei tessuti organici.
Ovviamente le capacità operative del/dei sistema/i di triturazione, rapportate al totale previsto di ore di impiego annue, vanno rapportate al quantitativo della sola biomassa di origine alimentare e rispettivamente di quella lignocellulosica, nel caso vengano previste linee indipendenti di sfibratura, piuttosto che alla somma delle due nel caso di convogliamento di entrambe al sistema di triturazione a coclee o coltelli.
Occorre ricordare che in molti casi i flussi di scarti alimentari, se raccolti e conferiti in purezza, non necessitano di un vero e proprio processo di sfibratura, ma solo a blandi trattamenti in grado di assicurare la lacerazione dei manufatti di contenimento, come i sistemi lacerasacchi (esempio: mediante carri miscelatori a coclee).
MISCELAZIONE ED OMOGENEIZZAZIONE
La perfetta omogeneizzazione della miscela-substrato è essenziale sempre, e soprattutto nei sistemi statici di compostaggio, in quanto:
-  devono essere garantite in ogni punto le condizioni di strutturazione della biomassa necessarie alla diffusione gassosa;
-  non vi sono effetti di miscelazione progressiva dei materiali garantiti invece dall'adozione di sistemi di movimentazione (come invece è nei sistemi dinamici, in cui la miscelazione iniziale può essere grossolanamente affrontata mediante la disposizione stessa in cumulo o trincea o tamburo con le attrezzature caricatrici).
Per la miscelazione vengono generalmente adottati tamburi di miscelazione, carri miscelatori a coclee, ecc.
ASPORTAZIONE DELL'UMIDITÀ IN ECCESSO
La gestione delle biomasse fortemente fermentescibili (residui alimentari quali frazione organica dei RU, mercatali, scarti dei servizi di ristorazione; biomasse agroindustriali ad alta putrescibilità quali cascami di macellazione, della lavorazione delle carni e della trasformazione dell'ortofrutta; fanghi di depurazione di origine urbana ed agroindustriale) richiede considerazioni processistiche articolate che guidino le scelte progettuali e gestionali.
Anzitutto è sempre opportuno il condizionamento delle miscele tramite l'addizione di un agente di "bulking" ("strutturante": in genere materiali lignocellulosici quali cascami di potatura, trucioli, cortecce, paglie, lolle e pule, ecc.); l'obiettivo è quello di conferire alla massa porosità sufficiente e di contenerne l'umidità entro il limite del 70%, per sistemi "dinamici", ossia che prevedono il rivoltamento, o meglio del 55/65 %, per sistemi statici o debolmente dinamici (basse frequenze di rivoltamento); tali limiti sono compatibili con la gestione aerobica del processo in ogni punto della massa e con il mantenimento delle condizioni di permeabilità all'aria.
Ciò implica la destinazione di una quota rilevante del flusso di materiali lignocellulosici verso gli impianti di compostaggio delle biomasse putrescibili. Grossolanamente, in relazione all'esigenza di rispettare i contenuti di umidità sopra indicati, il materiale lignocellulosico deve rappresentare:
-  il 40/50% in peso della miscela iniziale avviata a compostaggio nel caso di sistemi statici o non aerati;
-  almeno il 20/30% in peso nel caso di tecnologie dinamiche e con aerazione forzata della biomassa.
In alternativa, va considerato l'approvvigionamento di materiali alternativi di "bulking" dal settore agricolo e dall'agroindustria (trucioli, cortecce, lolle, paglie, ecc.), che però in diversi casi possono comportare oneri non trascurabili di acquisto e/o trasporto.
In definitiva, in particolare in aree dove non vengono generati forti flussi di materiali lignocellulosici dalla gestione del verde pubblico e privato, sono da considerare con estremo interesse tutte le iniziative di pre-trattamento della frazione umida da raccolta differenziata volte a diminuire il fabbisogno di materiale strutturan te in fase di compostaggio.
Alcuni sistemi di pre-trattamento sono proprio finalizzati a se parare dai rifiuti organici una frazione solida-palabile, avviabile a compostaggio con minore fabbisogno di materiale lignocellulosico, ed una liquida, avviabile a digestione anaerobica, a depurazione, o, più efficacemente, riutilizzabile in fasi successive del processo per la reintegrazione dell'umidità (progressivamente evaporata per l'ef fetto congiunto dell'aerazione forzata e del calore biogeno) nei range ottimali.
Lo stesso effetto si può ottenere mediante pre-compostaggio degli scarti lignocellulosici, il che ne può abbassare l'umidità e dunque l'apporto complessivo di acqua al sistema una volta che vengono miscelati con le matrici fermentescibili.
VAGLIATURA E RAFFINAZIONE
Per la pre-separazione dei corpi estranei di dimensioni macroscopiche vengono generalmente adottati vagli primari a separazione dimensionale, con maglie da 40 a 100 mm. di apertura. Tali sistemi consentono di abbassare la quota di corpi estranei (plastiche, vetri, materiale cartaceo, ecc.) nell'"umido" da raccolta differenziata dal 5-10% (valori tipici per l'"umido" da raccolte con cassonetto stradale) al 2-3% e meno, impedendo una eccessiva usura dei macchinari e garantendo, con il concorso della raffinazione finale, la purezza merceologica del prodotto. In realtà, per flussi di raccolte differenziate ad alta efficacia di separazione (tipicamente, sistemi di raccolta domiciliarizzati), laddove i corpi estranei sono attorno o sotto il 2-3%, sovente non viene adottata la vagliatura primaria; in tale caso la biomassa, dopo un eventuale lacerasacchi-miscelatore, viene portata direttamente al sistema di stabilizzazione biologica.
E' ovvio che la separazione dimensionale comporta comunque la perdita, nel sovvallo, di quote anche importanti di materiali organici grossolani. Si dimostra più efficace, dal punto di vista del rendimento di separazione, la separazione con sistemi idraulici (es. idropolpatori), che prevedono la dispersione del materiale in acqua e la separazione su basi densimetriche dei flussi di materiale leggero (plastiche, materiale cartaceo, poliaccoppiati ecc.) e pesante (vetri, cocci, lattine, ecc.); il materiale organico, che rimane in sospensione, viene successivamente separato per centrifugazione. L'ope razione garantisce anche una pre-macerazione del materiale organico, che risulta in seguito più facilmente miscelabile con gli altri materiali. L'efficacia del concetto idrodinamico di separazione è attestata dalla purezza pressoché totale dell'organico separato, mentre nel 3-5% di scarti sono contenute quote trascurabili di organico; inoltre la separazione in flusso acqueo consente un "lavaggio" di gran parte dei sali liberi dagli scarti alimentari, eliminando uno dei fattori di condizionamento del marketing dei prodotti del loro compostaggio. I costi di investimento di tali attrezzature non ne rendono tuttavia sempre possibile l'adozione.
Per quanto riguarda la raffinazione finale, questa può essere dimensionale e/o densimetrica (quest'ultima viene generalmente adottata in combinazione con l'altra).
La separazione densimetrico-aeraulica (tavola densimetrica, ciclone) consente la separazione di corpi di piccole dimensioni plastici o vetrosi e di sassi dal prodotto finale. Tale tipo di operazione può essere utilmente adottata nel caso di impianti per il compostaggio di qualità a servizio di circuiti a bassa purezza merceologica, quali quelli a cassonetto stradale. Negli impianti a servizio di contesti più vocati e circuiti più efficaci l'eccellente grado di purezza conseguibile in sede di raccolta (1-3% di corpi estranei) rende generalmente superflua la separazione densimetrica finale.
Tenendo conto della eventuale presenza di materiali plastici da shoppers o sacchi, soprattutto nel flusso di residui alimentari, può essere comunque valutata opportuna l'adozione di un sistema dedicato di separazione aeraulica degli inerti plastici stessi, eventualmente solo per "pulire" sistematicamente o periodicamente i sovvalli della raffinazione dimensionale, che altrimenti concentrerebbero progressivamente (se ricircolati in testa al processo) i materiali non decomponibili; il separatore divide tali materiali dagli scarti legnosi indecomposti, riutilizzabili come agente di struttura o pacciamante.
Per quanto concerne la raffinazione granulometrica (separazione dei materiali legnosi indecomposti), vengono adottati vagli dimensionali (rotanti, vibranti o di altro tipo) a maglia stretta. In relazione all'articolazione delle richieste del mercato (essenzialmente: terriccio per coltivazioni in contenitore; ammendante in pieno campo; eventualmente pacciamante), può essere in certe situazioni opportuno prevedere una diversificazione dei passanti del sistema di vagliatura: 8/10 mm. - 20/25 mm. - eventualmente 40/45 mm. Ciò può essere ottenuto tramite l'adozione di vagli a maglia intercambiabile, piuttosto che tramite linee multiple di vagliatura, ecc.
1.4.  La digestione anaerobica e le condizioni della sua integrazione nel sistema 

1.4.1. Generalità
La digestione anaerobica è un processo biologico complesso per mezzo del quale, in assenza di ossigeno, la sostanza organica viene trasformata in biogas o gas biologico, costituito principalmente da metano e anidride carbonica. La percentuale di metano nel biogas varia a seconda del tipo di sostanza organica digerita e delle condizioni di processo, da un minimo del 50% fino all'80% circa.
Il vantaggio del processo è che l'energia biochimica contenuta nella sostanza organica, anziché venire liberata sotto forma di calore da allontanare dal sistema, si conserva grazie alla parziale conversione in metano ed è utilizzabile a scopo energetico.
Affinché il processo abbia luogo è necessaria l'azione di diversi gruppi di microrganismi in grado di trasformare la sostanza organica in composti intermedi, principalmente acido acetico, anidride carbonica ed idrogeno, utilizzabili dai microrganismi metanigeni che concludono il processo producendo il metano.
I microrganismi anaerobi presentano basse velocità di crescita e basse velocità di reazione e quindi occorre mantenere ottimali, per quanto possibile, le condizioni dell'ambiente di reazione. Nonostante questi accorgimenti, i tempi di processo sono relativamente lunghi se confrontati con quelli di altri processi biologici.
Il rendimento in biogas e quindi energetico del processo è molto variabile e dipende dalla biodegradabilità del substrato trattato. Relativamente al trattamento della frazione organica dei rifiuti urbani derivante da raccolta differenziata e/o alla fonte, in letteratura si riportano valori di conversione in biogas compresi tra un minimo di 0,40-0,50 m3/kgSValimentati, per la digestione in mesofilia, ed un massimo di 0,60-0,85 m3/kgSValimentati, per la digestione in termofilia. In genere durante la digestione anerobica si ottiene una riduzione di almeno il 50% dei solidi volatili (SV) alimentati.
Le tecniche di digestione anaerobica possono essere suddivise in due gruppi principali:
- digestione a secco (dry digestion), quando il substrato avviato a digestione ha un contenuto di solidi totali (ST 20%);
- digestione a umido (wet digestion), quando il substrato ha un contenuto di (ST 10%).
Processi con valori di secco intermedi sono meno comuni e vengono in genere definiti processi a semisecco.
Il processo di digestione anaerobica è anche suddiviso in:
- processo monostadio; le fasi di idrolisi, fermentazione acida e metanigena avvengono contemporaneamente in un unico reattore;
- processo bistadio; il substrato organico viene idrolizzato separatamente in un primo stadio, ove avviene anche la fase acida, mentre la fase metanigena viene condotta in un secondo stadio.
La digestione anaerobica può, inoltre, essere condotta, come già ricordato, o in condizione mesofile (circa 35°C) o termofile (circa 55°C); la scelta tra queste due condizioni determina in genere anche la durata (il tempo di residenza) del processo. Mediamente in mesofilia si hanno tempi di residenza compresi nel range 14-30 giorni, mentre in termofilia il tempo di residenza è in genere inferiore ai 14-16 giorni.
Tra le uscite dal sistema vi è anche un materiale semitrasformato palabile o pompabile rappresentato dal residuo della biomassa digerita, chiamato anche digestato, per il quale, allo scopo di conseguire lo status merceologico ed amministrativo necessario alla commercializzazione e libera applicazione in coerenza con il dettato della legge n. 748/84, occorre prevedere una fase di finissaggio con maturazione aerobica (post-compostaggio) che garantisca il completamento della fase di stabilizzazione della componente organica.
Il digestato, in uscita dalla digestione anaerobica, è infatti meno versatile del compost in quanto a possibili applicazioni in ragione del potenziale fitotossico ancora relativamente elevato (per la presenza di ammoniaca e la natura ancora relativamente fermentescibile della sostanza organica residua) e va dunque generalmente inteso e gestito come un fango ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo n. 99/92 sulla applicazione dei fanghi in agricoltura. Le applicazioni di elezione del digestato sono dunque in pieno campo secondo i meccanismi dello spandimento controllato previsti dal decreto legislativo n. 99/92 stesso (autorizzazione al sito di impiego, analisi del suolo pre e post applicazione, contingentamento delle dosi applicabili, ecc.), mentre il compost può trovare spazi di applicazione anche in giardinaggio, vivaistica in vaso ed in terra, semine di prati, ecc. e può essere liberamente impiegato e commercializzato in coerenza con la legge n. 748/84 (sui fertilizzanti) modificazioni ed integrazioni.
Per valutare le potenzialità e le condizioni di integrazione dei processi di digestione anaerobica nel sistema integrato dei trattamenti biologici, la digestione anaerobica va dunque intesa come sostitutiva delle prime fasi di trasformazione in un sistema di trattamento aerobico (quelle intensive), mentre permane la necessità, per una sostituzione con equivalenza di effetti, di dotare l'impianto di una sezione di maturazione finale aerobia, a carico del digestato, con tecnologie estensive.
1.4.2. Opportunità e condizioni di integrazione tra sistemi anaerobici ed aerobici
L'integrazione dei processi di digestione anaerobica nei sistemi di trattamento biologico va valutata alla luce delle seguenti opportunità e condizioni:
- si ha l'opportunità di migliorare il bilancio energetico dell'impianto, in quanto nella fase anaerobica si ha in genere la produzione di un surplus di energia rispetto al fabbisogno dell'intero impianto;
- si ha un minor impegno di superficie a parità di rifiuto trattato, pur tenendo conto delle superfici necessarie per il post-compostaggio aerobico, grazie soprattutto alla maggiore compattezza architettonica delle strutture dedicate (digestori) ed al loro sviluppo verticale;
- gli impianti anaerobici trovano la loro migliore vocazione per il trattamento di tipologie di rifiuti ad umidità elevata, mentre il compostaggio richiede un tenore di sostanza secca nella miscela di partenza dell'ordine, generalmente, del 30-35%; in distretti a bassa disponibilità di materiali strutturali (quali gli scarti vegetali da manutenzione del verde), la digestione anaerobica consente dunque una efficace gestione delle prime fasi di bioconversione delle matrici ad elevata umidità (tipicamente, scarti alimentari, fanghi, deiezioni zootecniche); il digestato successivamente presenta una quantitativo totale di solidi volatili fermentescibili inferiore e può convenientemente essere compostato con i limitati quantitativi di scarto lignocellulosico disponibile;
-  nella digestione anaerobica si ha acqua di processo in eccesso che necessita di uno specifico trattamento, mentre nel compostaggio le eventuali acque di percolazione possono essere ricircolate come agente umidificante sui cumuli praticamente fino alla fine del processo; da un punto di vista strategico, la necessità di trattamento delle acque di supero richiederebbe una buona integrazione tra sistemi di trattamento delle acque e dei rifiuti; le situazioni più favorevoli sono quelle in cui gli impianti di depurazione dei reflui civili e/o industriali e quelli di trattamento degli scarti organici fanno parte di una unica gestione di impresa o di una strategia integrata pubblica di gestione ambientale (situazione abbastanza diffusa in Europa centrale). In tale caso infatti non si hanno costi sensibili di avvio delle acque di supero della digestione anaerobica al trattamento di depurazione, fattore che invece comporta costi aggiuntivi a forte incidenza unitaria nel caso di avvio a depurazione in impianti gestiti da terzi. A livello indicativo, si può generalmente valutare la consistenza dell'eccesso di acque rispetto alle capacità di ricircolo nella fase di maturazione aerobica nel 20-50% rispetto ala massa in ingresso all'impianto;
-  gli impianti di digestione anaerobica richiedono investimenti iniziali maggiori rispetto a quelli di compostaggio; gli investimenti specifici si collocano mediamente attorno a:
-  300-500.000 ITL/tonnellate.anno per il compostaggio (dimensionato su 90 giorni di processo, e con sistemi di trattamento delle arie esauste almeno per la fase di pretrattamento e di biossidazione accelerata);
- 800.000-1.000.000 ITL/tonnellate.anno per la digestione anaerobica (con un post-trattamento di finissaggio aerobico mediante compostaggio allo scopo di dare versatilità di applicazione e commercializzazione al prodotto); gli oneri unitari tendono ad "impennarsi" particolarmente al di sotto di alcune capacità operative minime (10.000/20.000 tonnellate) per la scarsa modularità delle opere ed attrezzature, mentre il compostaggio è caratterizzato da una discreta linearità di rapporto tra capacità operative, necessità logistiche e costi di investimento.
Alcune condizioni favorevoli per il superamento del problema relativo ai maggiori oneri di investimento unitari, e dunque ai maggiori costi di ammortamento incidenti sul costo complessivo unitario di esercizio, possono essere le seguenti:
- disponibilità di finanziamenti a fondo perso (esempio: sui progetti relativi all'innovazione tecnologica, od alle risorse energetiche alternative); questo sembra essere ad oggi il maggiore driver per l'espansione della digestione anaerobica, sia in Italia che in altri paesi. Non a caso si prevede che la Spagna a breve diventi il paese con la maggiore capacità complessiva di digestione anaerobica, grazie ai fondi strutturali della Comunità europea che hanno consentito l'adozione di massicci programmi di allestimento di logistica dedicata. Il finanziamento a fondo perso, abbattendo il costo di ammortamento relativo, elimina dal confronto con il compostaggio tout-court il fattore di maggiore differenziale sui costi di esercizio;
- sovvenzioni alla produzione di energia elettrica, quali i provvedimenti relativi al decreto "CIP 6" ed ai "certificati verdi"; va tuttavia segnalato che l'entità di tali sovvenzioni, ai livelli di produzione elettrica unitaria tipici per la digestione anaerobica, non sembrano in grado di bilanciare i maggiori oneri di investimento e costi di ammortamento unitario (né con i livelli di integrazione finanziaria garantita dal "CIP 6", né tanto meno con quelli, inferiori, previsti dai "certificati verdi" e dalla direttiva europea sulle fonti energetiche rinnovabili di prossima emanazione).
2.  PROCEDURE AUTORIZZATIVE 
2.1.  Tipo di procedura 

Gli impianti di recupero per la produzione di compost di qualità possono avvalersi:
- delle procedure semplificate di cui agli artt. 31 e 33 del decreto legislativo n. 22/97 e successive modifiche ed integrazioni qualora gli impianti, le materie prime ed i prodotti finali siano del tutto conformi alle prescrizioni del decreto ministeriale 5 febbraio 1998, allegato 1, suball. 1, punto 16. In particolare, i prodotti finali devono rispettare le caratteristiche indicate nell'allegato 1C alla legge n. 748/84, così come modificato dal decreto ministeriale 27 marzo 1998. La suddetta procedura non esime dal rispetto della disciplina contenuta nel D.P.R. n. 203/88, per le emissioni in atmosfera, e quella prevista dal decreto legislativo n. 152/99, per gli scarichi liquidi. A parte vanno conseguiti tutti i visti, pareri e concessioni necessari per la realizzazione dell'impianto (in particolare, la concessione edilizia eventualmente necessaria);
- delle autorizzazioni di cui agli artt. 27 e 28 del decreto le gislativo n. 22/97 e successive modificazioni. Tale procedura è obbligatoria nel caso in cui le matrici in ingresso o il tipo di trattamen to non rientrino o rientrino solo parzialmente nelle fattispecie di cui al decreto ministeriale 5 febbraio 1998, allegato 1, suball. 1, punto 16 o il prodotto commercializzato non rientri o rientri solo in parte nelle caratteristiche indicate nell'allegato 1C alla legge n. 748/84 e modifiche. Al trattamento biologico di rifiuti indifferenziati va dunque applicata sempre questa procedura.
Ai sensi del comma 5 art. 27 del decreto legislativo n. 22/97, l'autorizzazione è in questo caso sostitutiva di ogni altro visto, parere, autorizzazione o concessione da parte di altri organi regionali, provinciali o comunali.
2.2.  Documentazione 

2.2.1.  Documentazione generale
Il progetto degli impianti, oltre a quanto previsto all'art. 27 del decreto legislativo n. 22/97, deve contenere la seguente documentazione:
- certificato di destinazione urbanistica del sito;
- attestazione di possesso o disponibilità del sito;
- documentazione relativa ad eventuali pozzi ad uso idropotabile nelle zone contigue;
- inquadramento corografico del sito, aggiornato ai più recenti insediamenti abitativi o produttivi, in modo da valutare la coerenza dei sistemi di presidio ambientale previsti;
- informazioni relative alla profondità della falda ed alle relative escursioni;
- elenco delle matrici in ingresso, con riferimento sia alle classi merceologiche di cui al punto 16, del DMA 72 del 5 febbraio 1998 che all'elenco dei codici CER, con relativi quantitativi;
- studio di impatto ambientale: alla luce del DPCM 3 settembre 1999, la procedura di "V.I.A. regionale" (allegato A, D.P.R. 12 aprile 1996) è necessaria solo se l'impianto ha una potenzialità maggiore di 100 tonnellate/giorno. Nel caso di potenzialità minore, per impianti di recupero come il compostaggio (lettera R3, all. C decreto legislativo n. 22/97) anche se ricadenti in aree naturali protette, non è necessaria nemmeno la procedura di screening regionale (ve rifica della necessità o meno della V.I.A. regionale) secondo i criteri dell'allegato D, del D.P.R. 12 aprile 1996 citato.
2.2.2.  Documentazione tecnica
Cartografia in scala 1:5000 o 1:10000 con l'indicazione dell'ubicazione dell'impianto, la viabilità, i centri abitati, altri elementi si gnificativi.
Relazione tecnica, corredata da calcoli dimensionali, cartografia e disegni tecnici; in particolare, vanno indicati:
- dati catastali e limiti di proprietà dell'area interessata;
-  superfici dell'impianto: complessiva, impermeabilizzata, co perta, piantumata;
-  indicazione dell'obiettivo finale del trattamento, in particolare se si intende:
- produzione di ammendanti compostati di qualità ex legge n. 748/84 come modificata dal D.M. 27 marzo 1998;
- trattamento di stabilizzazione pre-discarica;
- produzione di biostabilizzato per applicazioni vincolate in operazioni di recupero ambientale;
- esecuzione di una bioessiccazione del materiale, per aumentarne il potere calorifico ed impiegarlo come CDR; in questo caso i requisiti specifici del prodotto finale del trattamento devono fare riferimento a quanto previsto al DMA n. 72 del 5 febbraio 1998.
Criteri di dimensionamento che portano al calcolo del tempo di processo e della potenzialità annua di cui si richiede l'autorizzazione, in particolare: peso specifico delle varie matrici, sezione e lunghezza ed altezze dei cumuli/trincee, calo volumetrico stimato etc.
Modalità di stoccaggio provvisorio (messa in riserva) del materiale in ingresso: dimensionamento e capacità in giorni di stoccaggio.
Rete di raccolta delle acque meteoriche, di percolazione e relativo punto di scarico e/o modalità di stoccaggio e ricircolo.
Dimensionamento delle portate d'aria predisposte per l'insufflazione della biomassa e relativo criterio di calcolo.
- Vanno descritti, in una sezione a parte all'interno della relazione tecnica di progetto, i flussi delle arie esauste aspirate dalle singole sezioni, ed il loro destino finale (riutilizzo in altre sezioni, od avvio a trattamento finale). E' importante che gli elaborati tecnici (sia la relazione tecnica che gli elaborati planivolumetrici) mettano in risalto le opere di presidio ambientale per l'abbattimento degli odori. Vanno specificati tra gli altri:
- i criteri di dimensionamento dei sistemi di presidio;
- i particolari costruttivi, con particolare riferimento ai sistemi di distribuzione delle arie da trattare;
- le caratteristiche di modularità dei sistemi di presidio stesso, e la capacità di disattivare singoli moduli in fase di manutenzione, in modo da garantire sempre una certa potenzialità di trattamento (almeno il 66% del normale, ossia 2 moduli su 3).
2.2.3.  Valutazione di impatto ambientale
Per quanto attiene le procedure di impatto ambientale, valgono le disposizioni contenute nel D.P.R. 14 novembre 2000.
L'emanazione della deliberazione della Giunta regionale n. 255 del 13 ottobre 2000, relativa a: "recepimento D.P.R. 12 aprile 1996 - valutazione impatto ambientale - atto di indirizzo e coordinamento. Modifiche ed integrazioni alle deliberazioni n. 4 del 20 gennaio 1999 e n. 115 dell'11 maggio 1999", sostanzialmente mantiene le prescrizioni dettate dalla normativa nazionale.
3.  CRITERI GUIDA 
3.1.  Criteri di ubicazione 

3.1.1  Vincoli escludenti
Costituiscono vincoli escludenti all'ubicazione degli impianti di recupero mediante trattamento biologico (compostaggio e stabilizzazione pre-discarica):
- le aree individuate dagli artt. 2 e 3 del D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357;
- le aree collocate nelle zone di rispetto (art. 6, D.P.R. n. 236/88) per un raggio non inferiore a 200 metri dal punto di approvvigionamento idrico a scopo potabile pubblico, salvo eventuali deroghe da parte delle autorità competenti supportate da analisi di rischio;
- le aree a distanze dai centri abitati inferiori a 200 m. (distanza dal nucleo abitato così come definito dal codice della strada), derogabile per il compostaggio di scarti verdi;
- le aree soggette a esondazione; per la verifica relativa ad aree in fregio ad aste fluviali deve, al riguardo, essere presa come riferimento la piena con tempo di ritorno pari a 50 anni. (20 anni nel caso di compostaggio di scarti verdi);
- le aree ricadenti nelle fasce di rispetto previste dalla legge regionale n. 78/76;
- le disposizioni previste nella legge regionale n. 71/78 e successive modifiche ed integrazioni.
Le distanze fanno riferimento al limite dell'area di impianto, intendendo con tale termine l'area strettamente connessa al ciclo di lavorazione dei rifiuti, ivi compreso lo stoccaggio dei prodotti recuperati e degli scarti.
3.1.2.  Vincoli da considerare
Per ciascun sito di ubicazione devono essere esaminate le condizioni locali di accettabilità dell'impianto in relazione a:
- aree collocate entro le fasce di rispetto delle diverse infrastrutture (strade, autostrade, gasdotti, oleodotti, ferrovie, cimiteri, beni militari, aeroporti, ospedali, case di cura e simili, etc.);
- beni storici, artistici, archeologici, paleontologici ex legge n. 1089/39;
- vincoli paesistici e paesaggistici ex legge n. 1497/39, 431/85 e successive modifiche ed integrazioni (art. 151 decreto legislativo 29 novembre 1999 n. 490);
- aree sottoposte a vincolo idrogeologico ex regio decreto n. 3267/23;
- aree individuate a parco o riserva naturale a livello regionale, provinciale e comunale.
Per tali tipologie di aree va conseguito specifico nulla-osta, in base ai meccanismi di legge previsti, dalle autorità competenti.
Costituisce inoltre un vincolo da considerare con particolare attenzione, verificando la coerenza dei sistemi di processo e dei presidi adottati, la presenza di insediamenti abitativi anche singoli nel raggio di 1000 metri; la presenza di insediamenti singoli entro i 200 metri può costituire, dopo verifica delle condizioni topografiche ed operative locali, specifico motivo di esclusione delle possibilità di autorizzazione.
3.2.  Inserimento paesistico-architettonico 

Va adeguatamente considerato l'inserimento paesistico ed ar chitettonico dell'impianto di compostaggio al fine di ridurre l'impatto visivo del nuovo sito, e fare in modo che questo risulti il più possibile inserito in modo armonico nel paesaggio preesistente. In sede progettuale, deve dunque essere prevista una valutazione preliminare, sviluppata da professionisti con competenze adeguate, che individui gli elementi principali di tipo progettuale al fine di ottimizzare l'inserimento nel paesaggio in relazione alle specificità del sito individuato per la localizzazione dell'impianto di compostaggio.
In particolare:
- devono essere previste barriere a verde realizzate con specie autoctone di diversa dimensione, al fine di mascherare le componenti di impianto più impattanti;
- devono essere individuati materiali, colori e forme costruttive che armonizzino l'impianto con il paesaggio circostante; tale criterio va rispettato compatibilmente con i costi conseguenti, e vanno comunque prodotte valutazioni in merito.
Con particolare riferimento alla verosimile localizzazione di molti dei siti prescelti in contesto rurale, si può suggerire di fare riferimento parzialmente o totalmente a strutture edilizie ed a materiali che richiamino quelli della tradizione rurale.
3.3.  Criteri di dimensionamento 

Per il dimensionamento degli impianti, possono essere applicati procedimenti induttivi o deduttivi.
Con il procedimento induttivo, il progetto viene corredato da una stima del materiale compostabile intercettabile, adottando dei parametri di intercettazione unitari in kg ab-1 anno-1, in relazione al bacino di utenza ed al sistema di raccolta; allo scopo:
- per quanto concerne le utenze domestiche e più in generale le raccolte di frazioni organiche del rifiuto urbano (scarti verdi e scarti alimentari, comprese le utenze commerciali piccole e medie ed i servizi di ristorazione) possono essere adottati i parametri previsionali di cui alla sezione 1.1; come parametro di riferimento, si possono considerare 100 kg ab-1 anno-1, derivanti da circa 60-70 kg ab-1 anno-1 di scarto alimentare e 30-40 kg ab-1 anno-1 di scarto verde;
- per quanto riguarda le grandi utenze (ortomercati, utenze agroindustriali, impianti di depurazione, ecc.) vanno considerati dati (o stime) recenti ed affidabili relativi alla produzione di ogni singola utenza servita;
Con il procedimento deduttivo, si adotta direttamente il parametro previsionale del P.I.E.R. (15% del rifiuto urbano) cui vanno aggiunti i flussi previsionali da altre utenze non urbane eventualmente servite (scarti agroindustriali, fanghi di depurazione, ecc.).
3.4.  Dotazioni tecnologiche, dimensionamento e presidi ambientali 

Il capitolo, inteso a fornire elementi di valutazione omogenei in sede di elaborazione progettuale, da parte dei proponenti, e di istruttoria tecnica, da parte degli enti preposti all'autorizzazione ed al controllo, si riferisce ad impianti di compostaggio di biomasse selezionate ad elevata fermentescibilità (scarti "umidi" domestici e da servizi di ristorazione; scarti agroindustriali; fanghi biologici civili ed agroindustriali; reflui zootecnici, ecc.) in miscelazione con biomasse lignocellulosiche (scarti di manutenzione del verde ornamentale, materiali legnosi, cortecce, ecc.).
Per il compostaggio delle sole matrici lignocellulosiche, quali gli scarti di manutenzione del verde, si faccia riferimento al capitolo 4.
Di seguito vengono riportati gli schemi operativi tipici cui conformare i lay-out progettuali degli impianti, Successivamente, vengono specificati in dettaglio i criteri progettuali, suddivisi in due categorie come segue:
- elementi tecnologici e processistici tendenzialmente prescrittivi, quelli necessari cioè (anche se non sufficienti) a garantire l'efficacia del processo, la qualità del prodotto, il contenimento degli impatti; si tratta dunque della impostazione di base e delle relative dotazioni tecnologiche, rispetto alle quali le mancanze o difformità di impostazione progettuale e gestionale vanno valutate attentamente, e sulla base di giustificazioni tecnico-processistiche e referenze operative già in atto (da presentarsi a cura del soggetto proponente);
-  ulteriori elementi di qualificazione delle ipotesi progettuali, atti a determinare condizioni di maggiori livelli di protezione ambientale e/o una maggior efficacia del processo; questi elementi vengono qui forniti solo per coadiuvare l'impostazione progettuale, pur riservando ai soggetti titolari ed ai loro tecnici di fiducia la scelta definitiva; la adozione o meno di questi criteri, va dunque valutata in sede di elaborazione progettuale, e di istruttoria tecnica successiva, nel quadro delle coerenze complessive di progetto.
3.4.1.  Schemi operativi
Gli impianti, coerentemente agli obiettivi operativi di ciascuna fattispecie di trattamento biologico, devono presentare la configurazione operativa di seguito schematicamente raffigurata:



3.4.2.  Elementi prescrittivi (dotazioni ed allestimenti di base)
STRUTTURE E LOGISTICA
Predisposizione di strutture confinate per lo stoccaggio in ingresso dei materiali ad elevata fermentescibilità (fanghi, residui alimentari, biomasse mercatali, ecc.); tali strutture (sili, trincee coperte, vasche, ecc.) vanno diversificate per tipologia di biomassa e dimensionate su un minimo di 2 giorni ed un massimo di 5 (onde evitare estesi fenomeni putrefattivi); le strutture di ricezione e stoccaggio vanno rese accessibili mediante portali ad apertura e chiusura rapida;
Gestione delle fasi di pre-trattamento (lacerazione sacchi, triturazione, miscelazione, vagliatura primaria, ecc.) e trasformazione attiva (ACT) in strutture chiuse; vengono considerate strutture chiuse i tunnel, le biocelle/biocontainer, i capannoni tamponati integralmente, i sili, i bioreattori dinamici a cilindro.
Da tali prescrizioni sono esentate le iniziative che ricadono nella casistica seguente:
- impianti di compostaggio del solo scarto verde in eventuale miscelazione con altri materiali di esclusiva natura lignocellulosica (matrici di cui ai punti b), c), h) ed l), punto 16 del D.M. 5 febbraio 1998, allegato 1, sub all. 1);
- impianti con capacità operative inferiori a 1000 ton/anno se posti a distanze superiori a 500 metri da abitazioni singole;
- impianti con capacità operative inferiori a 3000 ton/anno se posti a distanze superiori a 1000 metri da abitazioni singole;
- impianti con tecnologia di tipo statico per almeno 14 giorni, vincolati ad almeno il 40% di materiale lignocellulosico con funzione strutturale, e potenzialità compresa tra 3000 e 6000 tonnellate/an no, se posti a distanze superiori a 1000 metri da abitazioni singole; l'esenzione dalle necessità di confinamento delle aree operative si applica limitatamente alla fase attiva, mentre le fasi di ricezione e pre-trattamento vanno confinate e dotate di un sistema di abbattimento degli odori.
DURATA DEL PROCESSO
La fase attiva presidiata, se distinta da quella di maturazione, deve avere una durata tale da garantire un prodotto in uscita con una sufficiente stabilità biologica, ovvero rispettare in alternativa uno dei due valori seguenti:
-  indice respirometrico (I.R.) statico < 500 mg O2 / kg s.v. * h(2);
-  indice respirometrico (I.R.) dinamico < 1.000 mg O2 / kg s.v. * h(3).
Tali obiettivi sono conseguibili con tempi di ritenzione indicativamente attorno ai 14 giorni in biocella/biocontainer con ricircolo d'aria e 21/28 giorni in sistemi a trincea/cumulo;
La fase di maturazione (curing) deve avere durata tale da garantire un tempo di processo totale non inferiore a 90 giorni e garantire il rispetto in alternativa di uno dei due valori seguenti:
-  indice respirometrico (I.R.) statico < 250 mg O2 / kg s.v. * h (2);
-  indice respirometrico (I.R.) dinamico < 500 mg O2/kg s.v.*h (2).
STRUMENTI DI GOVERNO DEL PROCESSO E DIMENSIONAMENTO
-  Previsione, in fase attiva, della aerazione forzata della biomassa, per aspirazione e/o insufflazione;
- dimensionamento del sistema di ventilazione nella prima fase di trasformazione non inferiore ad una portata specifica media continuativa (ossia tenendo conto dei tempi eventuali di spegnimento) di 15 Nmc/h*ton. di biomassa (tal quale);
- previsione di tempi di spegnimento non superiori a 30';
- predisposizione di strumenti di controllo del processo, con dotazione almeno di sonde termometriche;
- predisposizione di sistemi per l'inumidimento periodico della biomassa, in particolare nella fase attiva;
- altezza del letto di biomassa in fase attiva non superiore a 3 metri (con tolleranza del 10%) per sistemi statici; non superiore a 3,5 metri (con tolleranza del 10%) per sistemi dinamici.
GESTIONE DELLE ACQUE REFLUE
Deve essere prevista l'impermeabilizzazione di tutte le zone operative (stoccaggio matrici, pretrattamenti, fase attiva, maturazione, post-trattamenti e stoccaggio del prodotto finito e degli scarti di lavorazione).
La gestione delle acque deve essere differenziata a seconda della provenienza delle stesse, come di seguito elencato.
Vengono forniti anche i criteri per il dimensionamento parametrico delle vasche di stoccaggio, se previste o necessarie. In caso di presenza di falda affiorante nell'area prescelta per l'intervento, va predisposta una doppia camera per la/e vasca/e di raccolta delle acque reflue. In alternativa, possono essere realizzate vasche fuori terra (es. in elementi prefabbricati), soluzione da preferire nel caso in cui lo spazio disponibile non costituisca fattore limitante.
Acque di processo
Le acque derivanti dai processi spontanei di rilascio da parte delle biomasse in fase di stoccaggio iniziale o durante il processo (acqua di rilascio), devono essere prioritariamente riutilizzate per i processi di reinumidimento delle biomasse stesse. Qualora non vengano riutilizzate, tali acque devono essere trattate nel rispetto della normativa vigente in materia di scarichi (decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152) prima del loro recapito al sistema fognario o ad acque superficiali. Per le acque provenienti dalle prime fasi di gestione al chiuso di biomasse ad elevata fermentescibilità va previsto un riutilizzo esclusivamente nella fase attiva (in strutture chiuse) a causa del carattere fortemente odorigeno delle stesse.
Nel caso si provveda al riutilizzo delle acque di stoccaggio e di processo per l'inumidimento delle biomasse è richiesta la predisposizione di un sistema di contenimento avente una capacità minima tale da assicurare lo stoccaggio per un periodo compreso fra due successivi prelievi.
La capacità dell'invaso dedicato allo stoccaggio dei reflui - nel caso di riutilizzo nel processo - deve dunque avere dimensioni minime determinate secondo il seguente procedimento di calcolo:

C  =  R x Q x T : 1000


ove:
=  capacità dell'invaso in metri cubi; 
=  coefficiente di rilascio in litri/tonnellata*giorno; R deve assumere valori minimi compresi fra 2 e 5, ove il valore minimo si applica ai processi con aerazione della biomassa per insufflazione, il valore massimo a quelli con aerazione per aspirazione. Per gli stoccaggi iniziali di biomasse a elevata umidità quali i fanghi di depurazione, le frazioni umide da raccolte differenziate o da selezione meccanica, prima della loro miscelazione con materiali di struttura, si applica il coefficiente 5; 
=  quantità (in tonnellate) di biomasse in fase ACT al coperto a cui si applica il calcolo; 
=  tempo massimo (in giorni) di stoccaggio delle acque tra due interventi successivi di prelievo per l'inumidimento. 


Acque di percolazione su piazzali di maturazione all'aperto
Tali acque devono essere inviate a depurazione o riutilizzate per l'umidificazione della biomassa.
La capacità dell'invaso dedicato allo stoccaggio, nel caso di riutilizzo nel processo, deve essere dimensionato in relazione alla superficie dedicata allo stazionamento dei cumuli all'aperto e alla piovosità media annua della zona.
La capacità dell'invaso dedicato allo stoccaggio dei reflui, espres sa in metri cubi, nel caso di riutilizzo nel processo, deve avere dimensioni minime determinate secondo il seguente procedimento di calcolo:

 Q  =  S * (P:1000) / 30


ove:
=  superficie della zona di maturazione in mq; 
=  piovosità media annua espressa in millimetri. 


Acque meteoriche
Le acque meteoriche delle aree esterne di transito e manovra (escluse le aree di maturazione), nel caso di scarico in acque superficiali o su suolo, devono avere una separazione delle acque di prima pioggia. Le acque di prima pioggia dei piazzali di solo transito e manovra possono essere inviate a depurazione o riutilizzate sulla biomassa. In questo caso è opportuno predisporre un sistema di disoleazione delle stesse previamente al riutilizzo.
La capacità dell'invaso dedicato allo stoccaggio, nel caso di riutilizzo nel processo, deve avere dimensioni minime determinate in relazione all'altezza delle precipitazioni di "prima pioggia".
Le acque meteoriche da gronde pluviali e le acque di seconda pioggia possono essere destinate allo scarico, nel rispetto delle norme vigenti, o al riutilizzo per l'umidificazione della biomassa.
Acque nere
Tali acque devono essere inviate al sistema fognario e/o trattate nel rispetto della normativa vigente.
Acque di lavaggio degli automezzi:
-  tali acque possono essere destinate allo scarico nel rispetto delle norme vigenti.
GESTIONE DELLE ARIE ESAUSTE
Al fine di garantire l'annullamento delle molestie olfattive connesse all'immissione nell'ambiente delle arie aspirate dalle diverse sezioni, laddove viene previsto l'allestimento di edifici od ambienti chiusi, vanno previsti:
- aspirazione e canalizzazione delle arie esauste per l'invio al sistema di abbattimento degli odori;
- numero di ricambi d'aria/ora uguale o superiore rispettivamente a 2 (zone di stoccaggio e pretrattamento, capannoni di contenimento di reattori chiusi) e 3 (capannoni per la biostabilizzazione accelerata in cumulo/andana liberi). Per gli edifici deputati a processi dinamici e con presenza non episodica di addetti devono essere previsti almeno 4 ricambi/ora. Per le sezioni di maturazione finale, laddove allestite al chiuso, il numero minimo di ricambi/ora è pari a 2;
- costituzione di biofiltro, adeguatamente dimensionato, per l'abbattimento del carico odorigeno delle arie da recapitare all'esterno; allo scopo di garantire un tempo di contatto di almeno 36" (meglio 45"), il biofiltro va dimensionato sulla base di un rapporto con il flusso orario di effluenti gassosi da trattare pari ad almeno 1 mc (di letto di biofiltrazione): 100 Nmc/h di effluenti gassosi da trattare (meglio 1 mc: 80 Nmc/h);
- altezza del letto di biofiltrazione compreso tra 100 e 200 cm;
- costituzione modulare del biofiltro, con almeno 3 moduli singolarmente disattivabili per le manutenzioni ordinarie e straordinarie.
L'efficienza dei sistemi di trattamento degli odori deve essere determinata secondo i principi della olfattometria dinamica riportati nel Draft CEN 064/e TC 264 WG2 "Odours".
Il valore limite da rispettare per tutti i punti campionati è pari a 300 unità odorimetriche / Nm3 (U.O./Nm3), tenendo conto degli intervalli di confidenza statistica previsti dalla metodica citata.
IGIENE E SICUREZZA
-  allo scopo di prevenire il rischio biologico di inalazione, da parte degli operatori, di polveri sospese e di aerosoli contenenti patogeni, gli addetti al processo devono eseguire o presiedere alle operazioni di movimentazione, di rivoltamento, di triturazione e di raffinazione in mezzi cabinati e dotati di appositi filtri o devono indossare mascherine anti-polvere.
Il processo di bioconversione, deve garantire la igienizzazione della biomassa, allo scopo di inattivare i patogeni eventualmente presenti nel materiale trattato. A tale scopo, la igienizzazione si intende conseguita quando ogni parte del materiale è stata soggetta per almeno 3 giorni ad una temperatura minima di 55°C.
3.4.3. Ulteriori elementi di qualificazione delle ipotesi progettuali
-  Realizzazione di una capacità aggiuntiva di stoccaggio in ingresso per la "quarantena" di biomasse su cui vanno saltuariamen te eseguiti accertamenti analitici per l'accettazione o i programmi di miscelazione (esempio: fanghi biologici);
- per la parte di scarto alimentare adozione di sistema di pre-trattamento (macchinario di trito-miscelazione o lacerasacchi) che eviti la frammentazione di eventuali inerti vetrosi (sfibratori a basso numero di giri/minuto, quali macchinari a coclee, a denti, a coltelli, ecc.);
- collegamento automatico della ventilazione e/o della movimentazione della massa al sistema di monitoraggio delle condizioni di processo; possibilità di monitoraggio a distanza (esempio: con rete GSM o internet);
- possibilità, in fase attiva, di modulazione delle portate d'aria specifiche in relazione ai riscontri di processo, o almeno nelle di verse sezioni (corrispondenti a biomassa a diversi stadi di maturazione);
- adozione di un sistema di aerazione forzata della biomassa anche in fase di maturazione;
- riutilizzo preferenziale delle arie aspirate dalle sezioni di ricezione e pre-trattamento per l'ambientalizzazione delle sezioni di compostaggio attivo e/o per l'insufflazione della biomassa; il bilancio complessivo tra arie immesse ed estratte dalle sezioni di compostaggio attivo deve comunque essere negativo, con saldo netto pari ad almeno 2 ricambi/ora;
- previsione, a monte del sistema di biofiltrazione degli odori, di un sistema di lavaggio ad acqua delle arie esauste;
- per impianti di dimensione medio-grande e grande (superiori a 50-100 tonnellate/die in ingresso alla sezione di bioconversione) ed in siti a forte sensitività (topograficamente contigui ad abitazioni sparse od aggregate, indicativamente entro i 500 metri) tunnel, biocelle, biocontainer e altri sistemi a bioreattore confinato vanno preferibilmente dislocati all'interno di edifici chiusi onde captare le emissioni in fase di carico/scarico; alternativamente, si può prevedere l'allestimento di una apposita area di carico dei biocontainer (se mobili) all'interno degli edifici adibiti alla ricezione e pre-trattamento;
- chiusura delle aree di processo anche per la fase di maturazione, od adozione di sistemi statici semiconfinati (es. mediante teli); tale indicazione diventa tendenzialmente prescrittiva nel caso di localizzazioni critiche (indicativamente, entro i 500 metri) e/o ad alte capacità operative (indicativamente superiori alle 50-100 ton/die in ingresso alla sezione di bioconversione);
- svolgimento al chiuso delle operazioni di vagliatura, per il contenimento delle emissioni acustiche e la dispersione eolica; in questo caso non è necessaria l'aspirazione ed il trattamento odori delle arie esauste, mentre può essere valutata la predisposizione di sistemi di aspirazione localizzata con abbattimento delle polveri (es. tramite filtro a maniche).
4.  CRITERI DI REALIZZAZIONE E GESTIONE PER IL COMPOSTAGGIO DELLO SCARTO VERDE 
4.1.  Fonti normative 

Il compostaggio di scarti ligno-cellulosici su strutture semplificate, aree all'aperto, eventualmente su terreno drenante non pavimentato, è da tempo esplicitamente ammesso e promosso in:
- Lombardia: in base al disposto congiunto delle D.G.R. V/40516 e V/51028; tali disposizioni prevedono la conduzione al l'aperto; inoltre, è ammesso il compostaggio su terreno non pavimentato per strutture pubbliche con capacità operative sino a 400 ton/anno e/o al servizio di meno di 10.000 abitanti;
- Veneto: in base al disposto della D.G.R. 766; terreno non pavimentato sino a 500 ton/anno;
- Piemonte: in base al disposto della D.G.R. 63-8317; terreno non pavimentato sino a 1000 ton/anno.
Le norme nazionali, che fanno sostanzialmente riferimento alla D.C.I. 27 luglio 1984, ove sono incluse solo prescrizioni generiche sulle temperature per l'igienizzazione e la durata delle stesse, non attestano attualmente una esplicita legittimazione o divieto per tale approccio operativo. Va però notato che le norme tecniche per l'ammissione delle attività di compostaggio a procedure semplificate ex artt. 31 e 33 del decreto legislativo n. 22/97, ne prevedono l'ammissibilità, con conduzione all'aperto a qualunque dimensione e possibilità di operare su terreno non pavimentato per iniziative sotto le 1000 tonnellate/anno.
Le bozze della normativa tecnica ex art. 18 decreto legislativo n. 22/97 riprendono coerentemente tali concetti, confermandoli integralmente.
Vale dunque la pena di dedicare una sezione alla valutazione del ruolo strategico di iniziative di questo tipo nel quadro della gestione integrata dei RU, definendone al contempo alcune condizioni operative qualificanti.
4.2.  Significato operativo 

In uno scenario evolutivo in cui le raccolte differenziate delle frazioni organiche si allargano progressivamente ad intercettare altri scarti compostabili (esempio: di origine alimentare) che richiedono anche la miscelazione con materiali lignocellulosici, l'attivazione di iniziative di compostaggio del solo scarto ligno-cellulosico su strutture semplificate ed eventualmente provvisorie, esempio: nel caso di conduzione su terreno non pavimentato, può rispondere a due ruoli ed obiettivi:
- ruolo "tattico": inteso a dare risposta immediata a necessità di conferimento e valorizzazione di materiali provenienti dalle raccolte differenziate degli scarti del verde ornamentale; la semplicità e la eventuale provvisorietà dei siti attrezzati in questo caso è intesa a rendere agevole la loro attivazione, nonchè, sul medio periodo, la eventuale dismissione alla attivazione dei centri comprensoriali per il co-compostaggio con gli scarti di origine alimentare ed altre biomasse (esempio: fanghi biologici); questi possono infatti avvalersi, parzialmente o totalmente, del flusso di scarti ligno-cellulosici per l'ottenimento delle condizioni ideali di processo all'interno della biomassa.
- ruolo "strategico": inteso a promuovere, consolidare e preservare, eventualmente anche sul lungo termine, una rete operativa che si avvale di sistemi "naturaliformi" in strutture frequentabili; con ciò viene generato consenso per il compostaggio in generale e in particolare per la separazione degli scarti "verdi" e l'acquisto in impianto dei prodotti compostati da parte di cittadini ed operatori professionali.
Una rete territorialmente coordinata di strutture semplificate può costituire dunque un sistema operativo modulare, flessibile, parzialmente o totalmente dismissibile e dunque adattabile alle evoluzioni dello scenario operativo.
4.3.  Linee-guida e standard operativi 

4.3.1.  Superficie necessaria
In prima istanza 1,5-2 mq/ton.anno di capacità operativa, con un minimo di 1000 mq e forma delle aree, nel caso di piccoli im pianti, tendenzialmente allungata (esempio: 50x25; 40x30).
4.3.2.  Presidi ambientali
Nel caso di iniziative con terreno pavimentato, allestimento di una rete di drenaggio con canaline e/o cunette e/o caditoie collegate a vasca/vasche di accumulo; il destino normale dei reflui è il recupero a scopo di inumidimento dei cumuli; per gestire agevolmente il ricircolo anche in periodi a forte piovosità, i bacini di stoccaggio devono essere dimensionati su un rapporto di almeno 1 mc/30 mq di superficie drenata. Le eccedenze vano avviate a depurazione.
Può essere prevista, per le sole acque reflue dai piazzali di solo transito e manovra, la separazione delle acque di prima pioggia, da avviare a recupero o depurazione, da quelle di seconda pioggia che possono essere recapitate a suolo o in corpi idrici superficiali.
4.3.3.  Caratteristiche del sito
Servito da viabilità adeguata. Avuto riguardo del peso specifico medio annuale delle biomasse vegetali da manutenzione del verde (0.2-0.25 circa), il tonnellaggio annuo va moltiplicato per 4-5 allo scopo di desumere la volumetria annualmente conferita. Il numero di viaggi annuali e dunque medi giornalieri può essere valutato considerando il trasporto con cassoni scarrabili da 20 mc (da piattaforme ecologiche comunali), e con automezzi da 2-3 a 20 mc. (per utenze professionali del settore della paesaggistica).
Nel caso di piccole iniziative condotte su terreno non pavimentato (con fruizione diretta da parte della popolazione comunale), questo non deve essere soggetto a ristagni; la viabilità di accesso deve essere di tipo vicinale ma agevolmente transitabile anche da autoveicoli dei privati cittadini. Non essendo previste strutture edificate o pavimentazioni permanenti, è possibile ipotizzare l'inserimento anche in aree agricole. La localizzazione ideale è accanto a piattaforme ecologiche (stazioni per la raccolta differenziata) esistenti od in progetto per le evidenti sinergie operative ed organizzative.
4.3.4.  Distanze
-  200 m. da pozzi ad uso idropotabile (D.P.R. n. 236/88) salvo deroghe da parte dell'autorità sanitaria locale (il percorso di valutazione per la deroga è invero relativamente lungo e prevede di norma una indagine idrogeologica in situ);
-  almeno 200 m. da abitazioni (100-200 per piccole iniziative su terreno nudo), essenzialmente per l'impatto acustico generato dalle operazioni di triturazione (sino a 85-90 dB A); va considerato che tali operazioni hanno carattere episodico per le iniziative fino a 1000 tonnellate/anno (per un massimo di circa 50 ore/anno.sito).
4.3.5.  Sistemi di sorveglianza
Recinzione anche leggera su tutto il contorno o analoghi sistemi di interdizione e controllo degli accessi.
Presidio di sorveglianza durante gli orari di apertura.
4.3.6.  Orari di apertura
Nel caso di piccole iniziative comunali con consegna diretta da parte dei cittadini, almeno 2 mezze giornate/settimana. Prioritariamente il sabato, apertura almeno pomeridiana, con preferibile estensione a tutta la giornata.
4.3.7.  Altri allestimenti
Nel caso di iniziative su terreno non pavimentato, eventuale consolidamento della zona longitudinale centrale, più soggetta a transito, con mista o ghiaia o legno triturato (10-20 cm).
4.3.8.  Dotazione operativa standard
E' preferibile la disponibilità di allacciamenti idrici per l'inumidimento periodico dei cumuli.
Opportuna la disponibilità in zona di pale meccaniche o muletti agricoli per il rivoltamento periodico dei cumuli.
Le dotazioni specifiche (trituratore, vaglio), fanno generalmente parte del parco-macchine nelle iniziative di media e grande dimensione (dalle 3000-5000 tonnellate/anno); nelle piccole iniziative vengono invece normalmente procurate tramite noleggi o messe in dotazione dalle istituzioni di livello superiore (esempio: consorzi, province), e condivise dunque tra più siti. In occasione degli interventi specifici i noleggiatori possono anche provvedere ai rivoltamenti dei cumuli.
5.  GLOSSARIO 

Definizioni
ACT (Active composting time) o biossidazione accelerata o fase attiva.
Rappresenta la prima fase del processo di compostaggio con decomposizione delle molecole organiche più facilmente degradabili e formazione di composti intermedi parzialmente trasformati. In questa fase l'intesa attività microbica causa un elevato consumo di ossigeno ed un innalzamento della temperatura. Al termine di questa fase il carico di composti fermentescibili nel materiale organico è significativamente ridotto.
Ammendante
Prodotto atto al miglioramento delle proprietà fisiche, meccaniche e biologiche del terreno. Gli ammendanti sono commercializzati in Italia secondo i criteri individuati dalla legge n. 748/84 e successive modd.
Bioconversione
L'insieme dei processi biologici, effettuati da microrganismi aerobici ed anaerobici, di trasformazione del materiale organico sottoposto al trattamento biologico.
Biomassa
Materiale a matrice prevalentemente organica. Nel settore del compostaggio si indica come "biomassa" il materiale oggetto di raccolte selezionate e sottoposto a trattamento.
Biostabilizzazione
Processo di bioconversione aerobica che si differenzia dal compostaggio per l'impiego di matrici non selezionate, come i rifiuti urbani indifferenziati, o selezionate a valle (frazione organica da selezione meccanica). Il processo può essere finalizzato alla sola riduzione della fermentescibilità (stabilizzazione pre-discarica) oppure alla produzione di materiali per applicazioni controllate di tipo paesistico-ambientale.
Biostabilizzato per applicazioni paesistico-ambientali
Prodotto simile al compost ma proveniente dalla biostabilizzazione, compresa la fase di maturazione, di rifiuti urbani indifferenziati. Tale matrice è sottoposta ad una vagliatura, che può avvenire prima del processo e/o in una fase intermedia e/o finale. Il biostabilizzato maturo deve rispettare limiti di legge meno restrittivi del compost di qualità (attualmente D.C.I. 27 luglio 1984) e può essere utilizzato in applicazioni controllate per operazioni paesistico-ambientali.
Compost
Prodotto ottenuto mediante il compostaggio di matrici organiche preselezionate di varia natura e che viene impiegato in agricoltura come ammendante o come substrato colturale (ad integrazione o sostituzione della torba ed altri terricci).
Compost verde
Prodotto ottenuto attraverso il compostaggio di matrici organiche costituite da scarti della manutenzione del verde ornamentale, residui delle colture ed altri scarti di origine vegetale.
Compost misto
Prodotto ottenuto attraverso il compostaggio di matrici organiche costituite dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani proveniente da raccolta differenziata, da scarti di origine animale compresi i liquami zootecnici, da residui di attività agroindustriali e da lavorazione della carta, del legno e del tessile naturale non trattati, da fanghi biologici civili, nonché dalle matrici organiche previste per il compost verde.
Compostaggio
Processo biossidativo esotermico che avviene in condizioni controllate a carico di matrici organiche in fase solida. Esso evolve attraverso due fasi (fase attiva e di maturazione) e porta alla produzione di acqua, anidride carbonica, calore e compost.
Digestione anaerobica
Bioconversione di sostanza organica effettuata in assenza di ossigeno, finalizzata alla produzione di biogas e di frazione organica residua parzialmente stabilizzata.
Fermentescibilità
Attitudine di una matrice organica a subire reazioni biologiche con liberazione di energia (calore) e di cataboliti di varia natura, parzialmente rilasciati in atmosfera (es. vapor d'acqua e anidride carbonica) e parzialmente reincorporati nel processo di umificazione.
Fertilizzante
Sostanza che si aggiunge al terreno con l'obiettivo di migliorare o comunque di mantenere inalterata la sua fertilità. La commercializzazione dei fertilizzanti è disciplinata dalla legge n. 748/84 e successive modifiche.
Frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU)
Matrice organica putrescibile ad elevata umidità, proveniente dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani e costituita da residui alimentari, ovvero scarti di cucina.
Granulometria
Caratteristiche dimensionali delle particelle costituenti un ma teriale quale il compost. La granulometria generalmente viene indicata in mm.
Igienizzazione
Disattivazione degli agenti patogeni per l'uomo e per le colture e dei semi vitali nelle matrici organiche in corso di trasformazione. L'igienizzazione avviene nel compostaggio per pastorizzazione (grazie all'autoriscaldamento naturale provocato dall'attività microbica soprattutto durante la fase attiva) e per modifica delle caratteristiche biochimiche delle matrici organiche, sino a renderle inospitali alla ricolonizzazione da parte dei patogeni.
Impianto
Insieme delle strutture ed attrezzature che costituiscono l'unità operativa in grado di gestire un'attività di compostaggio.
Inerti
Frazione merceologica, da allontanare, di una biomassa o di un compost costituita da plastica, pietre, ghiaia e materiali ferrosi.
Matrice organica
Prodotto costituto prevalentemente da sostanza organica di origine naturale (animale o vegetale), la cui tipologia sia facilmente identificabile e riconoscibile: scarti della manutenzione del verde, letame, fanghi, frazione organica dei rifiuti solidi urbani, scarti colturali, etc.
Matrice fermentescibile
Matrice organica con alta percentuale di componenti facilmente aggredibili; tra queste matrici, gli scarti alimentari, gli scarti agroindustriali ed i fanghi.
Matrice strutturale o matrice lignocellulosica
Matrice organica con alta percentuale di materiali di buona consistenza e pezzatura, in grado di conferire alla miscela cui viene aggiunta caratteristiche di buona conduttività all'aria; tra queste gli scarti vegetali da manutenzione del verde ed altri materiali legnosi.
Maturazione
Nel processo di compostaggio la maturazione segue la fase di attivazione e consiste in una lenta trasformazione della sostanza organica, nel corso della quale avviene l'umificazione.
Pacciamatura
Applicazione di compost o di materiali legnosi compostati (es. i sovvalli legnosi) in modo da coprire il terreno con uno strato di materiale dello spessore di 3-10 cm allo scopo di impedire la crescita di malerbe, conservare l'umidità, ecc.
Raffinazione
Operazione di nobilitazione del compost al termine della fase di maturazione. La raffinazione consente di raggiungere il grado di pulizia e omogeneità granulometrica prefissato e può avvenire per vagliatura, riduzione della granulometria, deferrizzazione, classificazione aeraulica, etc..
Scarti verdi
Scarti della manutenzione del verde pubblico e privato così come identificati dal punto 16.1, lett. l, allegato 1, decreto 5 febbraio 1998 (codice 200201).
Sostanza organica
Insieme di sostanze biodegradabili di origine animale e/o vegetale. La sostanza organica può essere presente in forme diverse in funzione del suo grado di trasformazione (da sostanza organica fresca così come è contenuta nelle matrici organiche non trasformate ad humus).
Stabilizzazione
Perdita permanente della biodegradabilità, della fermentescibilità e della fitotossicità della sostanza organica indotta dal compostaggio.
Substrato colturale
Materiale atto a sostituire il terreno in tutte le sue funzioni per tecniche di coltivazione in contenitore (vaso, fioriera, o comunque fuori suolo).
Umificazione
Processo attuato da microrganismi che comporta la sintesi di composti di lenta degradazione, con buone capacità di ritenzione idrica, di agglomerazione dei minerali del suolo, ecc.
Vagliatura
Operazione che consente di separare le particelle di un compost in classi granulometriche differenti secondo le diverse dimensioni. La vagliatura è un'operazione necessaria per la preselezione delle matrici da compostare e/o per la raffinazione finale del compost.


Allegato
IL PROBLEMA DEGLI ODORI NEGLI IMPIANTI DI COMPOSTAGGIO: NATURA, SISTEMI DI TRATTAMENTO, METODI DI VALUTAZIONE

Cosa è l'odore, come lo si misura
Il problema delle emissioni odorose va assumendo un ruolo di primaria importanza nelle valutazioni sulla localizzazione degli impianti di compostaggio.
Occorre sottolineare innanzitutto che il problema è strettamente legato alla gestione corretta degli impianti e dei processi; le buona parte dell'impatto olfattivo delle emissioni è infatti dovuta alla presenza nelle arie esauste di cataboliti ridotti (composti non completamente ossidati dello zolfo, dell'azoto, del carbonio), e tale presenza è sostanzialmente in contraddizione con le caratteristiche aerobiche del processo di compostaggio, che dovrebbe portare essenzialmente alla produzione ed al rilascio nelle arie esauste di cataboliti ossidati ed inodori (anidride carbonica, ossidi di azoto, anidride solforosa, ecc.).
Le cause dei fenomeni odorosi particolarmente intensi possono essere dunque ricondotte soprattutto alla presenza di situazioni critiche processistiche o impiantistiche come:
- presenza di sacche "anaerobiche" nei cumuli;
- scarso o intempestivo utilizzo dell'aerazione forzata della biomassa;
- rivoltamenti inopportuni e/o intempestivi.
Particolare attenzione deve inoltre essere posta nei confronti delle altre potenziali sorgenti di odore di un impianto, poiché non solo gli intermedi volatili di degradazione legati a condizioni processistiche non ottimali (anaerobiosi) generano odore, ma anche in parte quelli generati da rifiuti freschi o dalla miscela in compostaggio ad uno stadio di maturazione già avanzato.
La prevenzione richiede dunque una buona attenzione ai connotati operativi dell'impianto ed un piano integrale di monitoraggio. La maturità delle esperienze in corso dà d'altronde punti di riferimento sufficienti per "porre mano" a tali problemi, prevenendoli.
Oltre alla prevenzione, è bene d'altronde che gli impianti che trattano grosse quantità (es. con capacità operative > 10 tonnellate/die) di matrici fortemente fermentescibili (fanghi, scarti alimentari, ecc.) e/o siano collocati in vicinanza di insediamenti abitativi (es. < 1000 metri) siano dotati di minimi presidi contro la potenziale diffusione di odori all'esterno; la "condizione di sicurezza" in tali situazioni si ottiene mediante:
- la chiusura delle aree operative destinate alle prime fasi di processo (quelle in cui la miscela è ancora potenzialmente odorigena);
- la canalizzazione delle arie esauste provenienti da tali aree verso una linea di trattamento degli odori;
- il dimensionamento adeguato dei biofiltri e/o degli scrubber e di qualunque altro sistema utilizzato per la deodorizzazione delle arie esauste;
- la corretta gestione dei sistemi di deodorizzazione (esempio: conservazione dello stato strutturale e delle condizioni di umidità ideali per la massima efficacia dei biofiltri).
L'odore tra percezione soggettiva e sistemi oggettivi di valutazione
La presenza di odori sgradevoli va considerata come un fattore di alterazione del benessere psicofisico, o comunque causa di sgradevoli sensazioni di disagio. Una caratteristica fondamentale in questo senso è il fatto che certe molecole (sia dall'odore piacevole che molesto) hanno la proprietà di essere avvertite all'olfatto a bassissime concentrazioni; a volte il nostro naso è un "detector" più sensibile della più raffinata strumentazione analitica, e questa considerazione condiziona fortemente anche le metodiche di indagine sugli odori, come vedremo più oltre.
Le molestie olfattive quindi sono spesso causate da sostanze presenti in minime quantità. Occorre sottolineare che alla molestia olfattiva, nel settore del compostaggio, in genere non corrisponde un impatto tossicologico; soprattutto nel caso degli impianti di compostaggio di biomasse da raccolta differenziata, che sono costituite da materiali di origine "naturale" (quali scarti di cibo, risulte di potatura, ecc.) le emissioni odorose sono caratterizzate semplicemente da intermedi volatili della degradazione microbica di questi substrati, ovvero molecole naturalmente presenti in natura, con scarso impatto sulla salute umana.
In tabella 1 vengono elencate le sostanze odorigene maggiori responsabili degli odori avvertibili negli impianti di compostaggio di qualità; abbiamo riportato il confronto tra le soglie di percettibilità da parte del 100% di un gruppo di testatori, 100% ORC (odour recognition concentration; le soglie di percettibilità da parte del 50% dei testatori sono invece conosciute nella letteratura internazionale come OT, odor threshold) e i livelli ammissibili di esposizione negli ambienti di lavoro (TLV, threshold limit value).
Tabella 1
Principali composti odorigeni riscontrabili in impianti di compostaggio. Soglie di percettibilità olfattiva (100% ORC) e livelli ammissibili di esposizione negli ambienti di lavoro (TLV), in µg/m3


  Sostanza     100% ORC TLV 
Idrogeno solforato      1,4 14.000 
Metilmercaptano      70 1.000 
Dimetildisolfuro      16
Trimetilammina      9,8 24.000 
Acido butirrico      73
Acido esanoico      29
Acetaldeide      549,8 180.000 

Da tale confronto si evince come le soglie di percettibilità, ossia le concentrazioni a cui gli odori vengono percepiti negli impianti ed attorno ad essi, sono nella generalità dei casi ben inferiori alle concentrazioni alle quali possono ingenerarsi rischi sanitari.
La necessità di misurare l'intensità degli odori, rendendo oggettiva una grandezza tipicamente correlata a percezioni soggettive, ha portato a sviluppare una serie di approcci diversi al problema.
I metodi analitici (gascromatografia-spettrometria di massa o GC-MS, soluzioni specifiche di assorbimento e titolazione...) permettono uno screening preliminare delle sostanze presenti, con una caratterizzazione quali-quantitativa. Da un'analisi GC-MS si ricavano indicazioni sulle numerose sostanze (tipicamente diverse decine) che compongono la miscela odorosa. E' possibile così valutare la presenza o meno di sostanze indicatrici di un cattivo andamento del processo, oppure valutare l'efficienza dei sistemi di abbattimento come scrubbers e biofiltri. Per alcuni composti come mercaptani e acido solfidrico si presentano però dei problemi di sensibilità dello strumento, dal momento che le concentrazioni in grado di fare percepire odori sono al limite od al di sotto della sensibilità analitica: in questo caso, come già accennato, il naso risulta essere molto più sensibile di uno spettrometro di massa.
Il metodo olfattometrico è stato dunque sviluppato proprio con lo scopo di oggettivare e quantificare numericamente, tramite elaborazione statistica, l'intensità dell'odore percepito da un set di testatori (pannellisti) a cui viene sottoposta a diluizioni successivamente concentrate l'aria campionata. Le unità odorimetriche od olfattometriche (u.o.) sono il numero di diluizioni che fanno sì che il 50% della giuria non percepisca nessun odore; tale numero esprime la "concentrazione di odore"; intuitivamente, maggiore è questo numero, più intenso è l'odore. Per impianti di grandi dimensioni (in cui si trattano diverse centinaia di migliaia di mc/h di arie esauste), può altresì assumere importanza la valutazione della "massa di odore", data dal prodotto della concentrazione di odore per il flusso d'aria in m3/sec in uscita dall'impianto (esempio: da un biofiltro o da uno scrubber).
Tutti gli approcci volti alla misurazione dell'odore riguardano principalmente le emissioni puntuali, ad esempio all'uscita del biofiltro; nel caso di problemi di odori effettivamente rilevati un'accurata strategia di monitoraggio non dovrebbe tuttavia prescindere dall'analisi complessiva dell'impianto dal punto di vista logistico (fase di conferimento del materiale, pretrattamento, eventuali stoccaggi all'aperto di prodotto fresco o in maturazione, perdite dal capannone...); a tal proposito, ed a titolo esemplificativo, in tabella 2 sono indicate le concentrazioni di odore rilevate nelle diverse aree di un impianto di compostaggio.


Tabella 2
Emissioni odorose espresse in unità olfattometriche in diverse zone di impianti di compostaggio (da W. Bidlingmaier et al.)


Area dell'impianto      U.O./m3 
Ricezione      470 (media) 
Pretrattamento      142 (media) 
Superficie dei cumuli (fase ACT, di bio-ossidazione accelerata)      2.000-70.000 
Superficie dei cumuli (maturazione)      100-500 
Vagliatura      118  (media) 
Aria in uscita da biofiltro correttamente funzionante)      <300 


Si evince l'importanza di garantire canalizzazione e trattamento delle arie esauste provenienti da tutte le fasi potenzialmente odorigene, ed in specifico, oltre alla bioossidazione accelerata (ossia la prima fase di compostaggio) anche la ricezione ed il pretrattamento, in cui le caratteristiche biochimiche delle biomasse ancora "fresche" conferiscono loro caratteri potenzialmente odorigeni. La fase di maturazione finale può invece essere condotta in sistemi non tamponati né olfattivamente presidiati, eventualmente una volta verificato il livello di fermentescibilità residua mediante misura della stabilità del materiale (ad esempio: con l'indice respirometrico).
In relazione all'importanza del tema "odori" nella localizzazione e nella valutazione operativa degli impianti di compostaggio e trattamento biologico, in Italia ed in Europa si stanno facendo notevoli passi avanti sia per la definizione di standard di emissione espressi in unità odorimetriche (le bozze delle nuove norme tecniche nazionali fanno esplicito riferimento a tali standard di valutazione, come da tempo in diversi Paesi Europei), sia per quanto riguarda la ricerca chimico analitica in questo campo. Infatti, riuscendo ad identificare quei pochi composti che caratterizzano principalmente l'odore, è possibile concentrarsi su di essi ad es. nella progettazione di uno scrubber piu' efficiente, per diagnosticare la presenza di zone anaerobiche, per poter realizzare analisi mirate in tempo reale, ecc...
Nel campo della ricerca l'interesse si sta spostando verso due direzioni: una è la messa a punto di metodiche che permettano una maggiore sensibilità analitica ed eventualmente la possibilità di effettuare misurazioni automatizzate in continuo o mediate nel tempo, nei punti di immissione (ovvero nei dintorni dell'impianto, dove viene percepito l'evento odorigeno). Un'altra strategia è la ricerca di una correlazione tra i parametri riscontrati nei punti di immissione e quelli sulle emissioni dalle potenziali "sorgenti di odore" dell'impianto. Questi approcci assumono valore eminentemente diagnostico, e mediante l'ausilio di analisi statistiche avanzate (PCA, analisi in componenti principali) permette l'identificazione in im pianto dei "punti critici" dando la possibilità di intervenire in modo mirato.
Le tecnologie di controllo ed abbattimento
Intendiamo qui analizzare i due più comuni sistemi di abbattimento degli odori (biofiltri e scrubber) e gli aspetti normativi riguardanti le emissioni odorose.
Biofiltri e scrubber sono sistemi con cui è possibile rimuovere o trasformare chimicamente o biologicamente gli odori; non parleremo qui dei sistemi di "mascheramento" degli odori che si basano sul sovrapporre un odore gradevole a uno sgradevole.
In ogni caso negli impianti di compostaggio, per la varietà di composti che contribuiscono all'odore complessivo, i sistemi di ab battimento devono cercare di essere versatili e mai troppo selettivi.
I biofiltri
L'utilizzo dei microrganismi per l'eliminazione di inquinanti biodegradabili dalle acque è da tempo diffuso; in analogia, più re centemente hanno avuto un grosso sviluppo i biofiltri, per il trattamento delle emissioni gassose odorigene.
La biofiltrazione è una tecnologia mediante la quale le emissioni gassose da trattare vengono fatte passare uniformemente attraverso un mezzo poroso biologicamente attivo, ovvero in un apposito letto riempito con materiali quali cortecce, legno triturato, compost maturo, torba, ecc. mantenuti a condizioni di temperatura e umidità costanti e che vengono colonizzati da microrganismi aerobi in grado di degradare i composti da trattare presenti nelle emissioni. E' importante sapere che la colonizzazione e le attività metaboliche avvengono all'interno del biofilm, che è la pellicola d'acqua che si crea attorno alle particelle della matrice solida di cui il biofiltro è costituito.
In pratica, i microrganismi di un biofiltro non fanno altro che completare la degradazione della sostanza organica di partenza, di cui i composti odorosi sono intermedi di degradazione.
Alcuni aspetti gestionali sono importanti per il corretto funzionamento di un biofiltro. I sistemi di pretrattamento, possono includere i seguenti stadi:
- rimozione del particolato;
- equalizzazione del carico;
- regolazione della temperatura: potrebbe essere necessario per raggiungere il range ottimale per l'attività batterica (optimum dei batteri mesofili = 37°C). Come in tutti i sistemi biologici, non occorre un controllo preciso, in quanto il sistema nel suo complesso è versatile ed adattativo; il range ottimale di temperatura si ha comunque tra i 20 e i 40°C.
- umidificazione: l'umidità è il parametro che in genere condiziona maggiormente l'efficienza di un biofiltro. I microrganismi ri chiedono adeguate condizioni di umidità per il loro metabolismo; condizioni di scarsa umidità possono portare alla cessazione dell'attività biologica, nonché al formarsi di zone secche e fessurate in cui l'aria scorre in vie preferenziali, non trattata. Un biofiltro troppo umido provoca, invece, elevate contropressioni, problemi di trasferimento di ossigeno al biofilm, creazione di zone anaerobiche, lavaggio di nutrienti dal mezzo filtrante, formazione di percolato. Va considerato che il metabolismo microbico genera esso stesso calore che tende sovente a determinare una essiccazione del materiale filtrante. Per questo, in alcuni casi il flusso gassoso in ingresso viene pretrattato per mantenerlo sempre totalmente saturo di umidità; sulla superficie del biofiltro vanno comunque installati degli irrigatori che coprano in modo possibilmente omogeneo la superficie del biofiltro. Il contenuto di umidità ottimale del mezzo filtrante è nell'ordine del 50-70%.
- distribuzione del gas: la rete di distribuzione del gas nel letto del biofiltro deve essere dimensionata in modo da rendere uniforme l'alimentazione su tutta l'area del biofiltro.
I materiali filtranti devono poter fornire un ambiente microbico ottimale (pH, abbondanza di carbonio, nutrienti inorganici), un'ampia superficie specifica, integrità strutturale nel tempo, elevata umidità e porosità, bassa densità volumetrica, odore proprio non eccessivo.
I mezzi di riempimento più utilizzati sono torba, compost, corteccia, erica e loro miscele, sovvalli legnosi da impianti di compostaggio; tutti questi supporti, di origine naturale, vengono ovviamente lentamente mineralizzati, subendo una progressiva compattazione; perciò, un periodico rivoltamento del mezzo per aumentarne la porosità può migliorare il funzionamento. Dopo un certo periodo è comunque richiesto un ricambio del materiale di riempimento. Le acquisizioni più recenti delle osservazioni sugli impianti di biofiltrazione esistenti hanno richiamato l'attenzione sull'importanza di privilegiare le caratteristiche strutturali della biomassa utilizzata; supporti anche grossolani, quali biomasse vegetali attivate (esempio: sovvalli legnosi da impianti di compostaggio) hanno una ottima capacità di mantenere lo stato strutturale, porosità, uniformità di distribuzione dei carichi nel tempo; inoltre tali supporti, al pari di altri più "fini" e dunque meno resistenti alla compattazione progressiva, riescono a garantire una efficace colonizzazione da parte dei microrganismi eterotrofi aerobi preposti alla demolizione dei cataboliti odorigeni.
In sede di progettazione, si rileva l'importanza di garantire il dimensionamento efficace dei letti di biofiltrazione. Sotto tale punto di vista, i parametri senz'altro fondamentali per l'impostazione del dimensionamento sono il tempo di ritenzione (secondi impiegati dal flusso d'aria da trattare per l'attraversamento del letto) e conseguentemente il carico specifico (flusso d'aria nell'ora attraverso l'unità di superficie, o meglio, di volume del letto di biofiltrazione). Sulla base delle esperienze accumulate, si ritiene generalmente soddisfacente un tempo di ritenzione uguale o superiore a 30"-36",corrispondenteaduncarico specifico di100-120m3h-1m-3.


In relazione alla natura delle arie esauste negli impianti di trattamento biologico, i biofiltri si stanno rivelando come il sistema più versatile ed efficace; la natura relativamente "diluita" dei composti odorigeni da trattare pone infatti limiti strutturali all'efficienza dei sistemi chimico-fisici di abbattimento, mentre i sistemi biologici hanno mostrato buone capacità di rimozione e soprattutto caratteristiche spiccatamente adattative al variare della natura delle sostanze da trattare, garantendo l'efficienza di rimozione anche nel corso delle attendibili fluttuazioni nella composizione delle sostanze odorigene (per stagionalità dei conferimenti, variazioni nel flusso delle matrici da compostare, ecc.). A livello mondiale, sono dunque crescenti i casi di applicazione dei biofiltri, nella maggior parte dei casi come unico sistema di abbattimento. In alcune situazioni, soprattutto nel caso di localizzazioni estremamente "critiche" per immediata vicinanza delle abitazioni vengono accoppiati a scrubber mono, o pluristadio.
Ai fini del mantenimento dell'operatività del biofiltro anche durante le periodiche manutenzioni (sostituzione del letto filtrante etc.) è opportuno che esso sia costruito con struttura modulare, con almeno 3 moduli singolarmente disattivabili per le manutenzioni ordinarie e straordinarie.
Gli scrubbers
Gli scrubbers sono torri di lavaggio che si basano sul principio dell'assorbimento; esso comporta il trasferimento dalla fase gas alla fase liquida delle componenti inquinanti presenti in una miscela, mediante la loro dissoluzione in un opportuno solvente. Il liquido assorbente base è l'acqua. L'impiego di sola acqua, però, pone dei limiti all'efficienza dei sistemi perché diversi composti fonte di odore sono scarsamente idrosolubili.
Il lavaggio ad acqua può essere utilizzato quindi per composti quali ammoniaca, alcoli, acidi grassi volatili; altri composti sono scarsamente solubili in acqua come composti clorurati, ammine, acido solfidrico, chetoni e aldeidi. Composti solforati fortemente odorigeni come il dimetildisolfuro, oltre a terpeni e idrocarburi aromatici sono insolubili in acqua.
Per i composti insolubili in acqua si rende necessario l'utilizzo di reagenti chimici, che possono operare una neutralizzazione o una idrolisi acida o basica, oppure una ossidazione in fase gas o liquida. L'ossidazione chimica è una delle tecniche più utilizzate per l'abbattimento degli odori, poichè la maggior parte dei composti che causano odori molesti hanno origine dalla decomposizione solo parziale di materiale organico e possono essere facilmente ossidati a composti innocui o comunque meno fastidiosi.
E' comunque consolidato il fatto che, qualora lo scrubber sia accoppiato ad un biofiltro posto a valle, il semplice lavaggio ad acqua è sufficiente ad abbattere il carico odorigeno in maniera sufficiente, consentendo una gestione impiantistica più semplice ed evitando il rischio di alterare le caratteristiche del letto biofiltrante (pH etc.) qualora i dosaggi delle soluzioni acide e basiche non siano ben bilanciati. Viene quindi lasciato al biofiltro il compito di completare la degradazione dei composti insolubili in acqua.
Il processo di assorbimento avviene ponendo a contatto il flusso gassoso da trattare con lo specifico liquido assorbente; gli scrubbers devono essere dimensionati in modo da garantire tempi di permanenza e superfici di contatto adeguate per la rimozione richiesta. E' possibile inoltre migliorare l'assorbimento mediante la nebulizzazione del liquido o la creazione di film sottili con grande superficie di contatto riempiendo la torre di lavaggio con corpi di riempimento di varie forme e dimensioni.
Gli aspetti normativi
L'attenzione delle norme per il problema degli odori è relativamente recente. In effetti le norme sull'inquinamento atmosferico non hanno mai messo in risalto la necessità di un controllo sia in sede progettuale che gestionale sugli odori: probabilmente su questo ha influito il fatto che quando parliamo di odore parliamo di qualcosa che non configura nella stragrande maggioranza dei casi un rischio igienico-sanitario, ma prefigura solo (senza volere tuttavia dare un significato riduttivo al termine) un problema di molestia, di disturbo sensoriale.
Per tale motivo, tradizionalmente, gli interventi, in sede di esame dei progetti, delle autorità sanitarie e di quelle preposte alle autorizzazioni agli impianti (province, regioni) si sono limitate al l'in serimento della generica prescrizione che "l'impianto non deve determinare disturbo olfattivo"; tale disposizione veniva poi applicata in relazione alle disposizioni del codice civile. La valutazione conseguente era ovviamente complicata dalla soggettività dell'effetto avvertito, il che ha generato spesso discussioni pretestuose (da tutti i lati) ed inconcludenti.
L'attenzione alla qualità della vita ha opportunamente sviluppato, più di recente, una certa attenzione anche in sede regolamentare od amministrativa per individuare strumenti adatti a de scrivere, valutare e governare il problema degli odori. La "filosofia" è dunque che, se gli impianti di compostaggio, alla stregua di qualunque altro insediamento industriale che tratti materia organica, sono un elemento essenziale nella gestione eco-compatibile del territorio, tali impianti (quelli di compostaggio, ma anche quelli di trasformazione agroindustriale, di depurazione, ecc.) devono essere in grado di annullare gli effetti indesiderati sul territorio e le popolazioni circostanti; e tra gli effetti indesiderati quello relativo agli odori è senz'altro il più temuto.
In realtà, il tentativo di corrispondere all'esigenza di governare il problema è stato dapprincipio gestito dalle autorità competenti in maniera confusa e non coordinata. Spesso le ASL, le ARPA, i PMIP hanno impostato in passato le valutazioni sulle concentrazioni di alcuni composti tra quelli tradizionalmente indagati nel caso delle emissioni da impianti ad es. chimici o di combustione (es. ammoniaca, acido solfidrico). Il fatto che tali composti negli impianti di trattamento biologico, soprattutto laddove dotati di sistema di trattamento delle arie esauste, fossero ampiamente al di sotto del limite di pericolosità ed a volte degli stessi limiti di rilevabilità ne ha presto messo in luce la non significatività ai fini della descrizione dell'effetto odorigeno temuto.
Più recentemente, alcune istituzioni hanno cercato di superare il problema individuando nuove classi di composti aerodispersi che potessero essere messi in relazione con gli effetti odorigeni. In relazione alla natura chimica degli odori (in gran parte attribuibili, negli impianti di compostaggio, a composti organici non completamente ossidati) si è concentrata l'attenzione ad esempio sui COV (composti organici volatili); tale impostazione, e soprattutto la definizione dei relativi limiti analitici, ha tuttavia determinato una forte impasse per tutti quegli impianti che, affidandosi per il trattamento delle arie ai sistemi biologici (ossia i biofiltri, i più efficaci, tra l'altro, per questo tipo di impianti), tendevano a rilasciare nell'aria composti organici volatili a basso o nullo potenziale odorigeno od addirittura con connotazione gradevole dell'odore (esempio diversi composti aromatici provenienti dalla degradazione dello stesso biofiltro, con odore di legno o di fungaia); ogni biofiltro attivo ed efficace, ad es. contribuisce per se al tenore di COV nelle emissioni in misura superiore ai limiti individuati; ma la situazione prefigurata dai limiti adottati (5 mg/Nmc di COV in Lombardia nel triennio 1996/99) sarebbe in realtà risultata problematica anche per sistemi ecologici naturali quali la lettiera di bosco.
Insomma, la determinazione analitica dei potenziali composti odorigeni non può tenere conto degli effetti coprenti e sinergici (laddove si individuano composti specifici da determinare) o rischia di coinvolgere nella valutazione anche composti a basso o nullo potenziale odorigeno (laddove vengono sottoposte a valutazione intere classi di molecole, come nel caso dei composti organici volatili).
Ultimamente le norme stanno dunque opportunamente convergendo anche in Italia, come da tempo all'estero, verso la necessità di adottare sistemi di misurazione coerenti con l'effetto temuto (quello odorigeno) ed in grado di descriverlo, ossia verso l'applicazione delle determinazioni olfattometriche. Da tempo ad esempio in Germania sono in vigore diverse disposizioni locali (in genere a livello di Laender) applicative della TA-Luft (norme tecniche sull'aria); tali disposizioni prevedono limiti olfattometrici nell'ordine delle 300 UO/mc. Le disposizioni austriache ed una recente Gruendruck (documento provvisorio) elaborata da una apposita commissione in Germania parlano invece di 300 UO/mc, determinate secondo i principi dell'olfattometria dinamica definiti, a livello europeo, dal metodo CEN ("Odour concentration measurement by dynamic olfactometry" document 064/e, CEN TC 264 / WG2 "Odours").
La prima legittimazione ufficiale in sede normativa dei principi dell'olfattometria viene dalla Regione Lombardia, che nell'ambito delle linee-guida per gli impianti di trattamento biologico (giugno 1999, in corso di revisione) fa riferimento alle metodiche CEN per le determinazioni olfattometriche, individuando un valore-limite in UO/mc. Accessoriamente, queste linee-guida prevedono dei criteri di dimensionamento dei sistemi di trattamento delle arie (esempio durata delle fasi al chiuso; numero di ricambi d'aria/ora nelle aree chiuse; carichi specifici e tempi di ritenzione dei letti di biofiltrazione, cfr. tab. 4). Il passo in avanti è notevole rispetto, ad esempio: a quanto ancora nel febbraio 1998 diceva il DMA 5 febbraio 1998 sulle attività di recupero rifiuti ammessi a procedura semplificata (ex artt. 31 e 33 del decreto legislativo n. 22/97); in tale sede infatti venivano prefigurati solo la chiusura delle aree destinate ai primi step di processo (per durate non definite), la aspirazione delle arie esauste ed il loro trattamento secondo sistemi non definiti né dimensionati; né veniva definito un limite alcuno alle concentrazioni odorose delle emissioni.



Si moltiplicano, d'altronde, gli episodi di adozione a livello locale dell'olfattometria da parte di ASL, ARPA, ecc. per la valutazione di situazioni "critiche" o contestate. Sono dunque maturati i tempi per una introduzione univoca dei principi di rilevamento olfattometrico come metodica di riferimento a livello nazionale per la valutazione del disturbo olfattivo e dell'efficacia delle opere di presidio (sistemi di trattamento delle arie). Per tale motivo le bozze delle norme tecniche sui rifiuti in applicazione dell'art. 18 ("competenze dello stato") del decreto legislativo n. 22/97, in preparazione presso il Ministero dell'ambiente, citano espressamente i criteri olfattometrici come ratio per la valutazione delle emissioni dagli impianti di trattamento biologico.
(2002.22.1353)


ORDINANZA COMMISSARIALE 29 maggio 2002.
Piano stralcio per il settore dei rifiuti inerti.
IL VICE COMMISSARIO DELEGATO PER L'EMERGENZA RIFIUTI E LA TUTELA DELLE ACQUE

Vista la legge 24 febbraio 1992, n. 225, di istituzione del servizio nazionale di protezione civile;
Visto, in particolare, l'art. 3, comma 1, della predetta legge n. 225/92, che individua, tra l'altro, quali attività di protezione civile quelle necessarie ed indifferibili dirette a superare l'emergenza connessa ad eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari;
Visto, inoltre, il successivo comma 5 del predetto art. 3 della legge n. 225/92, che prescrive che il superamento dell'emergenza consiste unicamente nell'attuazione, coordinata con gli organi istituzionali competenti, delle iniziative necessarie ed indilazionabili, volte a ri muo vere gli ostacoli alla ripresa delle normali condizioni di vita;
Visto, ancora, l'art. 5 della legge n. 225/92, e, in particolare, il comma 2, che prevede che, per l'attuazione degli interventi d'emergenza, conseguenti alla dichiarazione dello stato d'emergenza, si provvede anche a mezzo di ordinanze, in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico;
Vista l'ordinanza del Ministro dell'Interno, delegato per il coordinamento della Protezione civile, n. 2983 del 31 maggio 1999, modificata ed integrata con ordinanze n. 3048 del 31 marzo 2000, n. 3072 del 21 luglio 2000, n. 3136 del 25 maggio 2001 e n. 3190 del 22 marzo 2002 concernenti l'emergenza rifiuti in Sicilia;
Visto l'art. 1 dell'ordinanza n. 3048 del 31 marzo 2000 e successive modifiche ed integrazioni ove il Commissario delegato Presidente della Regione siciliana si avvale di un Vice Commissario per la predisposizione del piano di cui all'art. 22 del decreto legislativo del 5 febbraio 1997 n. 22;
Vista l'ordinanza del Commissario delegato, Presidente della Regione siciliana n. 641 del 23 luglio 2001, con la quale l'avv. Felice Crosta è stato nominato Vice Commissario, con le competenze afferenti il Commissario delegato e tutte le attribuzioni amministrativo-contabili scaturenti dall'attuazione delle predette ordinanze di protezione civile;
Visto il piano stralcio di settore per la gestione dei rifiuti inerti, dei rifiuti di amianto, predisposto dalla struttura di supporto della gestione commissariale;
Vista la nota n. 210 del 21 novembre 2001, con la quale è stato comunicato che la commissione scientifica, ai sensi dell'art. 11 dell'ordinanza n. 2983/99, nell'adunanza del 19 novembre 2001, ha espresso il parere favorevole;
Ritenuto necessario definire le procedure autorizzatorie per l'approvazione dei progetti relativi al recupero ambientale delle cave ed a tal fine, è stata convocata riunione con funzionari dell'Assessorato regionale del territorio e dell'ambiente in data 7 marzo 2002 conclusasi con le determinazioni di cui alla nota n.4373 del 3 aprile 2002;
Ritenuto di dover stralciare la parte relativa alla gestione dei rifiuti amianto, in attesa delle determinazioni ministeriali per i disciplinari tecnici previsti dalla legge n. 257/92 art. 5, che comunque sarà oggetto di un piano di settore specifico;
Ritenuto urgente approvare il piano stralcio per il settore dei rifiuti inerti;
Ordina


Art. 1

E' approvato il piano stralcio per il settore dei rifiuti inerti, nello schema predisposto dalla struttura di supporto della gestione commissariale, che viene allegato alla presente ordinanza per farne parte integrante.

Art. 2

La presente ordinanza sarà pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana.
Palermo, 29 maggio 2002.
  CROSTA 



Allegato
PIANO DI SETTORE PER LA GESTIONE DEI RIFIUTI INERTI


1.  PREMESSA 

Agenda 21, documento di riferimento globale per lo sviluppo sostenibile nel XXI secolo, focalizza per il problema dei rifiuti quattro punti di azione:
-  minimizzazione dei rifiuti;
-  massimizzazione del riuso e del recupero;
-  smaltimento ambientalmente compatibile;
-  incremento di qualità dei servizi di gestione.
Anche nella strategia comunitaria per la gestione dei rifiuti (Comunity Waste Management Strategy) la prevenzione, ovvero la riduzione della produzione, è considerata prioritaria per qualsiasi politica di gestione che abbia come obiettivo la riduzione del volume dei rifiuti prodotti e la conseguente minimizzazione dei pericoli e dei problemi connessi al loro smaltimento. In quest'ottica, con particolare riferimento ai rifiuti inerti, sono considerati prioritari:
-  il reimpiego e il riciclaggio;
-  altre forme di recupero per ottenere materia prima dai rifiuti;
-  l'adozione di misure economiche e la determinazione di condizioni di appalto che prevedano l'impiego dei materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato dei medesimi.
L'Unione europea ritiene inoltre che sia importante incentivare:
-  l'adozione di piani di ecogestione e di audit;
-  la modifica di modelli di consumo attraverso l'informazione e l'educazione dei consumatori;
-  l'adozione di sistemi di raccolta dei dati concernenti i rifiuti;
-  l'identificazione ed il risanamento delle discariche abbandonate.
L'analisi dei sistemi di gestione dei rifiuti inerti, ed in particolare dei rifiuti da costruzione, demolizione e scavo, nei diversi paesi dell'Unione europea mette anche in evidenza che dove la gerarchia comunitaria è largamente attuata si sono raggiunti ottimi risultati con una politica fortemente integrata, basata su un elevato numero di strumenti implementati contemporaneamente: solo in tal modo si è infatti riusciti a raggiungere il duplice obiettivo della incentivazione del riutilizzo di materie prime secondarie derivate dai rifiuti e della contemporanea diminuzione dello sfruttamento delle risorse primarie corrispondenti. In particolare per i rifiuti da costruzione e demolizione è risultato abbastanza evidente che l'imposizione di tasse sullo smaltimento in discarica introdotte insieme a divieti e/o prescrizioni restrittive per lo smaltimento dei rifiuti potenzialmente recuperabili ha determinato - come si vedrà nel paragrafo relativo ("I dati sulla produzione e modalità di recupero") - effetti positivi in diversi paesi dell'Unione (in particolare Danimarca, Olanda, Belgio e Regno Unito).
Va detto, tuttavia, che per raggiungere tali obiettivi è necessario affrontare e superare difficoltà di tipo tecnico ed economico, che cambiano in funzione dei diversi processi produttivi che originano il rifiuto.
Per i rifiuti da costruzione, demolizione e scavo il recupero di materia dalla frazione inerte necessita infatti, dal punto di vista gestionale, della disponibilità di un'adeguata rete di raccolta e di impianti di stoccaggio, diffusa sul territorio in funzione delle strutture e dello sviluppo demografico.
Inoltre, dal punto di vista tecnico, se è facile prevedere il reimpiego della frazione inerte dai rifiuti per usi che non richiedono particolari prerogative tecniche (rilevati, sottofondi, tombamenti, riempimenti), sembra attualmente meno praticabile la sua utilizzazione per la preparazione di calcestruzzi, malte ed intonaci, per i quali sono richieste specifiche prestazioni tecniche: la possibilità di riutilizzare l'inerte riciclato al posto dell'analogo naturale dipenderebbe infatti dalla qualità del materiale di partenza, che dovrebbe essere curata attentamente e che andrebbe, per quanto possibile, verificata già sul luogo di produzione del rifiuto.
Diverso è invece il caso degli scarti derivanti dall'estrazione dei materiali lapidei di pregio, i cosiddetti "ravaneti". Nel prevedere un sistema che massimizzi il loro rientro nel circuito produttivo bisogna infatti partire dalla constatazione che la produzione di questi scarti non è uniforme sul territorio regionale - le attività estrattive sono infatti in gran parte concentrate e localizzate in aree facilmente delimitabili - mentre il loro recupero è agevolato dal fatto che, viste le loro caratteristiche tecniche, questi materiali sono facilmente riutilizzabili al posto dei normali inerti di cava. Le province interessate dal fenomeno sono principalmente Trapani (nel comparto di Custonaci si concentra il 75% dell'attività estrattiva regionale) e, ma in modo minore, Catania e Palermo.
Sostanzialmente analogo è il discorso sui rifiuti della lavorazione dei materiali lapidei (la "marmettola"), la gran parte dei quali è concentrata nella provincia di Trapani, che possono essere utilizzati in molteplici operazioni di recupero (cementifici, rilevati e sottofondi stradali, conglomerati cementizi, copertura di discariche per rifiuti solidi urbani e recuperi ambientali).
Il tema dell'attività estrattiva ci porta, inevitabilmente, ad af fron tare anche il problema rappresentato dallo stato di degrado in cui versano la maggior parte dei siti adibiti in passato ad attività di cava e successivamente abbandonati: le cosiddette "cave dismesse".
La soluzione, per il duplice problema rappresentato dall'accumulo/abbandono degli scarti del comparto lapideo e dalle ferite lasciate dall'attività estrattiva sul territorio, esiste, e viene chiaramente indicata dalle norme di attuazione del decreto legislativo n. 22/97: incentivando il ricorso alle procedure di recupero ambientale previste dall'art. 5 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998 è possibile infatti coniugare l'esigenza di riciclare gli scarti del comparto lapideo con la necessità di attuare, per quanto possibile, il recupero di aree degradate a causa del massiccio ricorso all'attività estrattiva.
Un accenno, infine, deve essere fatto agli strumenti attivati per acquisire la conoscenza, per quanto possibile completa ed aggiornata, del quadro della gestione dei rifiuti inerti sul territorio regionale, e a quelli da attivare per monitorare gli sviluppi in funzione degli obiettivi comunitari sopra citati.
Un'informazione efficace deve infatti essere non episodica, ma continua ed accurata, in grado di adeguarsi alla realtà ed ai suoi cambiamenti, e capace di dar conto delle risposte istituzionali e degli effetti prodotti dalle scelte e dagli interventi correttivi da esse determinati. In particolare chi ha la responsabilità della pianificazione deve, da un lato, poter disporre di un quadro di riferimento veritiero al fine di fissare obiettivi adeguati alla realtà (impiego ex ante), dall'altro, deve poter monitorare l'efficacia dei provvedimenti adottati ed il raggiungimento degli obiettivi prefissati per poter apportare, se necessario, eventuali misure correttive (impiego ex post).
E' stato quindi preliminarmente necessario tracciare un quadro della situazione attuale tramite l'acquisizione dei dati relativi alla produzione, allo smaltimento ed al recupero dei rifiuti inerti nella nostra regione. Va detto che, in base all'art. 11 del decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997, la pianificazione dovrebbe essere fatta basandosi sul sistema di raccolta dei dati relativi alla gestione dei rifiuti di cui alla legge 25 gennaio 1994, n. 70, che ha introdotto l'obbligo del Modello unico di dichiarazione ambientale ("MUD").
In realtà l'analisi dei MUD non è stata significativa, dato che il decreto legislativo n. 22/97 non obbliga i produttori di rifiuti non pericolosi derivati dalle attività di costruzione e demolizione alla presentazione della dichiarazione ambientale. Pertanto gli elementi di base sono stati acquisiti da altre fonti, come testi e pubblicazioni scientifiche, e presso soggetti istituzionali: ANPA, CNR, Regione, Province, Comuni, Università. In particolare si ringraziano il prof. Rosario Alaimo (responsabile scientifico del progetto "Schema di piano regionale per i materiali di cava e lapidei di pregio") per la consulenza relativa alla produzione di inerti da attività di cava ed il prof. Giuseppe Alaimo (Dipartimento di progetto e costruzione edilizia dell'università di Palermo) per la consulenza relativa ai rifiuti da costruzione e demolizione. Si ringrazia infine l'Assessore all'Ambiente della provincia di Trapani, Baldo Levante, per il contributo dato dai tecnici della Provincia che, oltre ai dati specifici sulla produzione di inerti nel proprio territorio, hanno anche fornito utili indicazioni metodologiche sulle modalità di gestione delle attività di recupero ambientale previste dall'art. 5 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998, indicazioni che sono state recepite in sede di formulazione del piano.
E' stato infine necessario prevedere strumenti di verifica dei risultati raggiunti, mediante l'acquisizione dei dati relativi alla gestione dei rifiuti, al fine di garantire una corretta gestione del l'in formazione ambientale da utilizzare come strumento di pianificazione e controllo. Ciò è stato fatto prevedendo nel piano il coinvolgimento degli Osservatori provinciali sui rifiuti (O.P.R.) previsti dalla legge 23 marzo 2001, n. 93, ed istituiti in tutte le province siciliane, assegnando inoltre una funzione di raccordo all'Osservatorio regionale sui rifiuti istituito con ordinanza commissariale n. 480 del 21 giugno 2001.
2.  QUADRO NORMATIVO 
2.1.  Riferimenti normativi generali 

Con il decreto legislativo del 5 febbraio 1997, n. 22 (il cosiddetto "decreto Ronchi"), di seguito denominato "decreto", la disciplina dei rifiuti cambia regime ed i principi generali che la qualificano chiariscono le finalità di protezione dell'ambiente e di responsabilizzazione di tutti i soggetti coinvolti nel ciclo di vita dei prodotti.
Il decreto, al fine di armonizzare le legislazioni degli Stati membri, dà attuazione a 3 direttive comunitarie: sui rifiuti (91/156/CEE), sui rifiuti pericolosi (91/689/CEE), sugli imballaggi e rifiuti di imballaggi (94/62/CE), provvede a riordinare le disposizioni esistenti via via stratificatesi nel tempo, abrogandone le principali (D.P.R. n. 915/82, legge n. 475/88) e mantenendo alcune normative tecniche in attesa delle nuove. In particolare l'art. 57 fa salve le norme tecniche statali di cui alla deliberazione di C.I. del 27 luglio 1984 e quelle regionali di cui al D.A. n. 288 del 3 marzo 1989.
Il decreto Ronchi, conformemente a quanto previsto dalle direttive comunitarie, impone il rispetto della salute umana e dell'am biente nelle attività di recupero e smaltimento dei rifiuti.
Ai sensi dell'art. 4 le autorità competenti devono favorire la riduzione dello smaltimento finale dei rifiuti attraverso il reimpiego e il riciclaggio, le altre forme di recupero per ottenere materia prima dai rifiuti, l'adozione di altre misure tecniche ed economiche.
Il decreto introduce il concetto che lo smaltimento finale deve costituire esclusivamente la fase residuale della gestione dei rifiuti (art. 5): sono quindi specificate disposizioni per la progressiva riduzione del ricorso a impianti di smaltimento finale quali ad esempio la restrizione della possibilità di conferimento dei rifiuti alle discariche o la realizzazione di impianti di incenerimento condizionata, dal 1999, all'obbligo di accompagnare il processo di combustione con il recupero energetico.
E' il caso di ricordare che il termine di cui al comma 6, dell'art. 5, del decreto legislativo n. 22/97, come modificato dal l'art. 1, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 1999, n. 500, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2000, n. 33, oltre il quale "è consentito smaltire in discarica solo rifiuti inerti, i rifiuti derivanti da specifiche norme tecniche ed i rifiuti che residuano dalle operazioni di riciclaggio, di recupero e di smaltimento di cui ai punti D2, D8, D9, D10 e D11 dell'allegato B dello stesso decreto", con decreto legge 16 luglio 2001 n. 286 è stato differito fino all'adozione delle norme tecniche previste dai medesimi articoli e dall'art. 18, comma 2, lettere a) e l), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, per lo smaltimento dei rifiuti in discarica, e comunque non oltre un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (22 agosto 2002).
Secondo il decreto Ronchi i rifiuti sono classificabili in urbani o speciali, pericolosi o non pericolosi.
Alle tipologie di rifiuti derivanti dalle diverse attività produttive sono stati attribuiti dei codici, i codici del Catasto europeo (CER), che sono ordinati sulla base dell'attività di provenienza e caratteristiche di pericolosità.
L'art. 10 introduce l'onere dell'attività di smaltimento a carico del detentore o del produttore del rifiuto; essa può avvenire in autosmaltimento o attraverso la consegna a un raccoglitore autorizzato o a un soggetto che effettua specifiche operazioni contenute in apposito allegato. Le priorità nell'assolvimento degli obblighi sono le seguenti:
a)  autosmaltimento dei rifiuti;
b)  conferimento a terzi autorizzati conformemente alla normativa vigente;
c)  conferimento a soggetti gestori dei servizi pubblici di raccolta dei rifiuti urbani, con la stipulazione di apposita conven zione.
Sono stati altresì definiti i tempi per effettuare le procedure di registrazione delle operazioni di carico e scarico di produttori, trasportatori, commercianti ed intermediari (una settimana) e dei soggetti che effettuano attività di recupero e smaltimento rifiuti (ventiquattro ore).
Il decreto inoltre, conferma l'obbligo di compilazione di un formulario di identificazione dei rifiuti durante il trasporto, mutuato dalla disciplina previgente.
Da sottolineare che le procedure sopra descritte (denuncia, registri, formulari) sono introdotte sia per la gestione dei rifiuti avviati al riutilizzo sia per la gestione dei rifiuti avviati allo smalti mento.
Il decreto, tuttavia, in conformità a quanto disposto dall'art. 31 prevede che con apposito regolamento siano fissate le tipologie e le condizioni tecniche particolare in base alle quali le attività di smaltimento dei rifiuti non pericolosi effettuate dai produttori nel medesimo luogo di produzione degli stessi (autosmaltimento) e le attività di recupero di cui all'allegato C del medesimo, possono essere intraprese in regime di procedura semplificata.
L'art. 33, di conseguenza, prevede che per i tipi di rifiuti identificati da apposite norme tecniche e sulla base di specifiche prescrizioni poste a regolamentazione delle attività e dei metodi di recupero l'esercizio delle relative operazioni possano essere intraprese decorsi 90 giorni dalla comunicazione di inizio attività alla provincia competente per territorio.
L'individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero e le modalità di effettuazione del l'attività (caratteristiche e provenienza del rifiuto, tipo di attività, caratteristiche delle materie prime e prodotti ottenuti) è avvenuta con il decreto ministeriale 5 febbraio 1998 che riportano le "Norme tecniche per il recupero dei rifiuti non pericolosi". E' opportuno ribadire che si può accedere alle procedure agevolate (solo dal punto di vista autorizzatorio e fidejussorio) esclusivamente se il recupero è effettivo ed oggettivo.
Rientra nelle procedure semplificate previste dall'art. 33 del decreto legislativo n. 22/97, il recupero ambientale attraverso l'utilizzo, per il rimodellamento geomorfologico di aree degradate, di talune specifiche tipologie di rifiuti inerti.
In questo caso le condizioni per il recupero ambientale sono:
-  i rifiuti non devono essere pericolosi;
-  il progetto di recupero deve essere approvato dall'autorità competente;
-  deve essere effettuato nel rispetto delle norme tecniche e delle condizioni specifiche previste dal decreto ministeriale 5 febbraio 1998 per la singola tipologia di rifiuto impiegato nonché nel rispetto del progetto di cui al punto precedente;
-  l'intervento deve essere compatibile con le caratteristiche chimico-fisiche, idrogeologiche e geomorfologiche dell'area da recuperare.
Con decisione della commissione della Comunità europea 2000/532/CE del 3 maggio 2000, è stato adottato il nuovo elenco dei rifiuti al quale, dal 1° gennaio 2002, gli Stati membri devono conformarsi. I codici CER sono quelli attualmente in vigore ai sensi delle ultime decisioni della Comunità europea:
-  decisione della commissione del 3 maggio 2000 (2000/532/CE);
-  decisione della commissione del 16 gennaio 2001 (2001/118/CE);
-  decisione della commissione del 22 gennaio 2001 (2001/119/CE);
-  decisione del consiglio del 23 luglio 2001 (2001/573/CE).
Per quanto concerne lo smaltimento in discarica, infine, si ricorda che è stata emanata la direttiva 1999/31/CE del consiglio del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti, e che tale direttiva è attualmente in via di recepimento da parte dello Stato.
In materia di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.), l'art. 91 della legge regionale 3 maggio 2001, n. 6, detta nuove norme e recepisce i principi e le disposizioni stabilite dal D.P.R. 12 aprile 1996 e dal D.P.C.M. del 3 settembre 1999.
Tuttavia il comma 8, dell'art. 1, del D.P.R. sopra citato, esclude dalla procedura, gli interventi disposti in via d'urgenza a seguito di calamità per le quali sia stato dichiarato lo stato di emergenza ai sensi dell'art. 5 legge 24 febbraio 1992 n. 225.
Il decreto ministeriale 12 luglio 1990, all'allegato 6, stabilisce le prescrizioni per il contenimento delle emissioni diffuse prodotte negli impianti nei quali si manipolano, producono, trasportano, caricano e scaricano, immagazzinano, prodotti polverulenti (attività di frantumazione, cernita, miscelazione etc.).
Infine con O.P.C.M. n. 2983 del 31 maggio 1999, la Regione siciliana è stata commissariata "per la predisposizione del piano di gestione dei rifiuti e delle bonifiche delle aree inquinate di cui all'art. 22 del decreto legislativo n. 22/97, per la predisposizione di un piano di interventi d'emergenza per la gestione dei rifiuti urbani nonché per la realizzazione degli interventi necessari per far fronte alla situazione di emergenza".
Con le successive ordinanze n. 3048 del 31 marzo 2000, n. 3072 del 21 luglio 2000 e n. 3166 del 25 maggio 2001, che integrano e modificano la n. 2983, la situazione di emergenza determinatasi nella Regione siciliana per i rifiuti urbani, è stata estesa anche ai rifiuti speciali. Il commissariamento è stato di recente prorogato con l'ordinanza n. 3190 del 22 marzo 2002.
2.2.  Rifiuti da dragaggio 

Per l'utilizzo, il recupero e lo smaltimento dei sedimenti provenienti da lavori di dragaggio di fondali marini, oltre al decreto Ronchi si farà riferimento all'art. 35 del decreto legislativo 11 maggio 99 n. 152, per quanto riguarda la tutela dei corpi idrici, e alla normativa regionale di cui ai decreti assessoriali (Assessorato territorio e ambiente) del 30 dicembre 97, del 31 dicembre 97 e del 4 gennaio 2001, oltre che alla circolare del 22 giugno 1999 n. 11904.
3.  DATI SULLA PRODUZIONE DI RIFIUTI INERTI E MODALITÀ DI RECUPERO 

Sono "rifiuti inerti" quelli che non subiscono alcuna trasformazione fisica, chimica o biologica significativa. I rifiuti inerti non si dissolvono, non bruciano né sono soggetti ad altre reazioni fisiche o chimiche, non sono biodegradabili e, in caso di contatto con altre materie, non comportano effetti nocivi tali da provocare inquinamento ambientale o danno alla salute umana. La tendenza a dar luogo a colaticci e la percentuale inquinante globale dei rifiuti nonché l'ecotossicità dei colaticci devono essere trascurabili e, in particolare, non danneggiare la qualità delle acque superficiali e/o freatiche.
3.1.  I rifiuti da attività di costruzione, demolizione e scavo 

I rifiuti da costruzione, demolizione e scavo possono essere suddivisi in 3 categorie generali, di seguito elencate:
-  la frazione riutilizzabile, costituita da quegli elementi che possono essere riportati alla loro forma precedente e riconvertiti direttamente alla loro funzione originale: finestre, inferriate di balconi, travi ecc.;
-  la frazione riciclabile, costituita dagli scarti riciclabili o dai rifiuti che, sottoposti a termodistruzione, forniscono energia. Il riciclaggio del materiale concerne soprattutto la frazione litoide, ma non sono esclusi legno non trattato e metalli, mentre l'utilizzo dal punto di vista termico riguarda i componenti organici, come pavimenti in P.V.C. o legno trattato. A differenza della frazione riutilizzabile, questa frazione non ha conservato né la forma né la funzione originarie;
-  la frazione inutilizzabile, costituita dai componenti indesiderati presenti nel materiale da riciclare o dalle frazioni che contengono inquinanti, da conferire in discarica o trattare separatamente.
Per quanto riguarda la composizione, si può differenziare tra la fase di costruzione che, al pari di quella di manutenzione, genera scarti molto eterogenei, costituiti da legname per impalcature e ponteggi, plastiche, cartoni, metalli, imballaggi vuoti, sfridi di materiali da rivestimento (es. moquette), di isolanti e di impermeabilizzazioni, materiali ceramici, sfridi di laterizi e calcestruzzi, e la fase di demolizione che genera invece scarti più omogenei, con una prevalenza di laterizio e calcestruzzo (85-90%) rispetto alla frazione metallica (<5%) e leggera (<5%).
3.1.1.  Il confronto con gli altri paesi europei
Si stima che attualmente i rifiuti da costruzioni, demolizioni e scavo rappresentino circa il 25% in peso di tutti i rifiuti prodotti in Europa. Le informazioni più recenti sul flusso di tali rifiuti sono derivabili da un rapporto della commissione europea DGXI del 1999 - le cui statistiche si riferiscono ad un periodo compreso fra il 1990 ed il 1997 - e derivano da studi o indagini sviluppate all'interno dei singoli paesi da organismi istituzionali o da fonti diverse (istituti di ricerca o associazioni di categoria). Nel rapporto i rifiuti da costruzioni, demolizioni e scavo sono raggruppati in tre grandi categorie:
-  rifiuti da costruzioni e demolizioni;
-  terra e rocce (compresi i materiali derivati da escavazioni);
-  materiali derivati da costruzioni di strade.
Dall'elaborazione dei dati si stima che la produzione complessiva annua di inerti per le 3 tipologie nei 15 paesi dell'Unione europea sia superiore a 470 milioni di tonnellate, di cui circa 180 milioni di tonnellate derivanti da costruzione e demolizione di fabbricati, con i paesi maggiori produttori che sono, nell'ordine, Germania (32,8%), Regno Unito (16,7%), Francia (13,1%) ed Italia (11,4%) (v. graf. 1).
Ne deriva, considerando esclusivamente i rifiuti provenienti dal l'attività edilizia e di demolizione, un valore pro-capite a livello comunitario di circa 480 kg/anno (ANPA 1999 - Primo rapporto sui rifiuti speciali). Il tasso più elevato di produzione annua si osserva in generale nei paesi del nord Europa, in particolare Germania (719 kg/ab), Olanda (716 kg/ab), Belgio (662 kg/ab), Regno Unito (509 kg/ab) e Danimarca (498 kg/ab).
L'Italia si trova poco al di sotto della media europea, con una produzione annuale che sarebbe intorno ad un valore di circa 400 kg per abitante (cfr. grafico 2).
Per quanto riguarda, infine, la destinazione dei rifiuti da costruzioni e demolizioni (escludendo la quota derivata da escavazioni e costruzione di strade) il grafico 1 mostra come, ancora una volta, nei paesi del nord Europa si riscontrano i livelli più elevati di riciclaggio, con punte superiori al 90% per Belgio ed Olanda. Si vede inoltre che - a parte Grecia, Portogallo e Spagna, le cui statistiche non sono attendibili anche se è presumibile che l'unica forma di gestione per i rifiuti da costruzioni, demolizioni e scavo sia la discarica - i paesi in cui si riscontra la più elevata percentuale di smaltimento in discarica (ANPA 1999 - Primo rapporto sui rifiuti speciali) sono Irlanda (96%), Italia (91,1%), Francia (85%) e Germania (83%) (v. graf. 3).






Il nostro Paese si colloca pertanto oggi agli ultimi posti nella classifica europea delle attività di riutilizzo e recupero di detriti edilizi: a fronte di circa 24 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti annualmente (ma il dato potrebbe essere largamente sottostimato, visto l'ampio ricorso alle discariche abusive) meno del 10% viene riutilizzato, mentre paesi come l'Olanda o il Belgio superano il 90% e la media europea è del 50% circa.
Sembra infine interessante citare il caso della Svizzera dove l'80% dei rifiuti inerti viene riciclato, e dove chi svolge attività di costruzione e demolizione non può mischiare rifiuti speciali con altri rifiuti, bensì, se le condizioni dei lavori lo permettono, li deve separare sul luogo di produzione in:
-  rifiuti non inquinati provenienti da demolizione o scavo;
-  rifiuti inerti conferibili in discarica senza alcun trattamento, previo separazione delle frazioni eventuali di plastica e legno;
-  rifiuti diversi.
E' stato sviluppato tra gli altri, un programma (PI-EDIL) sulla conservazione ed il rinnovamento del patrimonio immobiliare che prevede due linee principali di attuazione del piano di gestione e cioè:
-  l'applicazione di principi e metodi più moderni nel processo di produzione edilizia;
-  l'applicazione generale del principio del riciclaggio nell'uso dei materiali da costruzione, preferibilmente da attuare sui luoghi di produzione stessi.
Ad ogni operatore del processo edilizio vengono attribuite precise responsabilità:
-  il committente, responsabile della produzione dei rifiuti, deve provvedere allo smaltimento e deve sostenerne i costi;
-  il progettista deve avere cognizione dei processi produttivi e prevedere i rifiuti che da essi verranno generati;
-  il direttore dei lavori deve seguire tutto l'iter della produzione e gestione dei rifiuti;
-  l'impresa deve procedere al conferimento dei rifiuti presso discariche o centri di riciclaggio autorizzati.
Alcune grandi Società hanno sviluppato propri piani di gestione dei rifiuti inerti assumendo per esempio come concetto base quello della separazione dei rifiuti per tipologia, già nel cantiere stesso di produzione, e accumulando ciascuna di esse in benne appositamente predisposte. Il motivo determinante che spinge verso soluzioni alternative (quali il riciclaggio) in Svizzera, come del resto sta accadendo in Italia, risulta l'alto costo di conferimento unito alle maggiori difficoltà nell'aprire nuove discariche e reperire nuove cave.
3.1.2. La produzione di rifiuti da costruzione, demolizione e scavo in Sicilia
Dal rapporto della commissione europea DGXI del 1999 si evince che, in base ai dati provenienti dai Modelli unici di dichiarazione ambientale (M.U.D.) del 1998 forniti da Unioncamere/EcoCerved sulle quantità di detriti da demolizioni, sfridi da nuove costruzioni e scavi riutilizzati e/o recuperati, in Sicilia si recuperano 224.658 tonnellate di inerti in impianti di riciclaggio, mentre 439.384 tonnellate di materiali risulterebbero conferite in disca rica.
Ciò porterebbe ad un valore complessivo di circa 660.000 tonnellate di rifiuti da costruzione, demolizione e scavo e ad una produzione annuale di circa 0,12 t/ab (tonnellate/abitante) per abitante. Se si considera però che la media nazionale si attesta intorno al valore pro-capite di 0,36 t/ab risulta evidente che il dato non può essere significativo, ed appare fortemente sottostimato nella aliquota relativa al conferimento in discarica: l'elevato numero di discariche abusive su tutto il territorio regionale ne è, del resto, la più evidente conferma. Le stime dell'ANPA infatti, anch'esse estremamente cautelative, indicano invece per la Sicilia una produzione per il 1998 di circa 1.250.000 tonnellate di rifiuti, che corrisponderebbe ad un valore annuale di circa 0,20 t/ab, e per il 1999 una produzione di circa 1.320.000 tonnellate di rifiuti, corrispondenti ad un valore annuale di 0,26 t/ab.
L'incremento rilevato (5,6%) appare giustificabile in relazione al buon andamento del settore delle costruzioni registrato nel 1999, anche se una valutazione precisa appare molto complessa per una molteplicità di fattori legati principalmente alla frammentazione delle attività del settore, alla frequente violazione delle norme esisten ti in materia di gestione dei rifiuti - secondo una stima di CRESME, nel triennio 1996-1998 gli interventi edili abusivi, intesi sia come nuove costruzioni che come ristrutturazioni, sono stati circa il 15% a livello nazionale - e non ultimo ad un'interpretazione in passato largamente condivisa, in particolare per le terre e rocce di scavo, che il recupero delle frazioni inerti non fosse oggetto della normativa sui rifiuti.
In base ai dati, tuttavia, il primo elemento che si può evidenziare è che la percentuale di materiali riciclati in Sicilia di attesta intorno al 20,4% del totale, dato confermato anche dalle stime dell'ANPA e che risulta in controtendenza rispetto al contesto generale che vede la nostra regione agli ultimi posti per quanto riguarda le attività di riciclaggio dei rifiuti. Per il recupero dei rifiuti da costruzione, demolizione e scavo fra le regioni italiane la Sicilia infatti sarebbe superata soltanto da Veneto (22%), Emilia Romagna (21,7%) e Friuli (21,5%).
Può inoltre essere utile mettere a confronto il dato relativo allo smaltimento in discarica con la produzione siciliana media di rifiuti inerti, calcolata per estrapolazione sulla base delle quantità di rifiuti conferiti nelle discariche ufficiali e del numero di abitanti (dedotto dai dati ISTAT 1996) del comune o dei comuni vicini che vi conferiscono (cfr. tabella 1).







Dal grafico 4, correlato alla tabella 1, si riscontra immediatamente una elevata variabilità delle produzioni unitarie di rifiuti da una discarica all'altra, anomalia dovuta probabilmente al fatto che i bacini di utenza non sono rigidamente definiti ed inoltre al differente tasso di conferimento dei diversi luoghi. Dai dati raccolti risulta comunque una produzione media annuale a livello regionale di 0,26 t/ab, che è compatibile con il dato statistico ufficiale nazionale.
Va detto ancora che studi consolidati hanno mostrato anche una stretta correlazione tra volumi edificati e produzione di rifiuti inerti, ed anche di tale elemento bisogna tenere conto nel formulare una stima, per quanto possibile attendibile, della produzione in Sicilia di rifiuti da costruzione, demolizione e scavo.
Tenendo presente quanto detto in precedenza si può, in prima approssimazione, assumere una produzione annuale di inerti attorno a 0,3 m3/ab, equivalente a circa 0,4 t/ab, dato che è compatibile con la media nazionale. Si ricorda tuttavia che alcuni studi di settore indicano invece come più attendibile una produzione annuale di rifiuti da costruzione, demolizione e scavo nettamente superiore, attestata intorno ad un valore medio annuale di circa 0,6 t/ab.
La tabella 2 ed il grafico 5 mostrano la produzione annuale di rifiuti inerti da costruzione, demolizione e scavo per provincia, espressa in tonnellate, sulla base del parametro sopra indicato (0,4 t/ab).



La tabella 3 infine riporta, in funzione della composizione media dei rifiuti stimata in base a statistiche nazionali, le quantità annue recuperabili prendendo a base del calcolo una percentuale realisticamente possibile del 80% dei rifiuti inerti da costruzione, demolizione e scavo prodotti nell'intera regione nelle attività di demolizione edilizia. Anche in questo caso è opportuno ricordare che studi di settore portano a ritenere come fortemente sottostimati i dati di produzione riportati in tabella.





3.1.3. Caratteristiche e campi di impiego dei rifiuti da demolizioni edilizie
La forma di riciclaggio fondamentale, dal punto di vista delle dimensioni del problema dei rifiuti inerti da demolizioni edilizie, consiste nel reimmettere i materiali di scarto in un nuovo processo di produzione, possibilmente all'interno dello stesso ciclo che li ha generati. Infatti, poiché l'ambiente fisico e chimico che circonda l'uomo è un sistema chiuso in cui tutte le parti sono reciprocamente interconnesse, per contrastare il degrado ambientale dovuto al depauperamento delle materie prime l'unica strada possibile è quella di imporre idealmente una direzione di circolarità ai processi di trasformazione delle risorse, mantenendo le materie prime riciclate, divenute quindi materie prime seconde, all'interno dello stesso ciclo di produzione.
Tutte le materie prime utilizzate nel processo di costruzione, infatti, vengono reimmesse nell'ambiente in una qualche forma al momento della demolizione, ma per chiudere il cerchio è necessario attuare una forma di riciclo di alta qualità, quale può essere per esempio il reimpiego degli scarti di per la produzione di nuovo calcestruzzo. Si ricorre qui al termine "scarti" per indicare che è previsto un successivo reimpiego, previo trattamento in appositi impianti, delle macerie prodotte che sono quindi "sfuggite" al loro destino di rifiuti non più riutilizzabili.
Rilevazioni statistiche, sostanzialmente confermate anche nelle diversificate realtà costruttive europee, individuano nei rifiuti provenienti dalle demolizioni edilizie una prevalente presenza di materiali cementizi e di laterizi. Come visto al punto precedente queste due sole categorie conglobano complessivamente oltre l'80% dei materiali, mentre tutte le altre categorie (legno, materie plastiche, bituminose, metalli ferrosi e non ferrosi, vetri, materie tessili ecc.) difficilmente raggiungono nel loro insieme il 20% del totale.
Attualmente tali materiali vengono per lo più inviati in discariche autorizzate o abbandonati in modo incontrollato sul territorio, e solo una percentuale estremamente limitata viene riutilizzata, previo adeguato trattamento, nei vari settori dell'edilizia e dei lavori pubblici in genere. Tende anche a diffondersi, per le difficoltà di approvvigionamento di inerti sul mercato o per l'assenza di impianti di trattamento di sfabbricidi, la pratica dell'utilizzo "tout-court" del materiale di demolizione per sottofondi e riempimenti, senza la necessaria fase di trattamento. Ed è evidente come questa procedura sia oltremodo negativa, sia sotto gli aspetti tecnici (caratteristiche geotecniche del materiale), sia sotto l'aspetto ambientale. Infatti, la convinzione che, a dispetto della presenza di materiali innovativi di sintesi quali materiali di impermeabilizzazione, coibentazione (vedi i sistemi a cappotto) o protettivi (vedi le vernici intumescenti), gli scarti da demolizioni siano nel loro complesso inerti dal punto di vista geochimico è a dir poco da sfatare.
L'impiego diretto dei materiali da demolizione non è infatti né possibile né consigliabile, neppure nel caso di usi minori, in quanto:
-  un rilevato con accettabili caratteristiche di resistenza deve essere realizzato con materiale avente pezzatura assortita e contenuta in un determinato fuso granulometrico (stabilizzazione granulometrica);
-  il riutilizzo di questi materiali può avvenire, come è chiarito nel paragrafo "Quadro normativo", soltanto seguendo le procedure previste dalla legge (autorizzazione ai sensi degli artt. 27 e 28 del decreto legislativo n. 22/97, o procedure semplificate di cui agli artt. 31 e 33 dello stesso decreto);
-  esiste il rischio che insieme agli inerti vengano smaltite altre tipologie di rifiuti (incidentalmente o dolosamente).
Qualsiasi approccio alle problematiche di riciclaggio del materiale da demolizione edilizia va quindi impostato essenzialmente sul riciclaggio del calcestruzzo e dei laterizi, finalizzato alla:
-  riduzione della necessità di discariche di materiale inerte;
-  riduzione, creando un interesse economico sul riutilizzo, delle possibilità di abbandono incontrollato;
-  creazione di una forte alternativa ai materiali inerti per gli usi "meno nobili" che può portare alla diminuzione del numero di cave con conseguenti benefici ambientali.
Il riciclaggio dei materiali a matrice cementizia (essenzialmente calcestruzzi) ha luogo attraverso operazioni di frantumazione e di separazione delle armature d'acciaio relative agli elementi in cemento armato.
Il granulato di calcestruzzo (spesso impropriamente chiamato calcestruzzo riciclato) può essere senz'altro impiegato per la costituzione di sottofondi sia di pavimentazioni industriali che di strade, di piste aeroportuali ecc. In questo utilizzo esso viene a configurarsi quale materiale alternativo alla ghiaia ed alla sabbia, anche se le sue caratteristiche di assorbimento dell'acqua e di resistenza meccanica all'usura ed alla compressione richiedono, da parte degli utilizzatori, alcuni accorgimenti ed una certa attenzione.
Per quanto riguarda i granulati provenienti dalla demolizione di elementi in laterizio si possono fare considerazioni del tutto analoghe, con l'avvertenza che i granulati di laterizio possono trovare utilizzo quali aggregati solo per la produzione di impasti di calcestruzzi attribuibili alle classi di più bassa qualità.
Le considerazioni fin qui svolte potrebbero tuttavia apparire troppo semplici, o addirittura semplicistiche, per una corretta rappresentazione della effettiva realtà. Occorre infatti considerare come a complicare il quadro rappresentativo finora svolto intervengano due aspetti di particolare rilevanza:
-  l'omogeneità dei materiali provenienti dalle demolizioni e sottoposti a trattamento per il loro riciclaggio;
-  la possibile compresenza negli aggregati riciclati di materiali di contaminazione.
Va ricordato che per accertare l'idoneità all'uso degli aggregati riciclati occorre valutarne, nelle diverse condizioni applicative, le caratteristiche prestazionali attraverso la verifica di conformità alle prescrizioni ed ai criteri di accettazione previsti dalle norme di legge e di buona pratica tecnica. Premesso questo non vi sono validi motivi per escludere a priori un materiale (da riciclo) del quale si sia verificata la corrispondenza alle norme in termini di fattibilità, funzionalità e durabilità. Ma proprio in considerazione del fatto che sono molteplici i campi applicativi dei materiali inerti riciclati preventivamente trattati - costruzioni in terra, costruzioni stradali, ferroviarie ed aeroportuali, costruzioni civili, costruzioni prefabbricate -è assolutamente necessario che i materiali ottenuti siano preventivamente caratterizzati in funzione del loro riutilizzo, in maniera da definirne, anche con eventuali interventi correttivi, i limiti di impiego.
Per concludere si ricorda che un esempio classico, in edilizia, di riciclaggio di alta qualità di sfridi e scarti post-consumo provenienti da svariati settori industriali viene dall'esperienza canadese di recupero dei rifiuti nella Green Dream House, nella città di Toronto. La Green Dream House è stata infatti realizzata a scopo dimostrativo, per provare che il livello prestazionale correlato alle attuali esigenze abitative è raggiungibile anche mediante l'impiego di materiali edilizi ricavati dal riciclaggio di frazioni omogenee di rifiuti inerti.
3.1.3.1.  La demolizione selettiva degli edifici
Con il termine di "demolizione selettiva" si intende l'insieme di tecniche di decostruzione il cui scopo è quello di ottenere frazioni omogenee e valorizzabili, aumentando concretamente il livello di riciclabilità degli scarti generati sul cantiere di demolizione, qualunque sia la configurazione di partenza dell'edificio, secondo un approccio che privilegi l'aspetto della qualità del materiale ottenibile dal riciclaggio.
Lo smontaggio selettivo degli edifici è finalizzato a mettere a disposizione frazioni tendenzialmente monomateriali, adatte al trattamento in appositi impianti di riciclaggio per la valorizzazione degli scarti come materie prime secondarie. Quanto più omogeneo è il materiale, infatti, tanto più elevate sono le possibilità di un riciclo di alta qualità rispetto a un riciclo che veda il materiale sottoutilizzato dal punto di vista delle prestazioni. Frazioni omogenee di materiale sono attualmente ottenibili però soltanto al termine della vita utile dell'edificio, data la scarsa disponibilità nell'ambito del patrimonio edilizio esistente di realizzazioni che siano state in qualche modo concepite fin dall'inizio per consentire un'agevole disassemblaggio finale.
I due diversi momenti del processo di smantellamento dell'edificio in cui è possibile intervenire per giungere a una ripartizione degli scarti in frazioni il più possibile omogenee sono:
-  la separazione all'origine con stoccaggio in aree o contenitori separati, prima della demolizione vera e propria;
-  la cernita all'interno dei cumuli dei materiali ancora separabili, a demolizione conclusa.
La separazione delle due frazioni "solo calcestruzzo" o "laterizio più calcestruzzo" nei cumuli stoccati all'ingresso degli impianti di trattamento - come si vedrà in seguito - afferisce al secondo gruppo di operazioni ma, rispetto ad una separazione all'origine, può a questo punto essere portata avanti solo in percentuale limitata.
3.1.3.2.  Tecniche di riciclaggio
Si è detto della inopportunità ed anche del rischio connessi al l'utilizzo diretto di materiali inerti provenienti dalle demolizioni edilizie: è quindi necessario un trattamento prima di reimpiegarli o comunque di reimmetterli sul mercato. In ogni caso il riciclaggio dei rifiuti inerti è strettamente legato alla possibilità di ottenere materie prime secondarie (MPS) le cui caratteristiche fisico-chimiche e di omogeneità ne consentano il riutilizzo nell'attività costruttiva.
Va detto inoltre che, per usi qualificati, le MPS in uscita dagli impianti di trattamento devono essere sistematicamente testate in conformità agli standard fisico-meccanici previsti dalle norme, e che il valore economico del materiale riciclato aumenta con la qualità del prodotto stesso. Si vede quindi che è necessario trovare un ragionevole compromesso tra il grado di trattamento e l'efficienza di eliminazione delle impurezze che si realizzano nell'impianto, ed il suo costo complessivo in termini di investimento e gestione.
Per una descrizione di dettaglio delle diverse tipologie di impianti, delle relative caratteristiche tecniche e gestionali, e delle possibilità di recupero, si rimanda a quanto riportato negli allegati 3, 4 e 5.
3.1.4.  Terre e rocce da scavo, materiali derivati da costruzioni stradali
Per quanto riguarda i materiali di risulta degli scavi si ricorda che terre e rocce da scavo destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati sono escluse - eccetto i materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti - ai sensi dell'art. 8 del decreto legislativo n. 22/97 dalla normativa di applicazione dei rifiuti. Ciò vale anche per i materiali vegetali non contaminati da inquinanti in misura superiore ai limiti stabiliti dal decreto del Ministro dell'ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, provenienti da alvei di scolo ed irrigui, utilizzabili tal quale come prodotto (cfr. paragrafo Quadro normativo).
In ogni caso le terre e rocce da scavo sono contemplate al punto 7.31 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998 per le seguenti operazioni di recupero mediante procedure semplificate:
-  industria della ceramica e dei laterizi;
-  utilizzo per recuperi ambientali di ex cave, discariche esaurite e bonifica di aree inquinate (il recupero è subordinato all'esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al decreto ministeriale 5 febbraio 1998, ad esclusione del parametro COD). Per questa attività fare riferimento alle linee-guida dell'allegato 5.
E' stata effettuata una ricognizione sul territorio regionale per individuare i fabbisogni di smaltimento/trattamento per i prossimi anni dei grandi produttori di terre e rocce da scavo (Ferrovie dello Stato, ANAS, Consorzio autostrade siciliane). Nella tabella che segue vengono indicati i lotti con le relative produzioni e le quantità di materiali di risulta espresse in metri cubi (vedi tab. 4).


Per quanto riguarda invece i materiali stradali si ricorda che esistono ormai tecniche collaudate di riciclaggio a freddo delle pavimentazioni stradali che impiegano emulsioni di bitume con caratteristiche e specifiche diverse in funzione della tipologia di intervento. Il materiali fresato può inoltre essere vantaggiosamente recuperato (con o senza l'aggiunta di rigeneranti).
Al mancato riciclaggio di tali materiali sono legati diversi elementi negativi, ed in particolare:
-  si avrà un maggiore sfruttamento delle cave per l'approvvigionamento degli inerti, con evidenti svantaggi ecologici ed eco nomici;
-  se il bitume non è in condizione di essere rigenerato le imprese dovranno acquistare nuovo bitume con conseguenti sprechi economici;
-  si avranno oneri aggiuntivi relativi allo smaltimento;
-  si avranno maggiori oneri di trasporto;
-  si determinerà un spreco di combustibili necessari alla produzione.
Al contrario il riciclaggio comporta minore inquinamento ambientale, il recupero del vecchio legante (opportunamente addizionato con specifici prodotti ed una piccola percentuale di bitume nuovo) ed un notevole risparmio sui costi per smaltimento dei rifiuti, trasporti e combustibile.
3.1.5.  I fanghi di dragaggio
I fanghi provenienti da attività di dragaggio fondali di laghi, dei canali navigabili o irrigui e corsi d'acqua (acque interne), pulizia di bacini idrici (con precisi limiti di inquinanti presenti e specifici usi), caratterizzati da codice C.E.R. "170506" (fanghi di dragaggio diversi da quelli di cui alla voce 170505*), possono essere recuperati seguendo le procedure semplificate di cui agli artt. 31 e 33 del decreto legislativo n. 22/97, per la:
-  formazione di rilevati e sottofondi stradali previa essiccamento ed eventuale igienizzazione;
-  esecuzione di terrapieni e arginature, ad esclusione delle opere a contratto diretto o indiretto con l'ambiente marino, previo essiccamento ed eventuale igienizzazione.
In ambedue i casi il recupero è subordinato all'esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo di cui all'allegato 3 al decreto ministeriale 5 febbraio 1998.
Per i fanghi provenienti da lavori di dragaggio dei fondali marini di zone portuali, invece, sono possibili invece le seguenti forme di recupero (le norme di riferimento sono riportate nel paragrafo Quadro normativo).
3.1.5.1.  Ripascimento di arenili
Alla luce della situazione attuale delle coste siciliane tale utilizzo è da ritenersi prioritario rispetto ad altre possibilità di recupero, in quanto i sedimenti in questione possono costituire una risorsa primaria nel quadro del bilancio sedimentario costiero. Con specifici decreti - che regolamentano le opere di dragaggio e di ripascimento degli arenili nell'ambito del demanio marittimo regionale - l'Assessorato regionale territorio e ambiente ha previsto infatti il reimpiego dei sedimenti in questione in progetti di ripascimento di arenili in erosione, con specifiche modalità autorizzative e previo esito positivo delle analisi sulle caratteristiche fisico-chimico-batteriologiche e granulometrico-sedimentologiche del materiale di dragaggio.
3.1.5.2.  Esecuzione di riempimenti e colmate in area portuale
I sedimenti possono costituire una risorsa da utilizzare anche per eseguire riempimenti e colmate, contemporaneamente ai dragaggi, nell'ambito delle stesse aree portuali. Nella progettazione relativa agli interventi nei porti i vari soggetti appaltanti (Comuni, Regione, Autorità portuali) dovranno pertanto privilegiare interventi che prevedano il recupero di questi materiali, al posto dei normali inerti da cava, per eseguire riempimenti, spianate o piazzali di servizio in area portuale, e la verifica nelle zone adiacenti di possibili forme di erosione da contrastare con l'utilizzo dei sedimenti per idonei ripascimenti.
3.1.5.3.  Vendita come materia prima in processi produttivi
Nel caso in cui non sia possibile l'utilizzo di cui al punto precedente, per mancanza di progetti di ripascimento, dovrà valutarsi l'opportunità di vendita del materiale in questione - come materia prima - ad aziende che usualmente acquistano sabbia marina per utilizzarla nei propri processi produttivi (tal quale o previa eventuale desalinizzazione) ed a condizione che le analisi sulle caratteristiche fisico-chimico-batteriologiche e granulometrico-sedimentologiche dei sedimenti diano esito positivo.
3.1.5.4. Utilizzo come copertura di rifiuti in discarica per rifiuti urbani
Soltanto nel caso in cui non siano possibili le forme di recupero di cui ai punti precedenti potrà prevedersi l'uso del sedimento in questione in sostituzione dell'idoneo materiale di copertura infrastrato dei rifiuti solidi urbani, così come già contemplato dall'art. 4 della legge regionale 21 aprile 1995, n. 40 ("Per lo smaltimento dei rifiuti speciali inerti, i comuni, fatta salva la loro eventuale utilizzazione come (rifiuti recuperabili), e detratta la quota utilizzabile come materiale di copertura dei rifiuti solidi urbani, provvedono attraverso la realizzazione di idonee discariche di seconda categoria tipo A".
Per tale utilizzo occorre tenere conto di taluni fattori limi tanti:
-  qualora i sedimenti siano costituiti essenzialmente da sabbia, questa potrebbe presentare caratteristiche geotecniche (angolo di attrito, permeabilità) tali da renderla inidonea come ricoprimento infrastrato;
-  nelle opere di dragaggio vengono usualmente prodotte notevoli quantità di sedimenti, mentre per il ricoprimento giornaliero dei rifiuti potrà essere utilizzato soltanto il quantitativo di materiale pari a circa il 10% del volume dei rifiuti urbani costipati. In caso di conferimento di quantitativi superiori alle necessità giornaliere, si rende quindi necessario verificare che il volume totale dei sedimenti da conferire non sia superiore a quello strettamente necessario e vi sia disponibilità di un idoneo silo di stoccaggio, nell'ambito della discarica od in arca adiacente;
-  il contenuto salino dei sedimenti potrebbe anche rendere difficoltoso il trattamento del percolato in impianti di depurazione di tipo biologico ed il contenuto di inquinanti chimico-biologici potrebbe essere tale da pregiudicarne l'uso (all'uopo, per analogia relativamente al tipo di uso, si potrà fare riferimento al test di cessione secondo il metodo di cui all'allegato 3 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998 sui rifiuti recuperabili). Pertanto, preliminarmente, occorrerà che i competenti organi tecnici e sanitari verifichino la possibilità di tale utilizzo.
Qualora non sia possibile utilizzare i sedimenti con le modalità previste ai punti precedenti dovrà ulteriormente essere valutata la possibilità di avviarli ad operazioni di recupero di rifiuti soggette al regime autorizzatorio ordinario contemplato dal decreto legislativo n. 22/97, dietro preventiva autorizzazione regionale ai sensi degli artt. 27 e 28 dello stesso decreto legislativo (per impianti da realizzare), o soltanto ai sensi dell'art. 28 (per impianti esistenti che non necessitano di varianti sostanziali).
Va ricordato infine che se i fanghi di dragaggio dei fondali marini di zone portuali non vengono recuperati possono essere scaricati nelle acque di mare: la normativa vigente consente tuttavia tale modalità di scarico, dietro autorizzazione dell'autorità competente, solo quando ne sia dimostrata l'impossibilità di deposizione o utilizzo a terra con minori rischi ambientali.
In alternativa i fanghi potranno essere avviati al trattamento e/ allo smaltimento in apposita discarica per rifiuti speciali: in questo caso preliminarmente dovranno essere effettuati opportuni campionamenti ed analisi chimico-batteriologiche per stabilire se sia possibile lo smaltimento in discarica per rifiuti inerti di seconda categoria tipo A, ovvero in discarica per rifiuti speciali di seconda categoria tipo B o C.
Lo smaltimento in discarica per urbani può essere consentito solo eccezionalmente, sia per le considerazioni già esposte in precedenza in ordine all'uso dei sedimenti marini come copertura di rifiuti in discarica per rifiuti solidi urbani, sia per i notevoli quantitativi che normalmente si producono durante le operazioni di dragaggio (cfr. paragrafo Quadro normativo).
Una stima dei quantitativi è oggi difficile da fare, dato che le operazioni di dragaggio hanno subito un rallentamento dovuto essenzialmente al nuovo regime introdotto in Italia dal decreto ministeriale 24 gennaio 1996. E' comunque possibile stimare per la Sicilia una produzione annuale di circa 200.000 m3 (circa 240.000 tonnellate/anno) di fanghi di dragaggio provenienti dalla manutenzione dei porti, sedimenti tendenzialmente di bassa qualità per la presenza di una forte componente organica, ed almeno 900.000-1.000.000 di m3 (circa 1.700.000-1.800.000 tonnellate) di fanghi di dragaggio dei fondali marini provenienti dall'esecuzione delle opere previste da nuovi progetti (comprese le opere di approfondimento e/o ampliamento dei porti esistenti) nel prossimo triennio.
3.1.6.  Considerazioni
La prima considerazione da fare è che nel prossimo futuro si porrà con sempre maggiore forza il problema dello smaltimento dei prodotti provenienti dalla demolizione delle costruzioni civili, e se gnatamente di quello concernente i calcestruzzi cementizi, dato che le quantità di calcestruzzi da demolire annualmente aumenteranno progressivamente. Si prevede infatti che entro il 2020 la frazione calcestruzzo, collocabile all'interno della categoria "materiale riciclabile", andrà aumentando fino a raggiungere i 6/7 delle macerie, e ciò in conseguenza della demolizione degli edifici realizzati sino agli anni '50-'60. E in questo senso gli interventi di recupero e ristrutturazione edilizia potrebbero a lungo termine diventare meno influenti rispetto a quanto accade oggi, dal punto di vista quantitativo, se si considera un arco temporale sufficientemente lungo.   

Va sottolineato inoltre che nell'approccio al tema del riciclaggio dei rifiuti da costruzione, demolizione e scavo sono di notevole interesse le valutazioni di tipo economico relative al processo globale. Infatti, al di là delle considerazioni di tipo ambientale e di risparmio di risorse e energia fatte ai punti precedenti, è questo uno dei casi in cui il processo di recupero dei rifiuti è in grado di autosostenersi. Ciò è possibile in quanto tutti i soggetti coinvolti hanno un vantaggio; infatti:
-  il produttore di macerie e/o di inerti, dovendo smaltire legalmente i propri rifiuti, ha a disposizione una nuova via, in genere molto più conveniente delle attuali discariche controllate;
-  il gestore dell'impianto ha a disposizione, a seconda delle condizioni del mercato, a titolo gratuito o addirittura a pagamento, del materiale che una volta trattato acquista valore commer ciale;
-  l'acquirente di inerti può avere a disposizione un materiale alternativo che, a parità di prestazioni, risulta essere più eco nomico.
Da quanto detto è facile desumere gli innumerevoli vantaggi che si possono trarre dal riciclaggio dei rifiuti da costruzione, demolizione e scavo, il più importante dei quali è sicuramente la salvaguardia dell'ambiente, dato che i sistemi di trattamento citati in precedenza non producono scorie, e risultano quindi perfettamente inseribili nei diversi contesti ambientali.
Si configura in definitiva una politica di attuazione del cosiddetto "binomio del beneficio" (risparmio di materie prime naturali e contemporanea tutela dell'ambiente, meno gravato da impianti di smaltimento).
D'altra parte le necessità di tutela dell'ambiente e le ragioni di mercato - nel caso in cui la reperibilità di inerti naturali sia scarsa e perciò se ne privilegino usi nobili - spingono inevitabilmente oggi verso una contrazione dell'attività estrattiva, in particolar modo la dove i materiali cavati siano sostituibili facendo ricorso a fonti alternative di inerti (ad esempio per rilevati e sottofondazioni).
Vale la pena di rilevare che in mancanza di dati certi, che potrebbero aversi soltanto attraverso una rete regionale di impianti e/o discariche tipo 2A ed di un valido sistema di controllo, si è ipotizzato per la Sicilia (punto 3.1.2.) un valore prudenziale di produzione di rifiuti da costruzione e demolizione di 0,4 t/ab per anno. Si è visto inoltre che potrebbe trattarsi di un dato sottostimato ed ancora molto inferiore rispetto al valore medio nazionale di 0,6 t/ab x anno, parametro condiviso da molti operatori del settore sulla base di una ormai consolidata esperienza.
Partendo da questa ipotesi di lavoro, e prendendo ad esempio la Provincia di Palermo, abbiamo visto inoltre che si avrebbe una produzione media di circa 500 mila t/anno di rifiuti da costruzione, demolizione e scavo. E ammesso che tale quantità venisse recuperata per intero si otterrebbe una produzione di inerte riciclato equivalente all'11% circa degli inerti naturali prodotti nello stesso territorio (la tabella 5 mostra infatti il numero di cave e la produzione di rifiuti inerti relativa al 1999 di ogni singola provincia siciliana; il dato è inoltre comparato con la media del periodo 1990-1999).


Si potrebbe soddisfare pertanto appena 1/3 della domanda (1,5 milioni di tonnellate/anno) di materiali inerti per usi non nobili, mentre la quota restante andrebbe comunque compensata con le tradizionali attività di cava.
A livello regionale la produzione totale annua di rifiuti inerti risulterebbe di circa 2 milioni di tonnellate, pari al 11% degli inerti di cava prodotti in tutta la Sicilia, per cui valgono le stesse considerazioni fatte per il territorio nella Provincia di Palermo. Il grafico 6 mostra l'andamento della produzione di inerti da cava per provincia sulla base dei dati sopra citati.
Considerando quindi che nel futuro è da prevedersi un maggiore rigore verso le attività che riguardano l'uso delle risorse naturali, e costi di smaltimento dei rifiuti sempre più onerosi, vale certamente la pena di considerare la possibilità di incentivare chi voglia intraprendere l'attività di "riciclatore", rendendo favorevole il quadro delle condizioni e dei costi affinché questa massa di macerie possa essere recuperata e ricondotta all'interno del circuito produttivo.



3.2.  Rifiuti da attività di estrazione e lavorazione di materiali lapidei 

L'attività estrattiva e di lavorazione dei materiali lapidei comporta la produzione di un enorme massa di scarti di diversa natura e caratteristiche. L'estrazione della pietra presenta infatti una resa in blocchi che normalmente non supera il 30-40% del materiale estratto, sicché l'accumulo degli sfridi ("ravaneti") rappre senta un problema di rilevante importanza per il cavatore, sia per la sottrazione di spazio all'attività di cava sia per problemi connessi alla stabilità e alla sicurezza dei luoghi di lavoro. Un loro eventuale recupero offrirebbe quindi sensibili vantaggi riguardo il risanamento del territorio e enormi quantità di materia prima per i frantoi.
Altro tipo di scarto di non indifferente rilevanza in termini quantitativi, visto che arriva al 5-10% del materiale lavorato, è quello prodotto dalle segherie (la cosiddetta "marmettola") a seguito del processo di lavorazione dei blocchi di materiali lapidei di pregio.
3.2.1.Gli scarti dell'attività estrattiva dei materiali lapidei di pregio ('ravaneti')
L'attività di estrazione e lavorazione delle pietre ornamentali costituisce un settore produttivo importante, che in Sicilia è concentrato sostanzialmente nei due poli di Catania (dove viene lavorata la pietra lavica) e Trapani (comparto marmifero di Custonaci) dove viene prodotto il caratteristico Perlato di Sicilia.
L'Etna costituisce una preziosissima risorsa economica anche come fonte, tra l'altro, dei prodotti delle sue eruzioni che sono utilizzabili nei settori più disparati. Fra i suoi tanti prodotti eruttivi la cosiddetta "pietra lavica" - o più correttamente "basalto etneo" - trova impiego più comune, e forse maggiore, nel campo dell'edilizia. Il suo colore nero, la sua porosità e l'eleganza che essa incarna la hanno consacrata ad elemento distintivo della scena urbana etnea. Inoltre la facile reperibilità associata al basso costo hanno fatto in modo che essa avesse una diffusione sempre crescente e quasi capillare. Esempi tipici di arredo pubblico e privato sono scalinate, motivi ornamentali (quali il caratteristico mascherone che sormonta molti portoni di palazzi) ma anche camini, piani di cottura o fioriere. Oltre agli usi puramente decorativi la pietra lavica è stata utilizzata anche per la costruzione della muratura "a secco" per recinzioni e ricoveri di campagna nonché per la produzione di oggetti comuni quali mortai, pile per il bucato, macine per mulini, sedili e tavoli da giardino.
Per quanto riguarda invece l'estrazione del marmo il comparto estrattivo costituisce una realtà importante all'interno del mondo produttivo trapanese, contando quasi 300 aziende - tra cave, segherie e laboratori - con più di 3.500 addetti (a parte l'indotto), ed una produzione che rappresenta l'85% della produzione regionale ed il 15% di quella nazionale.
I comuni interessati dall'attività estrattiva sono essenzialmente Custonaci, Valderice, S. Vito Lo Capo, Castellammare del Golfo ed Alcamo. Oltre al Perlato di Sicilia, una qualità di marmo a base calcarea per circa il 97% che annovera tra i principali pregi la quasi assenza di porosità e che costituisce il grosso della produzione, vengono estratti, ma in misura molto minore, altri marmi pregiati quali Perlatino, Botticino, Avorio Venato, Breccia, Libeccio Antico, Spuma di mare, e il Travertino Siciliano.
Poco significativa infine, è l'attività estrattiva in provincia di Palermo, concentrata sostanzialmente in due cave di calcare lucidabile, ed in Provincia di Messina, per la quale il grosso della produzione è costituito dalle cave di pomice di Lipari.
Nella tabella 5 sono riportati i dati relativi al numero di cave ed alla loro produzione, espressi in tonnellate/anno e riferiti alla produzione media del periodo che va dal 1990 al 1999. Viene inoltre riportata la produzione del 1999.
I dati, provenienti dal CO.RE.MI (Corpo regionale delle miniere), sono stati oggetto di un trattamento statistico semplificato e, dove possibile, integrati ed incrociati con altre fonti e successivamente corretti. E' ad esempio il caso della provincia di Trapani, per la quale è stato necessario integrare diverse fonti a causa della carenza di elementi significativi relativi al comparto marmifero di Custonaci (questo è il motivo per il quale per Trapani il valore medio e quello relativo al 1999 coincidono). Va segnalato inoltre che anche il dato relativo alla provincia di Catania è probabilmente sottostimato e non tiene volutamente conto delle cave di "lava per frantumazione" considerate per legge cave di materiali di pregio anche se questi materiali sono, in base all'utilizzo effettivo, assimilati agli inerti.
Il grafico 7 mostra l'andamento della produzione per provincia sulla base dei dati sopra citati. Va detto che questi fanno riferimento alla produzione globale e che i valori trovati sembrano essere, in base a studi e ricerche di settore, ancora sottostimati. Bisogna inoltre tenere presente che le produzioni individuate non tengono conto degli scarti di lavorazione, che in questo settore sono percentualmente molto rilevanti, costituiti essenzialmente da:
-  informi (blocchi scartati in fase di estrazione);
-  cocciame (sfridi ottenuti in fase di taglio e lavorazione).
Nel complesso pertanto si può stimare con un calcolo prudenziale che in Sicilia venga prodotta una quantità annua di marmi e pietre pari ad almeno 900.000-1.000.000 tonnellate, dato che si riferisce alla produzione netta di cava, cioè al netto degli scarti che in questo settore sono percentualmente molto rilevanti, ed arrivano a valori intorno al 70-75% del quantitativo estratto per i marmi di Custonaci con punte dell'80-90% per i calcari di Palermo.
E' ragionevole pertanto ipotizzare che ogni anno in Sicilia, nel settore estrattivo dei materiali di pregio, vengano prodotti annualmente ravaneti per almeno 3 milioni di tonnellate, quantità di rifiuti addirittura superiore a quella proveniente da attività di costruzione, demolizione e scavo. Bisogna considerare inoltre che il grosso della produzione regionale degli scarti (circa il 75%) è concentrato nel comparto di Custonaci e che un'aliquota - ancora difficilmente valutabile - della componente perduta come pietra da taglio viene già oggi recuperata (cfr. punto 3.3.3) per la produzione di inerti destinati all'edilizia.



3.2.2. Gli scarti della lavorazione dei materiali lapidei di pregio ('marmettola')
Oltre ai cocciami ed agli sfridi di lavorazione che residuano dalle operazioni di taglio e sagomatura delle lastre, facilmente recuperabili nel campo dell'edilizia, il secondo importante tipo di scarto proveniente dal settore è costituito dal refluo proveniente dalle operazioni di segagione e lucidatura dei blocchi: misto all'acqua utilizzata per il raffreddamento delle lame dei telai e delle mole delle lucidatrici il refluo si compone di un limo che, decantato in appositi impianti e successivamente fatto essiccare in letti o mediante specifici filtri-pressa, viene reso palabile ("fango di segagione" o "marmettola").
In relazione ad una storica non gestione degli sfridi, tendenza che si è modificata solo in tempi recenti, risulta difficile quantificare il flusso di materiali di scarto oggi prodotti se non sulla base di dati relativi alla produttività delle macchine. La marmettola viene prodotta in misura di circa il 5-10% del materiale lavorato, ed è ad esempio il vero problema delle segherie nell'area di Custonaci. E' ipoteticamente utilizzabile in molti modi diversi, in quanto è composto per il 95% da carbonato di calcio, ma a causa dello scarso valore economico è in realtà di difficile riutilizzazione.
In base alle ultime stime condotte dall'Associazione degli industriali la produzione di "fango di segagione" nell'area di Custonaci sarebbe oggi di circa 600 m3 giornalieri, corrispondenti grosso modo a 120.000 m3 annui (circa 200.000 tonnellate/anno). Esistono inoltre rilevanti quantitativi (almeno 300.000-400.000 tonnellate) di fanghi residui, temporaneamente stoccati presso le aziende di lavorazione a causa della carenza di impianti di smaltimento e/o di recupero, per i quali è indispensabile individuare con urgenza una idonea destinazione finale.
3.2.3.  Possibili utilizzazioni dei ravaneti e della marmettola
3.2.3.1.  I ravaneti
Lo scarto di cava, poiché mantiene intatte le caratteristiche della pietra da cui deriva, può essere facilmente utilizzato per la produzione degli inerti. Il conferimento ai frantoi pertanto, in alternativa all'estrazione della risorsa primaria, appare come la soluzione più razionale e funzionale di riutilizzo.
Questa forma di recupero è del resto già stata avviata, come si è visto in precedenza, con i rifiuti da costruzione, demolizione e scavo, e i dati mostrano che un analogo processo sembra oggi essere iniziato anche per quanto riguarda l'attività estrattiva dei materiali lapidei. La tabella che segue mostra infatti la produzione provinciale pro-capite di materiali lapidei di pregio e di inerti di cava calcolata per il 1999 ed espressa in tonnellate.
Spicca nella tabella 7 il dato della provincia di Trapani - che costituisce una evidente anomalia rispetto al resto del territorio regionale - per la quale, a fronte di una elevatissima produzione di lapidei di pregio, si ha la più bassa produzione di inerti da cava della intera regione.
Va detto che i dati della tabella non sono di semplice lettura, dato che il parametro rappresentato viene influenzato da una serie di elementi che incidono sulla sua reale significatività.
Sarebbe quindi problematico fare un discorso di tipo rigorosamente scientifico e strettamente quantitativo, mentre sembra sicuramente ragionevole un approccio di tipo qualitativo.
Sintomatica è, in questo senso, la situazione di province che si trovano in condizioni opposte: a Trapani, dove esiste una produzione elevata di materiali lapidei di pregio, si assiste infatti ad una drastica riduzione nella produzione di inerti da cava, produzione che invece cresce in maniera significativa a Siracusa o Agrigento, dove non esiste un comparto estrattivo di lapidei di pregio.
Dal grafico 8 collegato si vede infatti immediatamente che in molte aree il rapporto fra la produzione di lapidei di pregio e inerti da cava tende ad essere inversamente proporzionale, segnale inequivocabile del fatto che parte della domanda di inerti viene soddisfatta già adesso con modalità differenti rispetto alla tradizionale attività estrattiva (nel grafico manca il valore dei lapidei di pregio di Trapani, che avrebbe impostato la scala su valori tali da impedire di apprezzare le tendenze per le altre province). Questo dato, del resto, è stato verificato con informazioni acquisite in loco presso gli operatori del settore.


Gli elementi sopra citati confermano quindi, nel loro insieme, che esistono le premesse affinché il circuito "virtuoso" in precedenza citato possa essere fortemente potenziato, incrementando in modo significativo la quota di materia prima che può essere sostituita da materiale riciclato proveniente dagli scarti di cava. E' necessario pertanto incentivare preferenzialmente questa modalità di recupero - che consente il contemporaneo risparmio di preziose risorse minerarie - anche mediante l'attivazione di impianti mobili che, agendo direttamente presso le cave e sui luoghi di deposito dei ravaneti, eseguano la prima frantumazione volta a facilitare il caricamento ed il successivo trasporto del materiale agli impianti fissi.
Premesso quanto sopra si ricorda comunque che, in linea di massima, per i ravaneti sono possibili tutte le forme di recupero previste dal decreto ministeriale 5 febbraio 1998 per questa tipologia di rifiuti (vedi allegato 3), ed in particolare:
-  cementifici;
-  utilizzo del granulato per produzione di conglomerati cementizi e bituminosi;
-  utilizzo per isolamenti e impermeabilizzazioni e ardesia espansa;
-  ove necessario frantumazione, macinazione, vagliatura, eventuale omogeneizzazione e integrazione con materia prima inerte, anche nell'industria lapidea;
-  utilizzo per recuperi ambientali (il recupero è subordinato all'esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al decreto ministeriale 5 febbraio 1998);
-  utilizzo per realizzazione di rilevati e sottofondi stradali e ferroviari e aeroportuali, piazzali industriali previo eventuale trattamento di cui al punto d) (il recupero è subordinato all'esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al decreto ministeriale 5 febbraio 1998).
3.2.3.2.  La marmettola
Per quanto riguarda i fanghi provenienti dalla segagione dei materiali lapidei sono stati svolti, dalla Facoltà di architettura del Politecnico di Torino, interessanti studi di settore per l'analisi della possibilità del loro riciclo, cioè del loro reinserimento nel ciclo produttivo dei materiali per l'edilizia in qualità di "materie prime seconde". In particolare sono stati individuati alcuni specifici settori produttivi all'interno dei quali la "marmettola" può essere convenientemente riciclata.
-  Industria dei laterizi - L'impasto ottenuto con l'impiego di marmettola e argilla è stato pressato in stampi, lasciato essiccare e cotto in fornace. I risultati si sono dimostrati sorprendenti in quanto si è constatato che opportune percentuali di marmettola nel l'argilla, contribuiscono all'ottenimento di laterizi dotati di maggior resistenza a flessione. Inoltre si è verificato che le caratteristiche di umidità e finezza dei fanghi si prestano a tale miscelazione evitando così costi aggiuntivi dovuti a trattamenti supplementari.
-  Blocchi per muratura - Utilizzando fanghi di granito, ceneri volanti e calce viva in polvere, si è realizzato un materiale in cui sono ipotizzabili sinergie tra tali scarti industriali e si è ottenuto un legante a scarse prestazioni paragonabile alla calce. I test svolti sui provini hanno permesso di stabilire le proprietà idrauliche del l'impasto, nonché la singolare proprietà di acquisire maggior resistenza durante la maturazione in acqua. Si sono così determinati valori di resistenza a compressione superiori a quelli di calci idrauliche ed eminentemente idrauliche. Anche in questo caso la marmettola di granito è stata utilizzata tal quale introducendola nell'impasto con una dosatura molto superiore a quella degli altri due componenti. L'ipotesi di riutilizzo può riguardare la realizzazione di blocchi per muratura, oggetti di arredo urbano o dissuasori stradali, caratterizzati dal costo estremamente ridotto dei materiali impiegati.
-  Malta per intonaco - Un altro esperimento è stato svolto utilizzando lo stesso impasto per intonacare le superfici murarie di ambienti molto umidi con una miscela contenente marmettola di granito, calce viva e cenere volante. I risultati sono sembrati interessanti: tra l'altro l'estrema finezza dei componenti ha permesso di realizzare superfici molto lisce e regolari.
Bisogna inoltre ricordare che anche per i fanghi di segagione - sia di natura calcarea sia di natura silicea - esistono oggi molteplici possibilità di recupero ai sensi del decreto ministeriale 5 febbraio 1998.
I fanghi provenienti da lavorazione dei materiali lapidei di na tura calcarea contenenti più dell'85% di carbonato di calcio sul secco possono infatti, previo eventuale trattamento (disidratazione, essiccamento, vagliatura, frantumazione, micronizzazione), essere utilizzati per le seguenti operazioni di recupero:
-  produzione conglomerati cementizi;
-  cementifici;
-  industria cartaria;
-  produzione idropitture;
-  realizzazione di rilevati e sottofondi stradali (il recupero è subordinato all'esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al decreto ministeriale 5 febbraio 1998);
-  attività di recuperi ambientali (il recupero è subordinato all'esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al decreto ministeriale 5 febbraio 1998);
-  neutralizzazione di rifiuti acidi;
-  utilizzo come reagente per la desolforazione fumi di combustione;
-  utilizzo per copertura di discariche per rifiuti solidi urbani; la percentuale di rifiuto utilizzabile in miscela con la materia prima non dovrà essere superiore al 30% in peso (il recupero è subordinato all'esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al decreto ministeriale 5 febbraio 1998).
In particolare, per quanto riguarda le attività di recupero am bientale disciplinate dall'art. 5 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998, recenti analisi sull'eluato del refluo eseguite da laboratori di analisi specializzati su fanghi di segagione provenienti dall'area di Custonaci hanno accertato che la loro composizione chimico-fisica sarebbe conforme ai requisiti prescritti dal test di cessione di cui all'allegato 3 del decreto legislativo 5 febbraio 1998. Se questo venisse confermato i fanghi in questione potrebbero essere dichiarati idonei ad essere utilizzati per interventi di ripristino ambientale.
Anche i fanghi di segagione provenienti dalla lavorazione di materiali lapidei di natura silicea possono, se sono filtropressati, palabili e con oltre il 50% di silicati, e previo eventuale trattamento (disidratazione, essiccazione, vagliatura, micronizzazione, compattazione, deferrizzazione), essere utilizzati per diverse operazioni di recupero, ed in particolare:
-  cementifici;
-  produzione di conglomerati cementizi;
-  industria dei laterizi in aggiunta all'impasto, con impiego limitato al 5% sul secco;
-  industria della ceramica;
-  realizzazione di rilevati e sottofondi stradali (il recupero è subordinato all'esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al decreto ministeriale 5 febbraio 1998);
-  utilizzo per recuperi ambientali (il recupero è subordinato all'esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al decreto ministeriale 5 febbraio 1998) ;
-  utilizzo per copertura di discariche per rifiuti solidi urbani; la percentuale di rifiuto utilizzabile in miscela con la materia prima non dovrà essere superiore al 30% in peso (il recupero è subordinato all'esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al decreto ministeriale 5 febbraio 1998).
Si ricorda infine che anche le "marmoresine" provenienti dalla lavorazione degli agglomerati e di altri materiali lapidei trattati possono, se costituite da fanghi e rottami lapidei a base di CaCO3 con presenza di stirene inferiore a 500 ppm sul secco, essere utilizzate dai cementifici e nella formazione di rilevati e sottofondi stradali seguendo le procedure semplificate previste dal decreto legislativo n. 22/97. Anche in questo caso il recupero è subordinato all'esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al decreto ministeriale 5 febbraio 1998.
4.  IL RECUPERO AMBIENTALE DELLE AREE DEGRADATE
Fino al 1977 l'attività estrattiva a livello nazionale era regolamentata da un regio decreto del 1927 (la cosiddetta "legge mineraria") che lasciava al proprietario del terreno il controllo sulle attività estrattive, senza alcuna restrizione eccetto l'obbligo di una semplice domanda al comune di competenza. E questa libertà di utilizzo indiscriminato delle risorse lapidee ha finito, nel tempo, con l'arrecare danni spesso irreversibili al territorio. Successivamente una legge regionale - la n. 127 del 1980 -ha imposto l'obbligo, per chi coltiva una cava, di provvedere al recupero dell'area al termine dello sfruttamento, ma nulla è stato tuttavia previsto per le cave abbandonate prima dell'entrata in vigore della legge.
La tabella 8 riporta il numero di quelle ufficialmente dismesse, disaggregando il dato per provincia, in base a quanto risulta al Corpo regionale delle miniere. Va detto tuttavia che, se si vuole tenere conto dell'attività abusiva e delle aree di cava molto vecchie, e quindi non censite, si può arrivare ad un numero molto superiore a quello ufficiale.

A livello nazionale esistono molti esempi di vecchie cave abbandonate, successivamente recuperate restituendole alla loro funzione originaria. Altrettanto però non si può dire per la nostra regione, nell'ambito della quale gli interventi di recupero sono stati una minoranza, e si sono limitati quasi sempre ad una modesta attenuazione dell'impatto visivo.


Pertanto ci si deve confrontare oggi con il duplice problema rappresentato dall'accumulo e dall'abbandono degli scarti del comparto lapideo e dalle ferite lasciate da una attività estrattiva che, in passato, ha assunto a tratti le caratteristiche di un'aggressione violenta ed incontrollata al territorio (nel grafico 9 il dato relativo al numero di cave dismesse sul territorio regionale è stato disaggregato in funzione della tipologia del materiale cavato).
Una soluzione facilmente perseguibile, che tiene conto della necessità di fare coesistere la corretta utilizzazione della risorsa mineraria con la tutela dell'ambiente e la fruizione ottimale di tutte le potenziali risorse presenti sul territorio (rifiuti recuperabili), è rappresentata dalle procedure di recupero ambientale previste dal l'art. 5 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998 (cfr. il paragrafo "Quadro normativo"), che consistono nella restituzione di aree degradate ad usi produttivi o sociali attraverso i cosiddetti "rimodel lamenti morfologici". Incentivando il ricorso a tali procedure è possibile infatti coniugare l'esigenza di riciclare gli scarti del comparto lapideo con la necessità di attuare, per quanto possibile, il recupero di aree degradate a causa del massiccio ricorso all'attività estrattiva.
Per tale tipo di recupero si prestano bene le cave a "mezza costa" e quelle a "fossa", per la facilità di eseguire riporti e modellamenti della morfologia. Più complicato risulta invece il recupero, con questa modalità, delle cave con pareti quasi verticali.
Nell'allegato 5 sono riportate le linee-guida per effettuare le attività di recupero ambientale previste dall'art. 5 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998.
5.  GLI OBIETTIVI E GLI STRUMENTI ATTUATIVI 
5.1.  Gli obiettivi 

Gli obiettivi che si intende raggiungere sono:
-  incentivare le iniziative volte alla riduzione dei rifiuti anche attraverso la promozione di sistemi di raccolta differenziata;
-  incentivare tutte le forme di recupero (prioritariamente autorecupero rispetto al recupero in altri impianti produttivi);
-  incentivare l'utilizzo di materiali riciclati, indicando modalità e processi di riduzione alla fonte della produzione dei rifiuti;
-  garantire che l'utilizzazione degli aggregati riciclati non sia discriminata in modo ingiustificato rispetto agli inerti naturali;
-  garantire che le operazioni di demolizione siano pianificate e definite precedentemente attraverso un piano di demolizione; incentivare la demolizione selettiva;
-  sviluppare azioni di recupero/riutilizzo all'interno dei cicli di produzione anche attraverso incentivi all'innovazione tecnologica; promuovere la realizzazione di impianti ad alta tecnologia finalizzati a garantire destinazioni finali certe ed economicamente convenienti per la gestione dei rifiuti inerti sul territorio siciliano;
-  incentivare la ricerca e lo sviluppo di forme alternative di gestione dei rifiuti favorendo l'attivazione di accordi volontari tra gli operatori del settore e le istituzioni competenti;
-  assicurare una distribuzione adeguata sul territorio degli impianti di gestione dei rifiuti - attraverso l'adeguamento della rete esistente - volta a minimizzare il trasporto dei rifiuti; offrire servizi economicamente vantaggiosi all'apparato produttivo della regione e migliorare la gestione degli impianti;
-  favorire il recupero di aree degradate;
-  contribuire a ridurre lo sfruttamento delle risorse naturali;
-  prevenire lo smaltimento illegale dei rifiuti inerti;
-  favorire forme di adesione a sistemi di gestione ambientale (anche limitatamente alla problematica rifiuti) in sintonia con il regolamento EMAS o, in alternativa, con le norme ISO 14001 o altri sistemi di gestione che le aziende volessero prendere a riferimento, tesi a ridurre la produzione dei rifiuti alla fonte, razionalizzare la raccolta, implementare le fasi di raccolta differenziata e attivare fasi di formazione del personale con lo scopo di raggiungere gli obiettivi fissati nella politica ambientale da parte della direzione;
-  promuovere lo sviluppo di sistemi che garantiscano una corretta gestione dei dati sulla produzione e gestione dei rifiuti, e che garantiscano una generale diffusione dell'informazione ambientale al pubblico ed alle diverse organizzazioni e strutture che operano sul tessuto sociale.
5.2.  Gli impianti esistenti 

Gli impianti che gestiscono rifiuti inerti possono essere suddivisi nelle seguenti tipologie:
-  stazioni di trasferenza;
-  impianti (fissi e mobili) di recupero (frantumazione, cernita, miscelazione);
-  impianti di recupero ambientale di aree degradate attraverso rimodellamenti morfologici;
-  discariche per rifiuti speciali inerti.
In tutta la regione risultano oggi operative 15 discariche per rifiuti inerti non pericolosi (due sono esaurite e 9 sono ancora in fase istruttoria), di cui 6 attivate con le procedure previste dal l'art. 13 del decreto legislativo n. 22/97 e 9 attivate ai sensi degli artt. 27 e 28 del decreto legislativo n. 22/97. In totale risulta che per tutta la regione si dispone di discariche per inerti non pericolosi per un volumetria complessiva di 12.000.000 m3 e di una capacità residua complessiva di circa 10.000.000 m3.
Gli impianti di frantumazione e recupero di inerti attivati nella regione con le procedure semplificate, ai sensi degli artt. 31 e 33 del decreto legislativo n. 22/97, sono 38 ed in totale riescono a trattare annualmente circa 10.500 m3 di inerti.
Il grafico 10 mostra la ripartizione per provincia di tali impianti, ed evidenzia come la gran parte sia concentrata sostanzialmente nella provincia di Palermo.

Esistono infine due impianti di trattamento per rifiuti inerti già finanziati dalla struttura commissariale nei siti delle discariche rifiuti solidi urbani di Gela (c.da Timpazzo) e Palermo (Bellolampo), due stazioni di trasferenza attivate con le procedure semplificate e localizzate nei comuni di Valdina (ME) e Messina, ed un impianto per il recupero ambientale di una ex cava dismessa nell'area di Custonaci (TP).
L'elenco e la dislocazione sul territorio regionale di stazioni di trasferenza, impianti di recupero e discariche per rifiuti inerti sono riportati nella tabella 10 e nel grafico 11. L'elenco è provvisorio e sarà continuamente aggiornato e/o integrato in funzione degli elementi forniti in merito dalle province.

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5.3.  Gli strumenti attuativi 

Visto che gli impianti oggi esistenti non sono assolutamente in grado di assicurare il raggiungimento degli obiettivi individuati al punto 5.1 è necessario intervenire con tutti gli strumenti - normativi, economici e tecnici - disponibili per consentire un corretto smaltimento dei rifiuti di amianto e per creare condizioni favorevoli al recupero e riciclaggio dei rifiuti inerti.
Sono comunque fatte salve tutte le prescrizioni tecniche derivanti dalle norme nazionali ed europee vigenti o che dovessero intervenire per disciplinare la materia.
Gli strumenti di attuazione sono individuati nei piani attuativi di ambito territoriale per la gestione dei rifiuti inerti che saranno predisposti, entro 60 giorni dalla data di pubblicazione del presente decreto, dalle Province regionali di concerto con la struttura commissariale, che a tal fine attiverà delle specifiche unità territoriali di coordinamento. I piani attuativi saranno successivamente resi omogenei ed approvati dal vice commissario.
Preliminarmente alla predisposizione dei piani attuativi le Province indiranno delle apposite conferenze di servizi per l'avvio di una specifica fase di concertazione con gli enti locali.
Decorso infruttuosamente il termine di 60 giorni sopra citato il vice commissario provvederà direttamente alla predisposizione dei piani attuativi mancanti con la propria struttura tecnica.
5.3.1.Il piano attuativo di ambito territoriale per la gestione dei rifiuti inerti
Il piano di ambito territoriale dovrà individuare - in base ai criteri specifici riportati nell'allegato 6 - le zone non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti inerti, ed i luoghi o gli impianti adatti al loro smaltimento. Dovrà anche essere verificata la possibilità di localizzare impianti di gestione per rifiuti inerti nelle aree destinate ad insediamenti produttivi.
Sulla base degli elementi di cui sopra ed in base ai criteri riportati nell'allegato 7, il piano di ambito territoriale dovrà prevedere un programma per l'attivazione di una rete adeguata di impianti di gestione dei rifiuti inerti.
Il piano dovrà inoltre prevedere l'attivazione - secondo i criteri riportati nell'allegato 5 - di uno o più programmi per il recupero ambientale di aree degradate (comprese le cave dismesse) e la loro restituzione ad usi produttivi o sociali attraverso il rimodellamento morfologico. Ciò al fine di incentivare e disciplinare il ricorso alle procedure semplificate di cui all'art. 5 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998.
Dovranno inoltre essere previsti per ogni ambito territoriale (o "distretto") uno o più programmi specifici per il monitoraggio ed il recupero di aree degradate a causa della presenza di discariche abusive di rifiuti inerti.
5.3.2.  Gli altri strumenti di attuazione
Potranno inoltre essere adottate iniziative finalizzate a:
-  promuovere ed incentivare la demolizione selettiva ed il recupero dei rifiuti inerti nello stesso luogo di produzione;
-  disincentivare lo smaltimento indifferenziato;
-  incentivare meccanismi di partecipazione scolastica e di informazione nelle scuole, anche con la eventuale previsione di borse di studio per universitari con tesi sul recupero e riciclaggio dei rifiuti inerti.
Per tutta la durata dell'emergenza gli Osservatori provinciali sui rifiuti (O.P.R.) previsti dalla legge n. 93 del 23 marzo 2001 dovranno acquisire i dati relativi alla gestione dei rifiuti inerti e di amianto e trasmetterli, con cadenza trimestrale ed a partire dal l'1 gennaio 2002, alla struttura del commissario delegato per l'emergenza rifiuti ed all'Osservatorio regionale sui rifiuti istituito con ordinanza commissariale n. 480 del 21 giugno 2001.
Allegato 1
ATTIVITA' ECONOMICHE CHE GENERANO RIFIUTI INERTI

Per determinare, da una parte, la quantità di materiale di risulta inerte prodotto e per definire, e dall'altra le relative caratteristiche specifiche si ritiene indispensabile individuare le attività economiche responsabili della produzione di tale materiale.
Secondo la classificazione ISTAT-ATECO '91 si individuano, tra le attività estrattive che generano rifiuti inerti, quelle di cui all'elenco sottostante.

14.1  Estrazione di pietra 
14.1.1  Estrazione di pietre per l'edilizia 
14.1.1.1  Estrazione di pietre ornamentali 
14.1.1.2  Estrazione di altre pietre da costruzione 
14.1.2  Estrazione di pietre per calce, pietra da gesso e creta 
14.1.2.1  Estrazione di pietra da gesso e anidrite 
14.1.2.2  Estrazione di pietra per calce e cementi e di dolomite 
14.1.3  Estrazione di ardesia 
14.2  Estrazione di ghiaia, sabbia e argilla 
14.2.1  Estrazione di ghiaia e sabbia 
14.2.2  Estrazione di argilla e caolino 
14.3  Estrazione di minerali per le industrie chimiche e la fabbricazione di concimi 
14.3.1  Estrazione di sali di potassio 
14.3.2  Estrazione di baritina, fluorite, acido borico, terre coloranti e altri minerali per le industrie chimiche 
14.4  Produzione di sale 
14.5  Estrazione di altri minerali e prodotti di cava n.c.a. 
14.5.1  Estrazione di pietra pomice e altri materiali abrasivi 
14.5.2  Estrazione di asfalto e bitume naturali 
14.5.3  Estrazione di altri minerali e prodotti di cava (quarzo, quarzite, sabbie silicee, ecc.). 


Materiale di risulta inerte può essere prodotto anche dalle seguenti altre attività:
26.2  Fabbricazione di prodotti in ceramica non refrattari, non destinati all'edilizia; fabbricazione di prodotti ceramici refrattari 
26.2.1   Fabbricazione di prodotti in ceramica per usi domestici ornamentali 
26.2.2   Fabbricazione di articoli sanitari in ceramica 
26.2.3   Fabbricazione di isolatori e di pezzi isolanti in ceramica 
26.2.4   Fabbricazione di altri prodotti ceramici per uso tecnico industriale 
26.2.5  Fabbricazione di altri prodotti in ceramica 
26.2.6  Fabbricazione di prodotti ceramici refrattari 
26.3  Fabbricazione di piastrelle e lastre in ceramica per pavimenti e rivestimenti 
26.4  Fabbricazione di mattoni, tegole ed altri prodotti dell'edilizia in terracotta 
26.5  Produzione di cemento, calce e gesso 
26.5.1  Produzione di cemento 
26.5.2  Produzione di calce 
26.5.3  Produzione di gesso 
26.6  Fabbricazione di prodotti in calcestruzzo, cemento e gesso 
26.6.1  Fabbricazione di prodotti in calcestruzzo per l'edilizia 
26.6.2  Fabbricazione di prodotti in gesso per l'edilizia 
26.6.3  Fabbricazione di calcestruzzo pronto per l'uso 
26.6.4  Produzione di malta 
26.6.5   Fabbricazione di prodotti in fibrocemento 
26.6.6   Fabbricazione di altri prodotti in calcestruzzo, gesso e cemento 
26.7  Taglio, modellatura e finitura della pietra 
26.7.1  Segagione e lavorazione delle pietre e del marmo 
26.7.2  Lavorazione artistica del marmo e di altre pietre, lavori in mosaico ed affini 
26.7.3  Frantumazione di pietre e minerali vari fuori della cava 
26.8  Fabbricazione di altri prodotti in minerali vari fuori della cava 
26.8.1  Fabbricazione di prodotti abrasivi 
26.8.2  Fabbricazione di altri prodotti in minerali non metalliferi n.c.a. 


Nell'ambito infine delle costruzioni, sempre secondo la classificazione dell'ISTAT, possono essere generati rifiuti inerti nell'esecuzione delle opere di cui all'elenco seguente.

45.1  Preparazione del cantiere edile 
45.1.1   Demolizione di edifici e sistemazione del terreno 
45.1.2   Trivellazioni e perforazioni 
45.2  Costruzione completa o parziale di edifici; genio civile 
45.2.1  Lavori generali di costruzione di edifici e lavori in ingegneria civile 
45.2.2  Posa in opera di coperture e costruzione di ossature di tetti di edifici 
45.2.3  Costruzione di autostrade, strade, campi di aviazione e impianti sportivi 
45.2.4  Costruzione di opere idrauliche 
45.2.5  Altri lavori speciali di costruzione 
45.3  Installazione dei servizi in un fabbricato 
45.3.1  Installazione di impianti elettrici 
45.3.2  Lavori di isolamento 
45.3.3  Installazione di impianti idraulico-sanitari 
45.3.4  Altri lavori di installazione 
45.4  Lavori di completamento degli edifici 
45.4.1  Intonacatura 
45.4.2  Posa in opera di infissi in legno e metallo 
45.4.3  Rivestimento di pavimenti e di muri 
45.4.4  Tinteggiatura e posa in opera di vetrate 
45.4.5  Altri lavori di completamento degli edifici 
45.4.5.1  Attività non specializzate di lavori edili 
45.4.5.2  Altri lavori di completamente degli edifici 
45.5  Noleggio di macchine e attrezzature per la costruzione o la demolizione, con manovratore 


Allegato 2
CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI INERTI

Secondo il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (e successive modifiche ed integrazioni) i rifiuti inerti sono considerati speciali in quanto provenienti dalle attività di demolizione, costruzione, così come speciali sono i rifiuti pericolosi che derivano dalle attività di scavo, come riportato al comma 3 dell'art. 7, punto b).
Nello stesso decreto legislativo n. 22/97 vengono invece esclusi dal campo di applicazione le seguenti tipologie di materiale di risulta inerte:
-  i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave (finché sono vigenti le concessioni per le miniere e le autorizzazioni per le cave);
-  i materiali vegetali non contaminati da inquinanti in misura superiore ai limiti stabiliti dal decreto del Ministro dell'ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, provenienti da alvei di scolo ed irrigui, utilizzabili tal quale come prodotto;
-  le terre e le rocce da scavo destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti.
Si riporta di seguito la definizione di rifiuti inerti secondo la direttiva 1999/31/CE del 26 aprile 1999 relativa alle discariche di rifiuti.
"Rifiuti inerti: i rifiuti che non subiscono alcuna trasformazione fisica, chimica o biologica significativa. I rifiuti inerti non si dissolvono, non bruciano né sono soggetti ad altre reazioni fisiche o chimiche, non sono biodegradabili e, in caso di contatto con altre materie, non comportano effetti nocivi tali da provocare inquinamento ambientale o danno alla salute umana. La tendenza a dar luogo a colaticci e la percentuale inquinante globale dei rifiuti nonché l'ecotossicità dei colaticci devono essere trascurabili e, in particolare, non danneggiare la qualità delle acque superficiali e/o freatiche".
Nel Catalogo europeo dei rifiuti (CER) è presente inoltre una classificazione dei rifiuti in cui vengono individuate varie tipologie di rifiuti inerti, generati nelle diverse attività produttive. A titolo di esempio sono riportate di seguito le tipologie più comuni. I codici CER sono quelli attualmente in vigore dall'1 gennaio 2002 ai sensi delle ultime decisioni della Comunità europea:
-  decisione della Commissione 3 maggio 2000 (2000/532/CE);
-  decisione della Commissione 16 gennaio 2001 (2001/ 118/CE);
-  decisione della Commissione del 22 gennaio 2001 (2001/ 119/CE);
- decisione del Consiglio del 23 luglio 2001 (2001/573/CE).
Rifiuti prodotti da trattamenti chimici e fisici di minerali non metalliferi



Codice CER   Tipologia di rifiuto| 
010408  Scarti di ghiaia e pietrisco, diversi da quelli di cui alla voce 010407 
010409  Scarti di sabbia e argilla 
010410  Polveri e residui affini, diversi da quelli di cui alla voce 010407 
010411  Rifiuti della lavorazione di potassa e salgemma, diversi da quelli di cui alla voce 010407 
010412  Sterili ed altri residui del lavaggio e della pulitura di minerali, diversi da quelli di cui alle voci 010407 e 010411 
010413  Rifiuti prodotti dalla lavorazione della pietra, diversi da quelli di cui alla voce 010407 


Rifiuti prodotti dalla raffinazione dello zucchero


Codice CER   Tipologia di rifiuto| 
020401  Terriccio residuo dalle operazioni di pulizia e lavaggio delle barbabietole 
020402  Carbonato di calcio fuori specifica 


Rifiuti della fabbricazione di prodotti di ceramica, mattoni, mattonelle e materiali da costruzione


Codice CER   Tipologia di rifiuto| 
101201  Scarti di mescole non sottoposte a trattamento termico 
101203  Polveri e particolato 
161106  Rivestimenti e materiali refrattari provenienti da lavorazioni non metallurgiche, diversi da quelli di cui alla voce 161105 
101208  Scarti di ceramica, mattoni, mattonelle e materiali da costruzione (sottoposti a trattamento termico) 


Rifiuti della fabbricazione di cemento, calce e gesso e manufatti di tali materiali


Codice CER   Tipologia di rifiuto| 
101301  Scarti di mescole non sottoposte a trattamento termico 
101304  Rifiuti di calcinazione e di idratazione della calce 
101311  Rifiuti della produzione di materiali compositi a base di cemento, diversi da quelli di cui alle voci 101309 e 101310 


Cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche


Codice CER   Tipologia di rifiuto| 
170101  Cemento  
170102  Mattoni 
170103  Mattonelle e ceramica 


Miscele bituminose, catrame di carbone prodotti contenenti catrame


Codice CER   Tipologia di rifiuto| 
170302  Miscele bituminose diverse da quelle di cui alla voce 170301 


Terra rocce e fanghi di dragaggio


Codice CER   Tipologia di rifiuto| 
170504  Terra e rocce, diverse da quelle di cui alla voce 170503 
170508  Pietrisco per massicciate ferroviarie, diverso da quello di cui alla voce 170507 


Materiali da costruzione a base di gesso


Codice CER   Tipologia di rifiuto| 
170802  Materiali da costruzione a base di gesso diversi da quelli di cui alla voce 170801 


Rifiuti solidi urbani e assimilati


Codice CER   Tipologia di rifiuto| 
200202  Terreno e rocce 



Allegato 3
I RIFIUTI INERTI E IL D.M. 5 FEBBRAIO 1998

Con il decreto ministeriale del 5 febbraio 1998, riguardante il recupero dei rifiuti inerti e recante la "Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22", da una parte sono state evidenziate trentuno tipologie di rifiuti inerti e ceramici originate da diversi processi produttivi, dall'altra sono state fornite prescrizioni tecniche relativamente al loro recupero.
Si schematizzano di seguito le diverse tipologie di rifiuti inerti previste dal decreto e le corrispondenti possibilità di riutilizzo.
Rifiuti inerti riutilizzabili seguendo le procedure semplificate del decreto ministeriale 5 febbraio 1998


Codice CER   Tipologia di rifiuto| 
7.1  Rifiuti costituiti da laterizi, intonaci e conglomerati di cemento armato e non, comprese le traverse e traversoni ferroviari e i pali in calcestruzzo armato provenienti da linee ferroviarie, telematiche ed elettriche e frammenti di rivestimenti stradali, purché privi di amianto 
7.2  Rifiuti di rocce da cave autorizzate 
7.3  Sfridi e scarti di prodotti ceramici crudi, smaltati e cotti 
7.4  Sfridi di laterizio cotto ed argilla espansa 
7.5  Sabbie esauste 
7.6  Conglomerato bituminoso, frammenti di piattelli per tiro al volo 
7.7  Rifiuti costituiti da carbonati ed idrato di calcio, silici colloidali 
7.8  Rifiuti di refrattari, rifiuti di refrattari da forni per processi ad alta temperatura 
7.9  Scarti di refrattari a base di carburo di silicio 
7.10  Sabbie abrasive di scarto e granulati, rottami e scarti di mole abrasive 
7.11  Pietrisco tolto d'opera 
7.12  Calchi in gesso esausti 
7.13  Sfridi di produzione di pannelli di gesso e demolizione edifici 
7.14  Detriti di perforazione 
7.15  Fanghi di perforazione 
7.16  Calci di defecazione 
7.17  Rifiuti costituiti da pietrisco di vagliatura del calcare 
7.18  Scarti di vagliatura del latte di calce 
7.19  Inerti da tinkal 
7.20  Rifiuti e rottami di cermets 
7.21  Pomice esausta 
7.22  Rifiuti di abbattimento fumi di industrie siderurgiche (silica fumes) 
7.23  Conchiglie 
7.24  Scorie vetrose da gassificazione del carbone 
7.25  Terre e sabbie esauste di fonderia di seconda fusione di metalli ferrosi 
7.26  Rottami di quarzo puro 
7.27  Materiali fini da aspirazione polveri di fonderia di ghisa e da rigenerazione di sabbia 
7.28  Supporti inerti di catalizzatori 
7.29  Rifiuti di lana di vetro e lana di roccia 
7.30  Sabbia e conchiglie che residuano dalla vagliatura dei rifiuti provenienti dalla pulizia degli arenili 
7.31  Terre da coltivo, derivanti da pulizia di materiali vegetali eduli e dalla battitura della lana sucida; terre e rocce di scavo 


Possibilità di riutilizzo dei rifiuti inerti e ceramici secondo il decreto ministeriale 5 febbraio 1998


Codice CER   Tipologia di rifiuto| 
7.1  Messa in riserva per la produzione di materie prime secondarie per l'edilizia, mediante fasi meccaniche e tecnologicamente interconnesse di macinazione, vagliatura, selezione granulometrica e separazione della frazione metallica e delle frazioni inerti di natura lapidea a granulometria idonea e selezionata, aventi caratteristiche conformi alle norme CNR-UNI 10006 e con l'effettuazione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo riportato nell'allegato 3 al decreto in esame 
7.2, 7.5, 7.6, 7.10, 7.11, 7.16, 7.17, 7.18, 7.24, 7.25  Realizzazione di rilevati e sottofondi ferroviari e aeroportuali e piazzali industriali; tale possibilità di riutilizzo è subordinato all'esecuzione del test di cessione 
7.2, 7.4, 7.11, 7.14, 7.15, 7.16, 7.17, 7.18, 7.31  Recuperi ambientali; analogamente il recupero è subordinato al test di cessione secondo quanto detto sopra. Per le terre da coltivo e le terre e rocce da scavo (7.31) nel test viene escluso il parametro COD. 
7.14, 7.15  Copertura di discariche in miscela con il rifiuto in percentuale non superiore al 30% in peso e con la realizzazione del test di cessione 
7.4, 7.5, 7.7, 7.8, 7.9, 7.10, 7.11, 7.12, 7.13, 7.14, 7.15, 7.16, 7.17, 7.18, 7.21, 7.22, 7.23, 7.24, 7.25, 7.27, 7.28, 7.29, 7.30  Cementificio; (alcune tipologie di rifiuto possono essere anche macinati ed aggiunti al clinker di cemento) 
7.3, 7.4, 7.15, 7.16, 7.19, 7.24, 7.25, 7.27, 7.31  Industria di ceramica e dei laterizi 
7.2, 7.5, 7.6, 7.8, 7.9, 7.10, 7.11, 7.17, 7.18, 7.24, 7.25, 7.27  Produzione di conglomerati cementizi e bituminosi 

Allegato 4
GLI IMPIANTI DI FRANTUMAZIONE E RECUPERO

4.1  Caratteristiche generali 

Per impianti di recupero si intendono aree adibite alla messa in riserva e impianti di frantumazione, macinazione, vagliatura, selezione granulometrica e separazione della parte metallica e delle frazioni indesiderate per l'ottenimento di frazioni inerti di natura lapidea e granulometria idonea e selezionata per essere riutilizzati per la produzione di materie prime secondarie per l'edilizia. L'attività di recupero di materia deve comunque garantire l'ottenimento di prodotti o di materie prime o di materie prime secondarie con caratteristiche merceologiche conformi alla normativa tecnica di settore o, comunque, nelle forme usualmente commercializzate.
In particolare i prodotti, le materie prime e le materie prime secondarie ottenuti non devono presentare caratteristiche di pericolo superiori a quelle dei prodotti e delle materie ottenuti dalle lavorazioni di materie prime vergini.
Un impianto efficiente deve essere in grado di suddividere il materiale in ingresso fondamentalmente in tre flussi: il materiale lapideo nuovamente utilizzabile, la frazione leggera (carta, plastica, legno, impurezze, etc.) e la frazione metallica.
Gli impianti di riciclaggio possono distinguersi per numero e tipo di macchine utilizzate, ma sostanzialmente rispondono ad uno schema generale di funzionamento le cui fasi principali sono le seguenti:
-  frantumazione;
-  classificazione;
-  vagliatura;
-  stoccaggio;
-  trasporto.
In esse devono inoltre considerarsi anche le seguenti sotto-fasi:
-  separazione delle frazioni in gesso;
-  separazione delle frazioni fini degli inerti;
-  separazione dei metalli (dopo la frantumazione);
-  separazione delle frazioni leggere (dopo la frantumazione).
Gli impianti di trattamento e recupero di inerti da costruzione e demolizione possono essere inoltre di due tipi:
-  impianti mobili;
-  impianti fissi.
In Italia risultano (dati aggiornati al 1999) circa 50/70 impianti mobili di frantumazione e una trentina di impianti fissi. Una decina di questi applica la tecnologia denominata R.O.S.E. (Recupero omogeneizzato scarti edilizi), nata a livello sperimentale nel 1989, sulla quale sono state effettuate numerose ricerche sia sotto il profilo della tecnologia che di quella dell'utilizzo dei materiali riciclati.
4.1.1  Impianti mobili
I gruppi mobili derivano dai tradizionali impianti di frantumazione degli inerti da cava e vengono usati dove c'è necessità di riutilizzare in loco grosse quantità di rifiuti di origine lapidea o di calcestruzzi. Tali impianti consentono notevoli economie, sono facilmente trasportabili e di semplice concezione, ma non consentono la separazione di frazioni di rifiuti e, in linea di massima, non sono dotati di apparecchiature per la riduzione del rumore e della dispersione delle polveri. Gli impianti dell'ultima generazione, tuttavia, possono avere sistemi aggiuntivi di captazione delle polveri e separatori magnetici per la rimozione delle parti in ferro dal grano frantumato.
Derivano dai tradizionali impianti di frantumazione degli inerti di cava e il loro utilizzo è motivato essenzialmente dal costo di acquisto, inferiore a quello degli impianti fissi, e dalla possibilità di abbattere le spese di trasporto nel caso in cui sia necessario frantumare grosse quantità di materiale da reimpiegare in loco, senza particolari esigenze di qualità del materiale da impiegare o di eliminazione della quota di rifiuti in essa presente. Seppure generalmente realizzati in serie, e quindi senza tenere in conto di esigenze o particolarità specifiche, sono tuttavia in grado di trattare anche piccole quantità sul posto di produzione, portando ad un risparmio sui costi di trasporto delle macerie.
Per contro questi impianti offrono limitate garanzie per la qualità del prodotto offerto, in quanto sono necessariamente "semplici", non permettendo la separazione sistematica e razionale delle diverse tipologie di materie estranee (ferro, plastica, legno, ecc.) presenti nel materiale da trattare. Consentono soltanto una semplice riduzione granulometrica senza garantire tuttavia un adeguato assortimento delle pezzature prodotte, ed in linea di massima la loro impostazione costruttiva, legata all'esigenza di trasportabilità, compattezza e monoliticità, contrasta con l'introduzione di efficaci accorgimenti e dotazioni sia per il completamento del processo di trasformazione sia per la riduzione completa del rumore e delle polveri, condizione quest'ultima particolarmente significativa in ambiente urbano.
Infine dal punto di vista del controllo ambientale pongono agli enti preposti (U.S.L., Provincia) notevoli problemi operativi, in quanto la loro ubicazione si modifica con frequenza, dipendendo essenzialmente dalla locazione del materiale da frantumare.
4.1.2 Impianti fissi
Unità di questo tipo costituiscono delle piccole industrie che vengono progettate per uno specifico sito, per un preciso bacino di utenza ed anche per le caratteristiche sia qualitative che quantitative dei materiali di scarto ivi prodotti. Consentono di ottenere prodotti di maggiore pregio in termini di qualità e di omogeneità, ma di contro richiedono maggiori investimenti per l'acquisto dell'impianto e dell'area.
Se debitamente certificati, attraverso prove di accettazione e prove di qualificazione delle MPS, possono consentire l'adozione di standard di tipo prestazionale.
Un impianto di riciclaggio fisso nel territorio offre diversi vantaggi:
-  possibilità di controllo, attraverso l'attività di smaltimento, della natura dei rifiuti;
-  possibilità di poter usufruire di materiali inerti di riciclo;
-  possibilità di applicare tariffe inferiori a quelle di conferimento in discarica, che contribuiscono ad eliminare il fenomeno dell'abbandono incontrollato dei rifiuti nell'ambiente;
-  ricavi che derivano, oltre che dalla vendita delle MPS, anche dalla vendita del ferro recuperato dalla frantumazione dei blocchi di calcestruzzo.
La macchina principale dell'impianto è il mulino frantumatore, che deve essere realizzato con materiali pregiati ed opportunamente studiato per resistere alle grandi sollecitazioni indotte principalmente dalla presenza di elementi metallici (putrelle, ferro dei calcestruzzi, etc.). Vengono impiegati diversi tipi di mulini (a mascelle, a cono, ad urto) che possono essere anche accoppiati in serie sulla stessa filiera produttiva. Nella scelta del mulino si deve tenere in conto anche del problema della produzione di polveri che rappresenta un aspetto importante di impatto sull'ambiente. In questo senso l'adozione di opportune misure di contenimento comporta necessariamente un maggiore costo di impianto.
La selezione del materiale frantumato viene eseguita da normali vagli, selettori balistici, selettori ad acqua o aria, etc. Frequentemente sono presenti anche fasi di selezione manuale.
Gli impianti fissi, sia perché progettati e realizzati per un sito specifico e per una determinata quantità e qualità di rifiuti di demolizione, sia per la possibilità di impiegare tecnologie più complete, sono in grado di fornire un prodotto di migliore qualità.
In una valutazione globale costi/benefici incidono invece, negativamente, i costi di ammortamento e di gestione, che sono mediamente più elevati rispetto agli impianti mobili.
4.2  Aspetti organizzativi e gestionali
4.2.1 Schema del processo produttivo
L'attività di un impianto di recupero di rifiuti inerti può essere schematizzata nelle seguenti fasi principali:
-  ingresso scarti e primo controllo di qualità per l'ammissibilità all'impianto dei rifiuti in arrivo;
-  stoccaggio temporaneo ed alimentazione impianto;
-  secondo controllo di qualità, durante l'immissione, per eliminare eventuali materiali inquinanti;
-  frantumazione delle macerie mediante frantoio o mulino a martelli;
-  deferrizzazione;
-  selezione (vagliatura e classificazione) con separazione delle frazioni leggere ed eventuale ulteriore riduzione;
-  omogeneizzazione del prodotto (assortimento granulometrico);
-  stoccaggio e uscita materiali in cumuli provvisori o all'interno di silos.
Il rendimento dell'impianto può essere molto elevato: per ogni tonnellata di materiale in ingresso si possono ottenere infatti mediamente in uscita:
-  95% (950 Kg.) di prodotto lavorato nelle diverse granulometrie;
-  4% (40 Kg.) viene separato ancora prima della frantumazione come terra naturale;
-  1% (1 Kg.) di frazione leggera (carta, plastiche, legno, etc.) da smaltire in modo alternativo;
-  0,1% (1 Kg.) di materiale ferroso.
4.2.2 Gli spazi funzionali
Con riferimento alla organizzazione degli spazi, un impianto di recupero deve prevedere:
-  l'area di controllo, in prossimità dell'ingresso/uscita, provvista di spesa;
-  l'area per lo stoccaggio provvisorio dei rifiuti inerti in arrivo divisa in più settori in funzione della loro natura merceologica da cui dipende la qualità del prodotto (terre, inerti misti di scavo, inerti misti di demolizione, calcestruzzi, materiali calcarei);
-  gli spazi di manovra per lo scaricamento di mezzi esterni in arrivo;
-  l'area di manovra per la pala gommata che alimenta l'impianto;
-  l'area di trattamento che comprende tutte le macchine dell'impianto e la cabina di comando e controllo;
-  l'area di stoccaggio del prodotto trattato suddiviso in base alle pezzature che possono essere contenute in uno o più silos (in genere due) alimentati dai nastri trasportatori, che oltre ad una economia di spazio consente una maggiore velocità di caricamento;
-  l'area di caricamento in uscita del prodotto riciclato;
-  l'area per gli uffici con relativi parcheggi per impiegati e clienti;
-  l'area per un capannone per l'officina e riparo veicoli.
4.2.3  Descrizione delle fasi di lavoro
Dopo una prima fase di controllo di qualità per verificare l'ammissibilità all'impianto è prevista una zona di stoccaggio dei materiali in arrivo. Il controllo viene effettuato con l'ausilio di una telecamera a colori, collegata ad un video ripetitore ad alta risoluzione, che consente di verificare, dall'alto, il tipo di materiale presente nell'autocarro in arrivo alla fase di pesatura.
Dopo lo stoccaggio provvisorio l'alimentazione all'impianto di trattamento viene effettuata con una pala gommata. Per ottenere un materiale di uscita dalle buone caratteristiche di omogeneità è opportuno che già in questa fase l'operatore alla pala abbia cura di scegliere il materiale da introdurre nel mulino in modo tale da avere un carico uniformemente distribuito nelle sue componenti. Ciò potrà facilitare la successiva operazione di omogeneizzazione presente in coda all'impianto, la tramoggia di carico è completata da un alimentatore, con variatore automatico di portata.
Il materiale viene costantemente tenuto sottocontrollo qualitativo da una terza telecamera, posta sulla bocca d'uscita dell'alimentazione, in questa fase l'operatore può bloccare qualora ne ravvisi la necessità l'alimentazione e controllare visivamente il materiale.
La fase successiva è quella di una prima vagliatura effettuata con un vibrovaglio, dopo la quale il materiale viene convogliato nella camera di frantumazione del mulino, poi per mezzo di un estrattore orizzontale i materiali trattati vengono convogliati su di un nastro trasportatore, che li trasferisce sino al primo deferrizzatore a nastro, la cui funzione è quella di separare il ferro pesante e di provvedere direttamente a stoccarlo in apposito cassone metallico.
Dopo tale operazione, utilizzando un altro nastro trasportatore, il materiale viene convogliato ad un vibrovaglio a due piani multiforo, che produrrà le seguenti selezioni granulometriche 30 mm., 0-70 mm., 30-70 mm., 30-140 mm., poiché per alcuni usi particolari potrebbe essere necessario assoggettare la frazione 0-30 mm. ad ulteriore stadio di selezione, l'impianto prevede la possibilità di un ulteriore suddivisione in tre flussi: 0-6 mm., 6-18 mm., 18-30 mm. In questa fase si procede mediante un apposito dispositivo, alla separazione delle frazioni leggere (carta, plastica, legno ecc.) che vengono stoccate in un apposito contenitore ed eliminate, un successivo nastro trasportatore, reversibile, in by-pass consente la formazione di due cumuli separati, per la produzione speciali, quali potrebbero essere, i misti cementati o i magroni a bassa resistenza. Con il medesimo by-pass, attraverso un altro nastro trasportatore i materiali entrano in un tunnel di stoccaggio ed omogeneizzazione, il nastro estrattore in fine provvede al riempimento di un silo in metallo, con il quale e possibile caricare velocemente i mezzi.
Il sistema è tale da assicurare il completo abbattimento delle polveri prodotte ed ha un elevato rendimento di massa.
La potenza totale di esercizio dell'intero complesso è di circa 80÷100 KW per una produzione nell'ordine di 50 m3/h, ed il sistema può essere gestito da soli tre addetti di cui uno alla pesa.
Tenuti presenti i consumi energetici è possibile un calcolo approssimativo dei costi di gestione che si possono attestare intorno a 3 milioni di lire al mese. Dato che la produzione dei metalli è di circa 1.500 Kg./giorno si deduce facilmente che già solo la vendita di tali materiali è in grado di mantenere energicamente l'impianto.
Cercando di quantificare i costi ed i ricavi è ovvio che ogni situazione locale deve essere tuttavia considerata a sé stante. In funzione del prezzo di mercato dell'inerte naturale - molto variabile a seconda della posizione geografica - è possibile accettare allo smaltimento anche gratuitamente le macerie. In linea di massima è comunque opportuno mantenere il prezzo del prodotto riciclato tra l'80% ed il 90% del prezzo del materiale che esso va a sostituire (8-10 lire/Kg.).
L'importo dell'investimento relativo al capannone e all'impianto, che scaturirà da una progettazione di massima, dovrebbe essere contenuto nei 2,5 miliardi di lire.
4.2.4  Le risorse necessarie per la gestione
L'impianto, per l'automazione avanzata delle sue varie fasi produttive, può essere gestito anche con tre operatori oltre ed un impiegato amministrativo, anche se in verità la struttura organizzativa ideale in termini di risorse umane, dovrebbe tenere conto di alcune necessità:
-  i turnover stagionali;
-  le sostituzioni per malattie;
-  le intercambiabilità;
-  la integrabilità di funzioni in casi di emergenza.
Queste considerazioni suggeriscono quindi una composizione che potrebbe essere più articolata, secondo lo schema che segue.
Ambito operativo
-  operatore palista (principale) per l'alimentazione;
-  operatore alla centrale di comando e controllo (con competenze impiantistiche);
-  operatore palista (secondario) con funzioni di meccanico e controllore;
-  meccanico che all'occorrenza possa sostituire l'operatore alla centrale di comando.
Ambito amministrativo
-  addetto al controllo ed alla pesatura in entrata ed uscita (rilascio, documenti e/o ricevute, etc.);
-  addetto alla contabilità (prima nota cassa, registro, fatture, etc.) che all'occorrenza può svolgere anche il ruolo di addetto alla pesatura;
-  dirigente per la tenuta dei rapporti commerciali ed istituzionali in genere.
Inoltre, anche se l'impianto non necessita di particolari competenze specialistiche a livello tecnologico e produttivo, gli operatori dovrebbero essere in grado di:
-  saper distinguere la qualità delle macerie in ingresso sia per l'invio ai cumuli di stoccaggio provvisorio che per fissare il prezzo di conferimento in vista del suo recupero e dell'utilità futura;
-  saper valutare i tempi di lavorazione e la possibilità di autonomia funzionale dell'impianto sulla base del materiale esistente nelle aree di stoccaggio;
-  conoscere le macchine, le loro esigenze di manutenzione ordinaria ed essere in grado di eseguirle con regolarità al fine di evitare guasti e quindi fermi produttivi non previsti.
Il numero di operai può eventualmente aumentare nel caso si presenti la necessità di un incremento di produzione mediante l'adozione di un secondo mulino di frantumazione. Naturalmente possono essere ricercate soluzioni alternative a questa composizione di risorse.
Per esempio nel periodo di avviamento dell'impianto, in cui sono maggiormente sentite le necessità di economie, l'imprenditore può svolgere le funzioni del dirigente, un solo impiegato può svolgere le funzioni amministrative e di controllo insieme, eventualmente coadiuvato all'occorrenza da un operaio. Si può inoltre arrivare a dare la delega delle funzioni amministrative a studi specializzati esterni, eliminando così la figura dell'addetto contabile e mantenendo solo l'onere della prima nota cassa.
Allegato 5
LE ATTIVITA' DI RECUPERO AMBIENTALE DI AREE DEGRADATE, AI SENSI DELL'ART. 5 DEL DECRETO MINISTERIALE 5 FEBBRAIO 1998

Le attività di recupero ambientale consistono nella restituzione di aree degradate ad usi produttivi o sociali attraverso rimodellamenti morfologici.
Per il recupero possono essere utilizzati solo i rifiuti indicati dall'art. 5 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998, e con le modalità in esso previste. In particolare possono essere recuperati:
-  rifiuti di rocce da cave autorizzate;
-  sfridi di laterizio cotto ed argilla espansa;
-  pietrisco tolto d'opera;
-  detriti di perforazione;
-  fanghi di perforazione;
-  calci di defecazione, previa eventuale disidratazione;
-  rifiuti costituiti da pietrisco di vagliatura del calcare, previa eventuale disidratazione;
-  scarti da vagliatura latte di calce;
-  terre da coltivo, derivanti da pulizia di materiali vegetali eduli e dalla battitura della lana sudicia; terre e rocce di scavo.
Per tutte le tipologie il recupero è subordinato all'esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al decreto ministeriale 5 febbraio 1998 (per le terre da coltivo e le terre e rocce da scavo nel test viene escluso il parametro COD).
Nel periodo in cui viene effettuato il recupero vanno attentamente valutate e rimosse le fonti di possibile molestia per il contesto urbano circostante, e le refluenze ambientali. Qualunque fase lavorativa prevista dal progetto che possa avere refluenze negative sull'ambiente deve prevedere l'adozione di adeguati metodi di contenimento.
In particolare dovrà essere previsto un impianto di lavaggio delle ruote degli automezzi per eliminare la presenza dei fanghi sulla sede stradale prossima al sito, nonché la bitumazione di ampie zone all'interno della area (piazzale, piste) per diminuire la quantità di polveri nell'aria, specie durante le giornate ventose.
La fase finale deve prevedere il distendimento di una coltre di terra e la successiva seminagione e piantumazione.
Siti
I siti idonei e prioritari alla realizzazione di recuperi ambientali ricadono in:
-  zone di particolare interesse ambientale;
-  aree limitrofe ai centri abitati;
-  parchi e riserve naturali;
-  siti con habitat naturali;
-  siti su versanti.
Fattori preferenziali
Costituiscono fattori preferenziali:
-  baricentricità del sito oggetto del recupero ambientale rispetto al bacino di produzione dei rifiuti inerti non pericolosi;
-  viabilità e collegamenti esistenti o facilmente realizzabili;
-  tempi di realizzazione relativamente brevi.
Fattori penalizzanti
Costituiscono fattori penalizzanti:
-  aree soggette a frane o movimenti gravitativi;
-  aree soggette a rischi di inondazione;
-  aree che ricadono negli ambiti fluviali.
Caratteristiche geologiche e geotecniche
I terreni su cui insiste un recupero ambientale che utilizzi rifiuti inerti non pericolosi devono possedere caratteristiche geologiche e geotecniche tali, o rese tali, da evitare rischi di frane o cedimenti delle pareti e del fondo dell'impianto. I rifiuti dovranno inoltre essere compattati, per evitare successivi fenomeni di instabilità.
Il progetto di recupero ambientale
Nella progettazione delle opere di recupero ambientale nel contesto paesaggistico si dovrà tenere conto dei benefici apportati all'intero comprensorio.
Il progetto dovrà contenere elaborati in scala non inferiore 1:1.000, conformi agli standard della Regione siciliana, con particolare riferimento a riporti di materiali, sistemazioni idrauliche, opere di ingegneria naturalistica e impianti a verde.
Il progetto esecutivo delle opere da realizzare dovrà avere almeno i seguenti elaborati:
1)  relazione tecnica illustrante i lavori di recupero ambientale previsti con relativa indicazione delle fasi temporali di esecuzione;
2)  planimetria e sezioni illustranti lo stato iniziale dei luoghi antecedenti all'attività di recupero;
3)  planimetria e sezioni illustranti le opere in progetto, ivi comprese quelle relative alla regimentazione delle acque meteoriche;
4)  planimetria d'insieme;
5)  particolari, in pianta e sezione, della ricostituzione del manto vegetale;
6)  computo metrico estimativo delle opere da eseguire;
7)  esauriente documentazione fotografica dell'area oggetto del recupero ambientale con apposita planimetria su cui sono riportati i relativi punti di presa dei fotogrammi.
La configurazione dei siti degradati a recupero ultimato dovrà essere tale da favorire il suo inserimento nel paesaggio circostante.
Il progetto di recupero dovrà comprendere, inoltre, le manutenzioni delle opere di difesa idrogeologica e di quanto altro realizzato per un periodo congruo dopo la fine dei lavori; in particolare dovrà riguardare le irrigazioni, il ripristino delle conche, il rincalzo delle piante, il ripristino dell'efficienza dei tutori, gli sfalci, i diserbi, le sarchiature, la sostituzione delle piante morte, la sistemazione del terreno e degli eventuali danni derivati da eventi meteorici di particolare intensità, la verifica dell'efficienza del drenaggio e di smaltimento delle acque e le potature.
Per quanto riguarda l'individuazione dell'autorità competente all'approvazione dei progetti di recupero, secondo quanto previsto dall'art. 5 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998, l'ordinamento regionale intesta le competenze in materia ambientale all'Assessorato regionale territorio e ambiente, al quale quindi occorre fare riferimento per le relative procedure.
Gestione
Nella gestione dei recuperi ambientali devono essere predisposti piani di sicurezza nonché controlli periodici ingegneristici.
Deve essere prevista una gestione per almeno un anno successivo al completamento dei lavori di recupero ambientale, ed in ogni caso fino a quando esistano effetti ambientali da controllare.
Deve essere controllato l'assestamento dei materiali utilizzati per il recupero ambientale con una frequenza stabilita dall'organo di controllo.
Per tenere sotto controllo il materiale messo a dimora per ciò che riguarda specificatamente la stabilità dei versanti e l'evoluzione del profilo topografico finale si dovrà procedere ad una verifica degli assestamenti, da effettuare con periodiche livellazioni topografiche di una rete di capisaldi opportunamente predisposti.

Allegato 6
CRITERI GENERALI PER L'INDIVIDUAZIONE DELLE ZONE NON IDONEE ALLA LOCALIZZAZIONE DEGLI IMPIANTI DI SMALTIMENTO E RECUPERO DEI RIFIUTI INERTI, NONCHE' PER L'INDIVIDUAZIONE DI LUOGHI O IMPIANTI ADATTI ALLO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI INERTI

Di seguito riportati i criteri per l'individuazione delle zone non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti inerti, i fattori "penalizzanti" (fattori cioè che non determinano automaticamente l'esclusione dell'area ma che comportano tuttavia ulteriori valutazioni, pareri e/o nulla-osta), ed i fattori "preferenziali" ai fini della localizzazione degli impianti.
6.1 Impianti di frantumazione e recupero
6.1.1 Zone non idonee
Sono zone non idonee ai fini dell'ubicazione di impianti di recupero per rifiuti inerti:
-  aree in frana di rilevanti dimensioni;
-  aree destinate al contenimento delle piene o comunque soggette a rischio di inondazione (aree golenali);
-  aree limitrofe a grotte, doline o inghiottitoi, o con depressioni endoreiche su terreni carsici sia in rocce carbonatiche sia in rocce evaporitiche;
-  i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare;
-  i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi;
-  i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi delle acque pubbliche, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna;
-  territori coperti da foreste e da boschi ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco o sottoposti a vincolo di rimboschimento;
-  aree entro la fascia di rispetto di strade, autostrade, gasdotti, oleodotti, cimiteri, ferrovie, beni militari, aeroporti;
-  aree costiere e in zone di dune mobili, consolidate e sedimenti di duna;
-  aree entro una fascia di rispetto di almeno 500 metri fra il perimetro dell'impianto e le vie di navigazione, le zone boschive e di protezione naturale o culturale;
-  siti con habitat naturali e aree significative per la presenza di specie animali o vegetali proposti per l'inserimento nella rete europea Natura 2000, secondo le direttive Comunitarie;
-  zone di particolare interesse ambientale sottoposte a tutela;
-  aree comunque soggette a vincolo assoluto di inedificabilità.
6.2.2 Fattori penalizzanti
Sono aree soggette a fattori penalizzanti - che possono cioè essere dichiarate idonee ma per le quali sono necessarie specifiche valutazioni, pareri e/o nulla-osta - ai fini dell'ubicazione di un impianto di recupero per inerti:
-  aree con modesti movimenti franosi o soggette a movimenti gravitativi;
-  aree che rivestono notevole interesse naturalistico, geologico, paleontologico, artistico, storico, archeologico;
-  aree caratterizzate dall'impossibilità di realizzare soluzioni idonee di viabilità per evitare l'interferenza del traffico derivato dal conferimento dei rifiuti.
6.2.3 Fattori preferenziali
Costituiscono fattori preferenziali per la valutazione dell'idoneità dei siti prescelti per l'ubicazione di impianti di recupero per inerti:
-  vicinanza rispetto al luogo di produzione;
-  vicinanza rispetto ad una discarica per rifiuti solidi urbani;
-  baricentricità dei sito rispetto al bacino di produzione e al sistema di impianti per la gestione dei rifiuti;
-  viabilità d'accesso esistente o facilmente realizzabile, disponibilità di collegamenti stradali e ferroviari esterni ai centri abitati;
-  aree degradate, cave abbandonate per il recupero ambientale (attraverso il rimodellamento morfologico), aree dove preesistono discariche, aree che abbiano la disponibilità per la realizzazione in prossimità dell'impianto di recupero di almeno un impianto di messa in riserva ed uno di discarica per inerti;
-  dotazione di infrastrutture.
6.2 Discariche per rifiuti speciali inerti
6.2.1 Zone non idonee
Sono zone non idonee ai fini dell'ubicazione di discariche per rifiuti inerti:
-  aree in frana di rilevanti dimensioni;
-  aree destinate al contenimento delle piene o comunque soggette a rischio di inondazione (aree golenali);
-  aree limitrofe a grotte, doline o inghiottitoi, o con depressioni endoreiche su terreni carsici sia in rocce carbonatiche sia in rocce evaporitiche;
-  i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 1.000 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare;
-  i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 1.000 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi;
-  i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi delle acque pubbliche, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 300 metri ciascuna;
-  territori coperti da foreste e da boschi ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco o sottoposti a vincolo di rimboschimento;
-  parchi e riserve naturali, nazionali, regionali, nonché aree naturali protette d'interesse europeo (ZPS);
-  aree entro la fascia di rispetto di strade, autostrade, gasdotti, oleodotti, cimiteri, ferrovie, beni militari, aeroporti;
-  aree costiere e in zone di dune mobili, consolidate e sedimenti di duna;
-  aree entro una fascia di rispetto di almeno 500 metri fra il perimetro dell'impianto e le vie di navigazione, le zone boschive e di protezione naturale o culturale;
-  siti con habitat naturali e aree significative per la presenza di specie animali o vegetali proposti per l'inserimento nella rete europea Natura 2000, secondo le direttive Comunitarie;
-  zone di particolare interesse ambientale sottoposte a tutela;
-  aree comunque soggette a vincolo assoluto di inedificabilità.
Per quanto riguarda le discariche destinate al conferimento dei rifiuti inerti classificati come speciali non pericolosi ai sensi del decreto legislativo n. 22/97 sono inoltre considerate come zone non idonee:
-  aree nelle quali non sussista almeno un franco di 1 metro tra il livello di massima escursione della falda freatica e il piano di campagna;
-  aree ricadenti nelle fasce di rispetto dei punti di approvvigionamento idrico a scopo potabile (300 metri o altra dimensione superiore definita in base a valutazioni delle caratteristiche idrogeologiche dei sito);
-  aree distanti meno di 1.000 metri dai centri abitati esistenti e da quelli previsti dagli strumenti urbanistici vigenti o adottati.
Infine, per quanto riguarda le discariche destinate al conferimento dei rifiuti inerti classificati come speciali pericolosi ai sensi del decreto legislativo n. 22/97, sono considerate come zone non idonee:
-  zone sismiche di prima categoria;
-  aree vulcaniche attive;
-  aree nelle quali non sussista almeno un franco di 5 metri tra il livello di massima escursione della falda freatica e il piano di campagna;
-  aree che distano meno di 500 metri (o altra dimensione superiore definita in base a valutazioni delle caratteristiche idrogeologiche dei sito) dalle fasce di rispetto dei punti di approvvigionamento idrico a scopo potabile;
-  aree distanti meno di 2.000 metri dai centri abitati esistenti e da quelli previsti dagli strumenti urbanistici vigenti o adottati.
6.2.2 Fattori penalizzanti
Sono aree soggette a fattori penalizzanti - che possono cioè essere dichiarate idonee ma per le quali sono necessarie specifiche valutazioni, pareri e/o nulla-osta - ai fini dell'ubicazione di discariche per inerti:
-  aree sottoposte a vincolo idrogeologico;
-  aree con modesti movimenti franosi o soggette a movimenti gravitativi;
-  aree che rivestono notevole interesse naturalistico, geologico, paleontologico, artistico, storico, archeologico;
-  aree di interferenza con i livelli di qualità delle risorse idriche superficiali e sotterranee;
-  aree caratterizzate dall'impossibilità di realizzare soluzioni idonee di viabilità per evitare l'interferenza del traffico derivato dal conferimento dei rifiuti;
-  aree caratterizzate dalla presenza di terreni con permeabilità primaria e secondaria medio-alta, come calcareniti ed arenarie, rocce carbonatiche, alluvioni, vulcaniti e metamorfiti permeabili).
6.2.3 Fattori preferenziali
Costituiscono fattori preferenziali per la valutazione dell'idoneità dei siti prescelti per l'ubicazione di discariche per inerti:
-  collocazione nell'ambito, o nelle immediate vicinanze, degli insediamenti produttivi;
-  viabilità d'accesso esistente o facilmente realizzabile, disponibilità di collegamenti stradali e ferroviari esterni ai centri abitati;
-  baricentricità del sito rispetto al bacino di produzione ed al sistema di impianti per la gestione dei rifiuti;
-  aree degradate, cave abbandonate per il recupero ambientale (attraverso il rimodellamento morfologico), aree dove preesistono discariche, aree che abbiano la disponibilità per la realizzazione in prossimità della discarica di almeno un impianto di messa in riserva ed uno di recupero degli inerti;
-  dotazione di infrastrutture.
6.3 Impianti di recupero ambientale di aree degradate
Per gli impianti di recupero ambientale di aree degradate fare riferimento all'allegato 5.

Allegato 7
LA RETE DI IMPIANTI DI GESTIONE PER RIFIUTI INERTI

Lo strumento principale per l'attuazione del piano regionale è il piano di ambito territoriale per la gestione dei rifiuti inerti i cui contenuti si dovranno conformare ai seguenti criteri generali.
7.1 Aspetti generali
Dovrà essere incentivata da tutti gli enti interessati una gestione dei rifiuti inerti che privilegi nell'ordine:
-  la prevenzione, intesa come riduzione alla fonte (nei cicli produttivi) della quantità prodotta e della nocività per l'ambiente dei rifiuti inerti;
-  il riutilizzo, che comprende qualsiasi operazione che consenta il reimpiego per un uso identico a quello originario, da eseguire preferenzialmente nella stessa sede o negli stessi cantieri in cui sono prodotti;
-  il recupero degli inerti collocandoli sul mercato come materia prima;
-  il riciclaggio degli inerti, definito come recupero di scarti di produzione, di materiali residui, di rifiuti derivanti dal ciclo produttivo, al posto della materia prima;
-  il recupero dei materiali presso impianti di selezione, frantumazione e vagliatura;
-  il recupero dei rifiuti in tutte le forme previste dalle norme vigenti, con particolare riguardo al "recupero ambientale" previsto dall'art. 5 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998;
-  il recupero di energia tramite l'utilizzo della frazione leggera combustibile (carta, legno, plastica) proveniente dagli impianti di selezione e frantumazione;
-  il corretto smaltimento in discarica della frazione residuale.
La rete di impianti per la gestione dei rifiuti inerti è composta da:
-  stazioni di trasferenza;
-  impianti (fissi e mobili) di frantumazione e recupero dei rifiuti inerti non pericolosi;
-  impianti di recupero ambientale di aree degradate attraverso rimodellamenti morfologici;
-  discariche per rifiuti inerti.
E' ovviamente possibile individuare nodi con alcune combinazioni fra le tipologie sopra citate, come ad esempio un impianto di trattamento con annessa discarica di servizio.
Per quanto riguarda invece la geometria della rete di gestione, ed i criteri da seguire per la suddivisione dell'ambito territoriale in bacini ottimali di utenza, è necessario valutare contemporaneamente diversi elementi: la distribuzione della popolazione, la conformazione del territorio, la rete viaria o la presenza di specifiche attività industriali.
Per ottimizzare i costi di gestione degli impianti, in particolare per quanto riguarda i rifiuti inerti da costruzione e demolizione, si può in linea di massima prevedere un impianto di frantumazione e recupero per un bacino di utenza di 100.000 abitanti. Inoltre la massima percorrenza dal punto più distante del bacino al punto di conferimento presso uno dei nodi della rete non dovrebbe superare i 20 Km. per non fare lievitare oltre misura i costi di conferimento.
Per quanto riguarda invece gli impianti destinati prioritariamente alla gestione degli scarti dell'attività estrattiva, questi andranno localizzati preferenzialmente nei distretti di produzione.
I rifiuti inerti (non pericolosi ai sensi del decreto Ronchi) non destinati al recupero e/o al riciclaggio dovranno essere smaltiti in apposite discariche. I nuovi impianti dovranno essere conformi a quanto previsto dalla Direttiva n. 1999/31/CE del Consiglio del 26 aprile 1999 o a quanto previsto dalle relative norme nazionali di recepimento della medesima direttiva. Gli impianti preesistenti continueranno a svolgere la propria attività secondo quanto previsto dalla normativa di settore vigente.
Per favorire una gestione più corretta dei rifiuti inerti le discariche per rifiuti inerti dovranno, in linea di massima, essere funzionalmente collegate ad impianti di riciclaggio della frazione inerte che prevedano almeno la macinazione e la vagliatura con separazione dell'eventuale rottame ferroso e degli altri materiali isolanti, e la successiva reimmissione sul mercato degli inerti selezionati e del rottame recuperato.
In subordine è consentito il recupero di materiali inerti ottenuti dai rifiuti individuati dalla normativa statale di settore in discariche di prima categoria, come materiale coprente o infrastrato, previo trattamento e purché i materiali siano idonei dal punto di vista delle caratteristiche fisiche e geotecniche. Il soggetto gestore della discarica valuta l'accettazione del materiale in questione.
E' previsto il divieto di conferimento con i rifiuti solidi urbani di rifiuti inerti provenienti da piccole demolizioni, manutenzioni e costruzioni: tali materiali dovranno essere pertanto conferiti presso aree di raccolta appositamente attrezzate o presso discariche per inerti. Ciascun comune provvederà a rendere esecutivo tale divieto dal momento in cui sia disponibile una stazione di conferimento o altra area attrezzata a servizio del comune stesso, o immediatamente nel caso sia localizzata una discarica per inerti nel territorio comunale. La prossimità ad una discarica per RSU può costituire pertanto fattore preferenziale per l'ubicazione di un impianto di trattamento per inerti.
Lo smaltimento dei rifiuti di cui al punto precedente in discariche per inerti deve essere effettuato previa separazione della frazione dei medesimi che non può essere collocata nelle suddette discariche, e previa effettuazione di operazioni di adeguamento volumetrico necessarie ad assicurare una gestione corretta delle discariche stesse.
Il piano di recupero ambientale per le discariche è obbligatorio, deve essere conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti o adottati e deve essere collegato alla richiesta di autorizzazione della discarica.
Prioritaria è la previsione di almeno una discarica e di un impianto di trattamento e recupero a servizio di ogni capoluogo di provincia.
Si dovrà valutare caso per caso, ed in funzione soprattutto del grado di urbanizzazione, l'opportunità di prevedere piccoli impianti di trattamento a servizio delle isole minori. In ogni caso dovrà essere prevista almeno una stazione di trasferenza per ciascuna delle isole minori.
Il piano di ambito territoriale dovrà tenere conto della situazione esistente, sia per gli impianti già attivati sia per quelli in fase istruttoria avanzata, e dovrà essere aggiornato con cadenza triennale.
Nella individuazione dei siti bisognerà tenere conto della necessità di un eventuale potenziamento dell'impianto, a fronte di mutate necessità di conferimento e/o di situazioni di emergenza. Dovranno pertanto essere individuate, già in fase di progettazione, le superfici per eventuali futuri ampliamenti dello stesso impianto.
7.2  Gli ambiti territoriali 

Ai fini della gestione dei rifiuti inerti (non pericolosi) la Sicilia viene suddivisa in nove ambiti territoriali i cui confini corrispondono alle nove province.
7.3  Stazioni di trasferenza 

Dovrà essere previsto un programma per la localizzazione di un numero adeguato di siti (stazioni di trasferenza) per la messa in riserva (decreto legislativo n. 22/97, allegato "C", punto "R13") e/o il deposito preliminare (decreto legislativo n. 22/97, allegato "B", punto "D15") dei rifiuti inerti. Il programma dovrà prevedere numero, dimensionamento e localizzazione delle stazioni di trasferenza, che dovranno essere modulari per adattarsi ad eventuali variazioni nel regime dei conferimenti.
Le stazioni potranno essere impianti a struttura complessa o semplici cassoni scarrabili eventualmente allocati, così come previsto dal "Documento delle priorità e degli interventi per l'emergenza rifiuti" (PIER) approvato con decreto commissariale 25 luglio 2000, all'interno delle isole ecologiche. In linea di massima dovrà essere prevista almeno una stazione di trasferenza per ogni comune nel cui territorio non siano previsti altri impianti di gestione per rifiuti inerti non pericolosi.
7.4  Impianti di recupero ambientale di aree degradate 

Per le specifiche tecniche relative alle attività di recupero ambientale di aree degradate (comprese le cave dismesse), ai fini della loro restituzione ad usi produttivi o sociali attraverso il rimodellamento morfologico, si rimanda all'allegato 5.
7.5  Impianti di trattamento e recupero 

Per gli impianti di recupero (attività di frantumazione, macinazione, cernita, vagliatura, miscelazione etc.):
-  devono essere specificati i quantitativi di materiale realmente recuperabile;
-  deve essere definita un'apposita area per la messa in riserva dei rifiuti inerti prima di sottoporli al processo di recupero secondo le modalità previste;
-  la presenza di polveri, od altre emissioni deve essere limitata mediante l'installazione di appositi sistemi di contenimento;
-  nel caso di impiego di sistemi ad umido devono essere raccolte le acque di abbattimento e smaltite secondo i criteri previsti dalla vigente normativa;
-  deve essere adottato un sistema per la riduzione del rumore, nell'ambiente di lavoro al senso del decreto legislativo n. 277/91 e garantito il rispetto del limite di rumorosità nell'ambiente esterno fissati dalla legge n. 447/95 "Legge quadro sull'inquinamento acustico" e dai decreti collegati (in particolare dal D.P.C.M. 14 novembre 1997 - allegati B e C).
Per una descrizione di dettaglio delle diverse tipologie di impianti, delle relative caratteristiche tecniche e gestionali si rimanda a quanto riportato nell'allegato 4.
7.6  Discariche 

7.6.1 Requisiti generali di progettazione
Tutti i nuovi impianti dovranno essere conformi a quanto previsto dalla Direttiva n. 1999/31/CE del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti, o alla eventuale norma statale di recepimento di tale direttiva.
Si richiamano di seguito alcuni passaggi fondamentali della normativa europea.
I suoli adibiti a discarica devono possedere caratteristiche geologiche e geotecniche tali, o rese tali, da evitare rischi di frane o cedimenti delle pareti e del fondo.
In assenza di specifici sistemi di contenimento e/o modalità di conduzione della discarica atti ad impedire il trasporto eolico è vietato lo scarico di rifiuti pulverulenti o finemente suddivisi soggetti a trasporto eolico.
La discarica durante la fase di esercizio deve essere completamente recintata, onde impedire l'accesso a persone non autorizzate e lo smaltimento di rifiuti diversi da quelli ammessi dalla normativa vigente. L'impianto deve essere dotato di un sistema di difesa e allontanamento dalle acque superficiali esterne all'area di discarica.
La sistemazione dei rifiuti in discarica deve essere eseguita con modalità tali da evitare fenomeni di instabilità del rilevato formato con rifiuti e del suolo di appoggio. La discarica deve essere alla fine completata con una copertura finale adeguata a limitare l'infiltrazione di acqua e con una sistemazione che permetta il deflusso delle acque meteoriche e che eviti rischi di frane e di cedimenti rilevanti.
Fermo restando che i rifiuti da avviare allo smaltimento devono essere il più possibile ridotti potenziando la prevenzione e le attività di riutilizzo, recupero e riciclaggio, sono di seguito individuate alcune tipologie di rifiuti speciali che possono essere conferiti in discarica per inerti:
-  cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche;
-  miscugli o scorie di cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche non contenenti sostanze pericolose;
-  vetri, legno e plastica;
-  miscele bituminose non contenenti catrame di carbone;
-  metalli e loro leghe;
-  cavi non impregnati di sostanze pericolose;
-  terre, rocce, fanghi di dragaggio non contenenti sostanze pericolose;
-  pietrisco per massicciate ferroviarie non contenente sostanze pericolose;
-  materiali isolanti non contenenti amianto;
-  materiali da costruzione a base di gesso non contaminati da sostanze pericolose.
Per quanto non espressamente previsto dal presente allegato si farà riferimento alle specifiche tecniche vigenti per tali tipologie di discariche, o ad eventuali norme più restrittive che dovessero successivamente regolamentare la materia.
7.6.2 Controlli in fase di costruzione
In fase di costruzione dovranno essere fatti i controlli previsti dalle norme vigenti. In particolare si ricorda:
-  verifica delle quote di progetto riguardanti almeno il piano di imposta del sistema di impermeabilizzazione e il piano di posa del rifiuti;
-  verifica delle pendenze del piano d'appoggio dei rifiuti e delle scarpate;
-  verifica delle pendenze dei collettori principali e secondari;
-  verifica delle caratteristiche dei materiali utilizzati nella costruzione degli strati minerali del sistema di impermeabilizzazione.
7.7  Ottimizzazione della gestione di discariche e impianti di trattamento e recupero 

Al fine di garantire l'efficienza gestionale occorre definire una serie di procedure - il cosiddetto "Piano dei gestione" - che identifichino innanzitutto il quadro organizzativo interno allo stabilimento (responsabilità e ruoli) che dovrà essere dichiarato in forma scritta e reso utilizzabile dall'autorità di controllo (la Provincia).
Le attività contemplate dal piano dei gestione dovranno essere enunciate in apposito "regolamento di gestione", messo a disposizione dell'autorità di controllo.
Le modalità di gestione possono essere individuate sulla base del Regolamento comunitario di ecogestione e audit (Reg. CEE/1836/93) e della norma ISO 14000 (per garantire la gestione nel rispetto dell'ambiente), delle norme ISO 9001/9002/9003 (per garantire la qualità del servizio reso) e della norma BS 8800 (per il sistema di gestione della sicurezza).
L'applicazione dei requisiti in esame può essere il primo passo verso l'adozione di sistemi volontari di certificazione da parte del gestore dell'impianto.

Allegato 8
LINEE GUIDA PER LA PRESENTAZIONE DI UN PROGETTO DI UNA DISCARICA PER INERTI

8.1 Documentazione amministrativa
1) Domanda redatta in carta legale ed a firma autenticata contenente:
-  dati anagrafici del richiedente e qualifica nella società;
-  dati della società;
-  dati relativi all'ubicazione della discarica;
-  riferimento agli articoli di legge per la quale si richiede l'autorizzazione e/o il N.O. e/o la V.I.A.;
-  dati del direttore tecnico responsabile della discarica;
-  elenco dettagliato di tutta la documentazione amministrativa e degli elaborati tecnici allegati alla domanda.
2)  Certificato della Camere di commercio, industria, artigianato, agricoltura comprensivo anche del nulla osta ai fini dell'art. 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575 e successive modificazioni.
3)  Copia autenticata del titolo di studio (in discipline tecnico-scientifiche) del direttore tecnico.
4)  Certificato del casellario giudiziale e certificati dei carichi pendenti rilasciati dalla Procura della Repubblica competente e dalla Pretura relativi del direttore tecnico.
5)  Dichiarazione (firma autenticata) di accettazione dell'incarico da parte del direttore tecnico.
6)  Dichiarazione (firma autenticata) da parte del richiedente di comunicare tempestivamente ogni variazione riguardante la società (es.: denominazione sociale, amministratore, sede legale) ed ogni variazione del direttore tecnico.
7)  Garanzie fidejussorie di cui al decreto assessoriale n. 188/86 del 19 aprile 1986.
8)  Estratto foglio di mappa catastale.
9)  Certificato di destinazione urbanistica rilasciata ai sensi dell'art. 18 della legge n. 47/85.
10)  Stralcio dello strumento urbanistico vigente esteso per un raggio di 2 Km. con la specifica di destinazione d'uso.
Per la realizzazione di discariche nei territori dei comuni di Priolo-Augusta-Melilli-Floridia-Solarino-Siracusa, il progetto dovrà inoltre essere trasmesso, per il parere ai sensi del D.P.R. 23 gennaio 1996, al Comitato di coordinamento per le aree a rischio di crisi ambientale.
Per i territori di Butera-Niscemi-Gela, il parere ai sensi del D.P.R. 17 gennaio 1995, dovrà richiesto al Comitato di coordinamento piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Caltanissetta.
8.2 Elaborati progettuali
Allegato alla domanda dovrà essere presentato, in almeno quattro copie, un progetto esecutivo costituito dagli elaborati di cui all'elenco seguente:
1) relazione tecnica che illustri dettagliatamente tutto il progetto e che, in particolare, riporti le seguenti informazioni:
a)  descrizione delle modalità di approntamento e gestione con la descrizione delle infrastrutture;
b)  indicazione delle particelle catastali o loro quota parte interessate dall'opera e la relativa estensione in m2;
c)  tipologia dei rifiuti espressa in codici C.E.R. a sei cifre;
d)  quantitativi di rifiuti che si prevede smaltire in un anno espressi in tonnellate ed in m3;
e)  capacità utile della discarica e valutazione presunta della durata;
f)  piano di sistemazione finale e attività post-chiusura;
2) tavole di progetto come di seguito specificate:
a) corografia scala 1:25.000;
b) planimetria generale in scala 1:10.000 con l'indicazione dell'area dell'impianto e delle zone soggette a vincoli;
c)  planimetria generale stato di fatto con curve di livello esistenti in scala 1:1.000;
d)  planimetria particolareggiata con piano quotato esistente;
e)  planimetria particolareggiata sistemazione finale;
f)  profili e sezioni stato di fatto;
3)  studio geologico sull'area comprendente la discarica, preferibilmente orientato alla identificazione delle condizioni geologiche locali, evidenziando le caratteristiche che possano influenzare, in modo significativo, la scelta del sito. Devono essere evidenziate le opere di captazione esistenti e le sorgenti, le zone di inondazione ed esondazione dei corsi d'acqua, lo stato di stabilità del fondo della discarica delle ripe e delle scarpate, la litologia della zona, la posizione delle falde ed il livello massimo raggiungibile dalle stesse. Lo studio dovrà essere supportato da:
a)  carta geologica e carta geomorfologica (il rilevamento deve essere esteso per almeno un raggio di 1 Km. dal sito della discarica), in scala 1:10.000;
b)  carta idrogeologica che evidenzi anche le opere di captazione esistenti, le sorgenti, le zone di esondazione ed inondazione dei corsi d'acqua, in scala 1:10.000;
c)  carta isopiezometrica;
d)  carta della permeabilità dei terreni con i valori in senso orizzontale e verticale;
e)  caratterizzazione fisico-meccanica dei terreni su cui insiste la discarica, con particolare riguardo allo studio sulla stabilità dei pendii interessati dalla realizzazione dell'opera;
f)  corredo fotografico;
g)  sezioni e colonne stratigrafiche;
h)  carta delle zone sismiche.
(2002.22.1350)


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