REPUBBLICA ITALIANA
GAZZETTA UFFICIALE
DELLA REGIONE SICILIANA

PARTE PRIMA
PALERMO - VENERDÌ 28 MARZO 2008 - N. 14
SI PUBBLICA DI REGOLA IL VENERDI'

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DISPOSIZIONI E COMUNICATI

ASSESSORATO DEI LAVORI PUBBLICI



Piano straordinario regionale per interventi abitativi di edilizia residenziale pubblica per il quinquennio 2008/2012.

PREMESSE
Con particolare interesse, questo Assessorato ha seguito interamente i lavori del tavolo di concertazione generale sulle politiche abitative nelle sedute del 16 aprile 2007 e del 3, 8 e 16 maggio 2007, laddove è stato rilevato il progressivo disinteresse e disimpegno dello Stato negli ultimi anni, non colmato e sostituito adeguatamente dalla Regione, avviato con l'emanazione della legge n. 560/93, recepita con modifiche dalla legge regionale n. 43/94, che ha condotto ad una sensibile dismissione del patrimonio abitativo pubblico, proseguito con il decentramento della competenza (decreto legislativo n. 112/98) e l'azzeramento delle risorse a seguito della soppressione del prelievo GES.CA.L., concluso con la devoluzione verso la Regione della potestà legislativa con la riforma dell'art. 117 della Costituzione (legge Cost. n. 3/01).
D'altronde, la riduzione della spesa pubblica nel settore, coincide con il periodo di rigore economico perseguito in tutte le politiche di protezione sociale per la tendenza al rispetto dei parametri del Trattato di Maastricht per l'ingresso dell'Italia nell'Unione europea, mantenendo comunque la maggior parte della spesa per l'assistenza di tipo pensionistico e tralasciando una residualità per le politiche abitative, circostanza che non ci vede allineati con gli altri Stati occidentali.
Per comprendere meglio le difficoltà cui è soggetto il settore, si ritiene necessario richiamare brevemente l'excursus che nel tempo ha consentito la realizzazione di interventi di ERP in Sicilia, a mezzo di assegnazione di somme agli istituti (programmazione statale) o di concessione di finanziamenti ad istituti ed amministrazioni comunali (programmazione regionale).
Breve cronostoria
A partire dall'immediato dopoguerra, il sistema di finanziamento dell'edilizia popolare ha fatto ricorso quasi interamente al sovvenzionamento dello Stato, dell'Ina-Casa e della Gescal.
Le scelte del quel periodo, che traggono origine dalla necessità della ricostruzione postbellica del patrimonio edilizio italiano e dalla necessità di offrire lavoro (da qui la rilevanza del Ministero del lavoro), costituirono una svolta che fu determinante per gli I.A.C.P., i quali progressivamente furono limitati sempre più nella loro autonomia, trasformandosi di fatto in strumenti di esecuzione e di gestione per conto terzi (Stato, Ina-Casa, Gescal) ed operando in condizioni non sempre compensative dei costi dei servizi resi.
Ciò si verificò, e si verifica tuttora, soprattutto per quanto riguarda la gestione degli alloggi: un patrimonio costruito con economia di mezzi che richiede immediati e frequenti interventi manutentori, cui devono far fronte gli I.A.C.P., ricorrendo alle proprie irrisorie risorse.
Un altro fattore che pesò negativamente sulla situazione economico-finanziaria degli I.A.C.P., va ricercato nella mancanza di un regolare e costante flusso di investimenti, per cui, a periodi di finanziamenti relativamente cospicui, se ne alternarono altri di quasi completa stagnazione.
Come conseguenza, gli istituti che si erano dati adeguate strutture, soprattutto tecniche per far fronte tempestivamente ai compiti assunti, si trovarono, nei periodi di assenza o scarsità di investimenti pubblici, in una situazione di sottoutilizzazione dei proprio personale destinato alle costruzioni e alle manutenzioni, con tutte le conseguenze, che ciò può determinare nell'equilibrio economico-finanziario dei bilanci.
Si arrivò così agli anni settanta e precisamente al 1971 che segnò un'altra pietra miliare nella storia degli I.A.C.P.. Venne infatti promulgata la legge n. 865/71 che di fatto trasformò gli istituti autonomi per le case popolari da enti pubblici economici ad enti pubblici non economici con prevalenza pertanto dell'attività pubblico-assistenziale, indicando anche obiettivi che hanno spaziato su tutta l'edilizia economico-popolare: si cominciò a parlare di integrazione della politica della casa, di sviluppo del territorio e di una disciplina unitaria dei canoni.
Si mise in atto il primo tassello del decentramento burocratico con trasferimento di deleghe alla Regione, che di fatto avvenne con il D.P.R. n. 616/77.
In applicazione della legge n. 865/71, vennero poi emanati i due D.P.R. nn. 1035 e 1036 del 1972, che disciplinarono le assegnazioni e l'organizzazione degli enti pubblici operanti nel settore dell'edilizia residenziale pubblica.
A seguito dell'emanazione di nuove leggi e della soppressione di enti quali Gescal e Incis, il patrimonio fino ad allora costruito fu in parte ceduto agli assegnatari ed in parte trasferito agli I.A.C.P., che divennero gli unici soggetti attuatori dell'edilizia residenziale pubblica. Il decennio 1970-1980 fu caratterizzato dall'inflazione galoppante che, in presenza di massimali di costo imposti dal CER (Comitato edilizia residenziale), creò molte difficoltà negli appalti, costringendo gli istituti alla continua ricerca di finanziamenti integrativi per poter ultimare i programmi costruttivi.
Agli inizi degli anni 80 (siamo in periodo di compromesso storico), si ebbe finalmente la tanto sospirata inversione di tendenza con l'emanazione della legge n. 457 del 5 agosto 1978, nota come "Piano decennale" per l'edilizia residenziale, che modificò il sistema dei finanziamenti e l'emanazione della legge n. 392/78 (c.d. legge equo canone), dettate dalla necessità di calmierare il mercato immobiliare incrementando cospicuamente il patrimonio edilizio con alloggi sociali ed alloggi di edilizia agevolata e sottraendo la determinazione dei canoni al libero mercato, ancorando la stessa a parametri prestabiliti.
La legge n. 457/78 permise così un intensificarsi dell'attività costruttiva, alla quale si unì anche quella del recupero, novità assoluta per gli istituti. In passato infatti gli istituti disponevano di fondi per le costruzioni in modo disorganico, senza pertanto essere in grado di effettuare della programmazione pluriennale.
Con l'avvento della legge n. 457/78, gli I.A.C.P. poterono contare su sovvenzioni con evidente giovamento per l'efficienza degli interventi. Tale sistema di finanziamenti proseguì, all'esaurirsi di cinque programmi della citata legge n. 457/78 denominati 1°, 2°, 3°, 4° e 5° biennio, con il piano finanziario di cui alla legge n. 67/78, con il quale furono deliberati i programmi denominati 1ª, 2ª e 3ª tranche.
Tale ulteriore programmazione finanziaria decennale, destinata anch'essa prevalentemente alla costruzione di alloggi popolari, tuttavia, si esaurì con la 3ª tranche della legge n. 67/88, allorquando (siamo nel periodo di rigore economico per la tendenza al rispetto dei parametri del trattato di Maastricht per l'ingresso dell'Italia nella Unione europea), la necessità di disincagliare ingenti assegnazioni inutilizzate per fatti puntuali, unitamente all'apprezzamento della variazione dell'andamento demografico in Italia, ormai generalmente di segno negativo, condusse all'emanazione della legge n. 135/97, che consentiva appunto di devolvere le assegnazioni impegnate per la realizzazione di costruzione di alloggi popolari in interventi di mantenimento del patrimonio abitativo esistente.
Ed ancora, nel 1997 il Parlamento delegò il Governo di individuare, sulla spinta di partiti autonomistici sempre più numerosi in Parlamento, materie e competenze da trasferire alle regioni e, quindi, agli enti locali.
Il Governo presentò così il decreto legislativo n. 112/98, che individua, insieme ad altre materie (risorse idriche, gestione rifiuti, ecc.) il trasferimento di compiti e funzioni relativi all'edilizia residenziale pubblica dallo Stato alle Regioni, trasferendo una quota delle risorse erariali con l'introduzione delle irpef regionali e comunali.
Il processo devolutivo si conclude con la riforma della seconda parte del titolo V della Costituzione, legge Cost. n. 3/01, che ha trasferito anche la potestà legislativa dallo Stato alle Regioni della materia edilizia residenziale pubblica.
Sostanzialmente, mentre anteriormente al decreto legislativo n. 112/98 la politica della casa era affrontata con gli interventi di edilizia sovvenzionata utilizzando le disponibilità dei fondi GES.CA.L. e con gli interventi di edilizia agevolata per favorire il conseguimento della proprietà, successivamente, con la cessazione del prelievo GES.CA.L. dalle buste paga dei lavoratori dipendenti, si sarebbero dovute realizzare le risorse residue GES.CA.L. per fronteggiare il bisogno più grave, nell'attesa di individuare nuovi canali di finanziamento.
Scorrendo l'elenco degli interventi di edilizia sovvenzionata inseriti nelle ultime programmazioni, individuati e finanziati con le delibere di G.R. di Governo nn. 176/00, 177/00 e 191/01, con l'utilizzo delle residue risorse GES.CA.L., per un importo complessivo di circa 2.000 miliardi di lire, si rileva che gran parte delle disponibilità non sono state orientate per fronteggiare l'emergenza abitativa, bensì per la realizzazione delle più disparate opere pubbliche in genere, con destinazione consistente anche in favore dell'edilizia religiosa e dell'edilizia del tempo libero (impianti sportivi, centri sociali, parchi suburbani, ecc.).
Appare pertanto indispensabile adesso limitare la destinazione delle auspicate ingenti risorse statali per il completamento degli interventi non ultimati, il mantenimento del patrimonio edilizio esistente, la realizzazione delle necessarie opere di urbanizzazione primaria o nuove costruzione di alloggi popolari, esclusivamente laddove oculati parametri demografici possano giustificare il fabbisogno abitativo e la necessità di nuovi insediamenti, anteponendo nel contempo il concetto di privilegiare la necessità di fronteggiare il disagio abitativo a quello di realizzazione comunque di un opera pubblica.
Nel merito, pur condividendo i vantaggi consentiti dalla realizzazione di un'opera pubblica, e cioè di realizzare comunque qualcosa di fruibile con l'utilizzo di manodopera per fronteggiare i preoccupanti ed elevati livelli di disoccupazione, si ritiene che tale obiettivo, recentemente, ha oscurato la principale destinazione dei fondi GES.CA.L.
Occorre pertanto utilizzare, in maniera più efficace che nel recente passato, le risorse disponibili per dirigersi verso un modello che dovrà essere sostanzialmente capace di autosostenersi sul fronte dell'edilizia sociale in locazione, ricorrendo a nuove modalità di finanziamento, ivi incluso l'intervento del privato sociale.
In particolare, l'aspetto da approfondire, che ha animato il dibattito politico, riguarda la valutazione se proseguire secondo l'attuale trend della dismissione del patrimonio edilizio esistente, avviata anche per ridurre i deficit degli enti proprietari, o se invertire la tendenza con il mantenimento dello stesso, con gli introiti costanti della locazione permanente.
Ovviamente, proseguendo verso la dismissione del patrimonio, si assottiglia la necessità di mantenere gli istituti autonomi per le case popolari.
Più specificatamente, nell'ipotesi che la pubblica amministrazione, attraverso le sue articolazioni, ultima la propria attività con l'assegnazione dell'alloggio, trasferendo all'assegnatario in tale momento il diritto di proprietà, già maturato o progressivamente da conquistare, si ritiene che gli istituti debbano essere ripensati conseguentemente alle ridotte esigenze.
Nell'ipotesi, invece, di definire l'alloggio popolare a tutti gli effetti opera pubblica, caratterizzandolo per la sua inalienabilità, occorrerà avviare uno studio approfondito sul gettito complessivo dei canoni del patrimonio residenziale pubblico, pianificare e programmare la destinazione di tale somma (costi strutturali: di amministrazione, di manutenzione, di incremento del patrimonio, ecc.) e conseguentemente ridefinire il numero degli istituti in Sicilia e le loro piante organiche, con partecipazione dei dipendenti ai rendimenti ed agli utili di esercizio.
E' da rilevare, comunque, che successivamente al decreto legislativo n. 112/98 non è stata prodotta in sede regionale alcuna significativa iniziativa di riordino normativo della materia, a meno di sporadici richiami per fatti puntali contenuti nelle ultime leggi finanziarie.
CRITICITA'
Risorse
In tale contesto, va ancora evidenziato che, le programmazioni dello Stato antecedenti il decreto legislativo n. 112/98, trovavano copertura finanziaria con i fondi costituiti dai prelievi GESCAL dalle buste paga dei lavoratori, prelievo non più prorogato oltre il 31 dicembre 1998, oltre il quale non si è individuata una misura di finanziamento alternativa né da parte della Regione, né da parte dello Stato. Per quantificare il fenomeno, si riferisce che nel decennio antecedente il 1998 la Regione Sicilia è stata autorizzata dal CIPE ad assumere limiti di impegno per un importo complessivo pari 1,2 miliardi di euro, mentre dal 2000 ad oggi sono state versate per la competenza appena 5 milioni di euro.
In attesa di scelte forti programmatiche ed organiche, l'Assemblea regionale ha approvato la legge regionale n. 19 del dicembre 2005, che consente agli istituti di riprogrammare le risorse nel tempo assegnate e non utilizzate per un importo complessivo superiore ai 100 milioni di euro.
Al riguardo, tutte le parti sociali partecipanti al tavolo di concertazione sulle politiche abitative hanno ritenuto di chiedere di "...rifinanziare in modo consistente il nuovo piano di edilizia residenziale realizzando un piano nazionale per l'affitto con annualità di finanziamento certe da prevedere nella legge finanziaria. Il dimensionamento della richiesta - sostitutiva del canale di finanziamento ex Gescal - varia da 1,1 miliardi di euro/anno fino a 1,5 miliardi di euro/anno...".
Patrimonio e organizzazione amministrativa
Attualmente, l'Amministrazione regionale non dispone di un ufficio destinato al monitoraggio continuo del patrimonio abitativo sociale regionale.
Già l'art. 12 della legge n. 431/98, ha previsto l'istituzione dell'Osservatorio della condizione abitativa nazionale e regionale. Con decreto ministeriale n. 374 dell'1 marzo 2005, è stato costituito l'Osservatorio nazionale della condizione abitativa, attivato pure presso numerose altre regioni.
Tutte le parti sociali presenti al tavolo nazionale delle politiche abitative hanno manifestato la necessità, richiamata nel documento di sintesi, di "...avviare l'Osservatorio delle politiche abitative inteso come strumento di sostegno tecnico alla formazione delle politiche abitative ed urbane...".
Gli unici dati disponibili sono quelli rilevati dall'indagine della Corte dei conti in tema di edilizia residenziale pubblica, approvata con delibera n. 9/2006, nella quale è stato monitorato il patrimonio degli istituti all'anno 2003 (n. 45.563 alloggi) e il patrimonio direttamente gestito di proprietà di altri enti (n. 16.151 alloggi), come riepilogato nella sottostante tabella:






Dalla stessa indagine si rileva la proprietà di alloggi popolari delle amministrazioni di Palermo, Catania, Siracusa e Messina (complessivamente n. 8.000 alloggi). Cosicché si ritiene che il patrimonio abitativo di edilizia sociale in Sicilia possa essere stimato, alla data 2003, in circa n. 80.000 alloggi, dei quali oltre il 60% con vetustà ultra trentennale.
Dalla stessa relazione della Corte dei conti si rileva che dalla data di entrata in vigore della legge n. 560/93, come recepita dalla legge regionale n. 43/94, all'anno 2003 è stato dismesso dagli istituti dell'Isola un patrimonio abitativo pari a n. 17.228 alloggi, mentre nei comuni monitorati il patrimonio dimesso è stato di n. 2.733 alloggi, come di seguito distribuito:






Sulla scorta dei superiori dati e sulle pressanti richieste di manutenzione del patrimonio esistente, è possibile valutare che gli effetti della dismissione, che ha riguardato complessivamente n. 22.700 alloggi dal 1994 al 2003 (considerati anche gli alloggi venduti con leggi diverse dalla legge n. 560/93), hanno gravemente impoverito il patrimonio degli istituti, nella considerazione che la richiesta di vendita è stata ovviamente avanzata dagli assegnatari solo nei casi in cui il prezzo di vendita è risultato notevolmente inferiore al valore venale dell'alloggio, lasciando generalmente alla proprietà degli istituti e dei comuni un patrimonio di scarso valore venale e notevolmente degradato. Sostanzialmente l'amministrazione ha dismesso i beni pregiati ed ha mantenuto in proprietà gli alloggi che richiedono immediati e corposi interventi manutentivi.
Peraltro, il prezzo di vendita determinato dalla legge nazionale n. 560/93 con riferimento al valore catastale, decurtato dell'importo pari all'1% per ogni anno di vetustà (fino ad un massimo del 20%) e di uno sconto pari al 10% per pagamento in unica soluzione, è stato ulteriormente ridotto in ambito regionale per effetto dello sconto elevato al 25%, i cui effetti sono stati sempre prorogati ed è ancora oggi applicabile, determinando un prezzo medio di cessione irrisorio ad alloggio pari ad E 12.400,00.
E se è previsto anche dalla Costituzione garantire l'alloggio sociale a soggetti deboli diversificando la proposta in alloggi in affitto sociale, affitto moderato, affitto con patto di futura vendita ed infine per categorie speciali (anziani, studenti, lavoratori temporanei, ecc.), si ritiene invece una ingiustizia sociale continuare a procedere alla cessione degli alloggi con i prezzi fino adesso determinati, ancor più grave in periodi di scarsità di risorse nel settore, pur dovendo comunque prevedere condizioni agevolate per l'acquisto degli alloggi.
Si ritiene ancora che occorrerebbe ridefinire le modalità ed i criteri della vendita degli alloggi, abbandonando definitivamente la strada della dismissione ad ogni costo, come è stato consentito anche da recenti norme regionali, anche nella considerazione che la progressiva dismissione del patrimonio abitativo riduce nel tempo, fino ad azzerarla, ogni iniziativa politica nel settore dell'edilizia sociale.
Senza trascurare la circostanza che la vendita dell'alloggio è consentita agli assegnatari solo se in regola con il pagamento dei canoni. Cosicché, essendo rimasto costante il fenomeno delle occupazioni abusive e delle morosità parecchio diffuso in Sicilia oltre che per giustificate ragioni economiche, aggravato da ragioni culturali di scarso rispetto della cosa pubblica, la dismissione ha comportato un notevole incremento dell'incidenza della morosità sul patrimonio ancora mantenuto, a danno degli stessi istituti.
Anche tale aspetto è stato attenzionato dalla Corte dei conti, laddove "...A livello regionale la morosità complessiva per canoni di locazione del patrimonio immobiliare gestito dagli I.A.C.P. scaduti al 31 dicembre 2003 ammontava alla ragguardevole cifra di E 147.946.840; più del 60% di tale importo si concentrava presso gli Istituti di Palermo (E 45 milioni) Catania (E 32,6 milioni) e Messina (E 21 milioni) ... E' da segnalare (che) il tasso di morosità non scende mai al di sotto del 10% del monte canoni annuale, attestandosi mediamente tra il 30 ed il 50%. Pur dovendosi rimarcare che nell'ultimo triennio gli I.A.C.P. hanno notevolmente incrementato l'attività di recupero della morosità, occorre tuttavia segnalare come la stessa appaia ostacolata dalla normativa regionale (legge n. 18 del 1994) la quale, dopo una severa disposizione (art. 5, comma 1) che, in caso di morosità superiore a sei mesi, sancisce la decadenza dall'assegnazione, pur prevede (art. 5, comma 2, introdotto con l'art. 10 della legge regionale n. 43 del 1994) una sanatoria di tale situazioni qualora il pagamento della somma dovuta avvenga entro sessanta giorni dalla messa in mora...".
Mentre, nel merito delle occupazioni abusive, la Corte dei conti ha evidenziato che "...a fine 2003 circa il 15% degli alloggi di ERP gestiti dagli I.A.C.P. (n. 9.061 su n. 62.966) risulta occupato senza titolo ... (e) si manifesta principalmente presso gli istituti di Palermo (28%, n. 3.000 su n. 10.348), di Catania (23%, n. 2.101 su n. 9.499) e Caltanissetta (23%, n. 658 su n. 3.722) ... Il fenomeno desta notevole preoccupazione ove si consideri il basso numero di procedimenti amministrativi o giudiziali avviati nel triennio per contestare l'occupazione senza titolo (n. 799) e quello quasi irrisorio (n. 31) dei procedimenti conclusi positivamente (n. 31)...".
Ed ancora, in ordine al numero degli alloggi non occupati, la Corte ha rilevato che "...al 31 dicembre 2003 il numero complessivo degli alloggi non occupati presso gli I.A.C.P. (escluso quello di Palermo che non ha fornito i dati) ammontava a 1.715...".
Al riguardo, è pertinente la problematica sorta a seguito dell'individuazione da parte dell'istituto autonomo per le case popolari di Palermo di numerosi alloggi popolari occupati abusivamente da soggetti per i quali non è consentito per varie circostanze la regolarizzazione dell'assegnazione. Tale fatto è stato sottoposto al comune di Palermo, il quale ha fatto conoscere l'impossibilità di procedere allo sgombero nell'ipotesi che l'occupante abusivo versi in condizioni di indigenza.
Tuttavia, è anche da riconoscere che il problema del mantenimento di un occupante abusivo di un alloggio a danno di un regolare assegnatario non può scaricarsi in capo all'istituto, per la semplice ragione che priva l'istituto della percezione del canone, unica fonte primaria di finanziamento degli istituti, nella considerazione (paradossale) che per lo stesso alloggio poi il comune richiede all'istituto il pagamento delle imposte gravanti (ICI ed altro).
I fenomeni delle occupazioni abusive e della morosità, particolarmente attenzionati recentemente, adesso, pur rimanendo numericamente costanti, come già detto incidono, a seguito della corposa dismissione del patrimonio abitativo ai sensi della legge n. 560/93, come recepita dalla legge regionale n. 43/94, con valori percentuali economicamente intollerabili.
E se desta preoccupazione l'improduttività del patrimonio e l'organizzazione amministrativa degli istituti autonomi per le case popolari, tale da orientare il dibattito politico verso la soppressione degli stessi, l'indagine della Corte dei conti evidenzia eguali carenze e preoccupazioni nella gestione del patrimonio di proprietà delle amministrazioni comunali, affermando che "...generalmente il settore in questione appare fortemente trascurato dagli enti locali...".
Pertanto, al momento si ritiene che debba essere accantonata ogni iniziativa che tenda ad assimilare gli istituti a enti inutili da sopprimere, poiché l'istituto o l'amministrazione comunale è il mezzo per realizzare gli obiettivi sostenibili da perseguire, oggi non chiari ed organici.
Non minori richiami sono riservati all'Amministrazione regionale in ordine alla programmazione delle risorse ("...l'attività programmatoria regionale ... si è rilevata completamente scollata dalla ricognizione dei fabbisogni e delle effettive condizioni abitative a livello locale in quanto la stessa è risultata condizionata in maniera pressoché esclusiva dal parco progetti esistente e dai finanziamenti disponibili..."), alla conoscenza del fabbisogno abitativo ("...non è ancora stata prevista alcuna specifica struttura per la raccolta, elaborazione e diffusione dei dati relativi a tale delicato settore della realtà sociale...") ed all'attività di vigilanza ("...la situazione, essendo l'Amministrazione regionale sostanzialmente priva di effettivi poteri di indirizzo e controllo nei confronti degli I.A.C.P., finisce per generare presso tali enti prassi applicative fortemente differenziate...").
Congiunture
Oltre i fatti sopra rappresentati, il sistema delle politiche abitative, generalmente sull'intero territorio nazionale, soffre dell'assenza di meccanismi che consentano di calmierare il mercato immobiliare, che raggiunge i valori immobiliari più elevati laddove, per elementari leggi di libero mercato, è maggiore la domanda (in particolare le città e le aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina), trascinando nella difficoltà di sistemazione abitativa (in affitto o in proprietà) anche i nuclei familiari del ceto medio, specialmente se monoreddito.
Per tradizione ed anche per un rilevante periodo di inflazione galoppante a due cifre, la famiglia italiana e soprattutto quella meridionale, ha ritenuto di assicurare i propri risparmi nel settore immobiliare, pervenendo all'acquisto della prima casa e molto spesso all'investimento anche in una seconda casa, con utilizzo generalmente stagionale, considerando la casa più che un bene d'uso (come negli altri Paesi occidentali), una forma di investimento.
Tale valutazione è confortata dai dati ISTAT 2005 che evidenziano come in Italia il rapporto abitazioni/famiglie sia superiore a 1,2 (ovvero 28,3 milioni di abitazioni contro 22,8 milioni di famiglie).
Un altro dato sta ad evidenziare, inoltre, la particolarità della situazione italiana: a fronte di un costante aumento del numero delle famiglie che vivono in un alloggio di proprietà (ormai superiore all'80 per cento del totale), la condizione degli inquilini delle categorie sociali più svantaggiate permane critica. Il totale delle famiglie in affitto (4,3 milioni) risulta pari a circa il 19% del totale.
La tendenza all'avvicinamento del mercato italiano a quello degli altri Stati occidentali si è manifestata con l'introduzione della moneta unica europea, in concomitanza della riduzione dell'inflazione, che ha determinato un aumento del volume di scambi del mercato azionario, con conseguente liquidità delle imprese.
Purtroppo, i recenti scandali finanziari hanno contribuito ad impaurire e respingere il risparmio delle famiglie, rigettandolo sul mercato immobiliare di provenienza con il conseguente innalzamento dei valori a seguito della maggiore richiesta.
Ovviamente, l'aumento dei valori immobiliari non consente l'accesso alla proprietà, come già detto, a fasce sempre più consistenti della popolazione, coinvolgendo anche i nuclei familiari del ceto medio, dirottandoli sul mercato degli affitti con conseguente incremento della domanda e lievitazione del canone a libero mercato.
Il settore adesso è regolato dalla legge n. 431/98 che ha fortemente ridotto l'originaria efficacia della legge equo canone.
In tale legge è previsto una tipologia a canone libero ed una a canone concordato, facilitato, nell'intendimento del legislatore nazionale, da agevolazioni fiscali.
Attualmente, i rendimenti immobiliari sono assoggettati al prelievo fiscale assimilati ai redditi da lavoro.
Si ritiene ulteriormente penalizzante per il settore, la proposta, anche governativa, di assimilare il prelievo fiscale dei rendimenti immobiliari a quello derivante dagli investimenti finanziari, imponendo una cedola secca del 20%.
Si sconosce l'eventuale maggior prelievo fiscale conseguibile con la cedolare secca del 20%, presumibilmente penalizzante per i grandi patrimoni imprenditoriali gestiti sotto forma societaria, ma si ritiene che in Sicilia, dove è ininfluente la presenza di gestioni immobiliari con criteri imprenditoriali, tale modifica fiscale consentirebbe sull'investimento immobiliare un maggior appeal con presumibile ulteriore richiamo del risparmio familiare e lievitazione ulteriore dei valori.
Mentre dovrebbe essere avviato un sistema conflittuale tra conduttore e proprietario, che consentirebbe un'immediata riduzione dell'evasione fiscale (stimata in ordine al 50%), il cui gettito dovrebbe garantire la deducibilità di una percentuale dei canoni dallo stesso corrisposti.
Anche tale contesto economico non aiuta la realizzazione ed il reperimento, con disponibilità contenute, di alloggi sociali o in affitto.
Per calmierare il mercato, il tavolo sulle politiche abitative ha condiviso la proposta di incrementare lo stock di patrimonio sociale con la realizzazione di alloggi di edilizia sovvenzionata e di attrarre dal libero mercato, quella domanda, con auspicabile riduzione dei valori immobiliari, in possesso dei requisiti per l'accesso all'edilizia agevolata con la realizzazione di uno stock di 100.000 alloggi.
Costituzione di un tavolo di concertazione regionale
Si ritiene che le superiori criticità vadano dibattute ed affrontate, approfittando dell'attuale interesse del Governo nazionale che dovrà determinarsi in ordine alle risorse ed agli incentivi fiscali, costituendo un apposito tavolo di lavoro regionale limitando l'attenzione alla gestione del patrimonio sociale ed alla relativa organizzazione amministrativa, coinvolgendo gli istituti (presidenti e direttori), le amministrazioni comunali almeno delle città metropolitane di Palermo, Catania e Messina (assessori al ramo e responsabili dei servizi abitativi), l'ANCI regionale, le prefetture, l'Agenzia del demanio, la Guardia di finanza, i segretari regionali del SUNIA, SICET e UNIAT, il magistrato contabile estensore dell'indagine della Corte dei conti, le più rappresentative associazioni assistenziali locali (Biagio Conte, C.A.D.O. o altre da individuare per la città di Palermo), ed altri soggetti interessati all'edilizia agevolata, al fine di individuare un percorso comune in ordine alle criticità sopra evidenziate.
Proposta
La ricerca delle soluzioni sostenibili, evitando l'insorgere di conflitti sociali e disordini, si ritiene possa individuarsi a seguito di una totale verifica dei requisiti posseduti dagli assegnatari o occupanti comunque gli alloggi popolari.
Si ritiene ancora che debba consolidarsi e diffondersi il principio che, coloro i quali non posseggono i requisiti necessari per accedere all'edilizia sovvenzionata devono essere immediatamente sfrattati dagli alloggi sociali e che coloro i quali sono inseriti nelle graduatorie di assegnazione di alloggi popolari devono essere senz'altro preferiti in sfavore di occupanti abusivi e/o morosi di lunghi periodi, particolarmente se risultanti di punteggio attribuibile più favorevole.
L'accertamento si ritiene debba essere accompagnato parallelamente da tre altre misure, quali:
-  la centralizzazione della riscossione dei canoni e la costituzione dell'anagrafe (ciò dovrebbe consentire la riduzione dell'improduttività di parte del patrimonio pubblico abitativo, riducendo, se non azzerando, le discrezionali permissività fino ad oggi tollerate);
-  il blocco della vendita di alloggi popolari (al riguardo poi potranno prevedersi agevolazioni per il conseguimento della proprietà dell'alloggio popolare in favore dell'assegnatario, determinando, nel caso di futura vendita, un canone maggiorato rispetto a quello sociale);
-la mobilità degli assegnatari in relazione a mutate esigenze (sono soventi i casi di riduzione del nucleo familiare, disabilità, ecc.);
-favorire, nelle città metropolitane, la realizzazione di edilizia residenziale sociale destinata a categorie protette, in particolare quella universitaria, al fine di sottrarre alla domanda abitativa gli studenti che, per la necessità di conseguire con immediatezza una sistemazione abitativa a qualunque costo, spesso alimentano un mercato di locazione regolato da rapporti non registrati.
Si ritiene ancora che, per agevolare lo sfratto di coloro che pur non essendo collocati utilmente nelle graduatorie posseggono i requisiti per l'accesso all'assegnazione dell'alloggio popolare, di prevedere centri di strutture collettive di emergenza abitativa (tipo caserme, ospedali in disuso, ecc.), dove alloggiare i nuclei sfrattati, adattati e sotto l'assistenza di associazioni di volontariato.
Presso questi centri di accoglienza, si ritiene che debbano essere istituiti appositi uffici distaccati comunali capaci di accogliere ed offrire ogni regime di aiuto sociale consentito, al fine di ridurre il più possibile il disagio conseguente al trasferimento dall'alloggio ad una struttura abitativa collettiva.
La percorribilità del programma sopra delineato, ovviamente, dovrà essere valutata e condivisa dalle istituzioni e parti sociali interessate e coinvolte nel tavolo regionale, al fine di poter pervenire, con tollerati scostamenti, alla quantificazione delle necessità di realizzazione di alloggi sociali, di alloggi in affitto sociale, in affitto moderato, in affitto con patto di futura vendita ed infine per categorie speciali (anziani, studenti, lavoratori temporanei, ecc.), non tralasciando l'attenzione verso le fasce di popolazione meno disagiate, in favore delle quali consentire forme agevolate di aiuti per il conseguimento della proprietà.
Le misure sopra indicate si ritiene possano ridurre l'emergenza abitativa, trasferendola ad uno stadio più contenuto e programmabile, da soddisfare con le risorse statali al momento non quantificate.
Programma ex art. 3 della legge 8 febbraio 2007, n. 9
Con nota n. 30581 del 24 aprile 2007, è stato richiesto ai n. 79 comuni indicati nell'elenco di cui alla delibera CIPE 13 novembre 2003 (comuni ad alta tensione abitativa) di restituire entro il termine 8 maggio u.s. gli appositi modelli allegati, affinché risultasse consentito a questa Amministrazione regionale l'elaborazione del programma straordinario del fabbisogno di edilizia residenziale pubblica. Tale nota è stata pure inoltrata ai presidenti degli istituti autonomi per le case popolari al fine di acquisire ulteriori elementi di conforto dei dati.
I comuni interessati risultano i seguenti, aggregati per ambito provinciale:






Adesso, sulla scorta dei dati rilevati dalle risposte pervenute e su quelli ricavati attraverso proiezioni concordate con le amministrazioni per le vie brevi, per l'esiguità dei tempi, si è provveduto a predisporre il piano straordinario per la Regione siciliana, sulla scorta dei seguenti dati complessivi:
-  popolazione Regione Sicilia (censimento 2001): n. 4.866.202 abitanti;
-  fabbisogno di ERP dell'intera regione: n. 82.725 alloggi popolari;
- fabbisogno di ERP dell'intera regione rilevato da graduatorie: n. 63.261 alloggi popolari;
-  popolazione limitata ai comuni di cui all'art. 1, comma 1, legge n. 9/2007: n. 3.063.971 abitanti;
-  fabbisogno di ERP limitato ai comuni di cui all'art. 1, comma 1, legge n. 9/2007: n. 61.279 alloggi popolari;
-  fabbisogno di ERP limitato ai comuni di cui all'art. 1, comma 1, legge n. 9/2007 rilevato da graduatorie: n. 55.151 alloggi popolari;
-  procedimenti esecutivi di sfratto nell'ambito dei comuni di cui all'art. 1, comma 1, legge n. 9/07: n. 5.822 sfratti;
-  procedimenti esecutivi di sfratto per finita locazione nell'ambito dei comuni di cui all'art. 1, comma 1, legge 9/2007: n. 1.455 sfratti per finita locazione;
-  procedimenti esecutivi di sfratto per morosità o altro nell'ambito dei comuni di cui all'art. 1, comma 1, legge n. 9/07: n. 4.366 sfratti per morosità o altro;
-  procedimenti esecutivi di sfratto per finita locazione nell'ambito dei comuni di cui all'art. 1, comma 1, legge 9/07: n. 1.455 sfratti per finita locazione;
-  procedimenti esecutivi di sfratto per finita locazione nell'ambito dei comuni di cui all'art. 1, comma 1, legge n. 9/2007, e nei confronti di soggetti utilmente inseriti nelle graduatorie di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica: n. 400 sfratti per finita locazione;
-  percentuale di presenza nei nuclei familiari soggetti a sfratto per finita locazione di ultra sessantacinquenni: 16%;
-  percentuale di presenza nei nuclei familiari soggetti a sfratto per finita locazione di malati terminali: 4%;
-  percentuale di presenza nei nuclei familiari soggetti a sfratto per finita locazione di disabili con invalidità superiore al 66 per cento: 9,50%;
-  percentuale di presenza nei nuclei familiari soggetti a sfratto per finita locazione di figli fiscalmente a carico: 45%;
-  presunto costo medio complessivo per metro quadro per la costruzione di alloggio popolare secondo massimali di costo ubicato nell'ambito dei comuni di cui all'art. 1, comma 1, legge n. 9/2007: E 1.250,00;
-  presunto costo medio annuale complessivo per metro quadro di alloggio da affittare ubicato nell'ambito dei comuni di cui all'art. 1, comma 1, legge n. 9/07 e con finiture e caratteristiche similari ad un alloggio popolare: E 40,00;
-  presunto costo medio complessivo per metro quadro di alloggio da acquistare ubicato nell'ambito dei comuni di cui all'art. 1, comma 1, legge n. 9/07 e con finiture e caratteristiche similari ad un alloggio popolare: E 1.500,00.
Sulla scorta dei superiori dati, si procede a spalmare il fabbisogno sopra individuato, ritenuto che le potenzialità degli uffici (amm.ni comunali e I.A.C.P.) consentono di poter seguire le procedure (avvisi per affitto e/o acquisto di alloggi, progettazioni, gare, direzione lavori, ecc.) per la costruzione di oltre 4.000 alloggi per anno, nell'arco di un quinquennio come di seguito:






Nell'ambito della superiore programmazione dovrà consentirsi il passaggio da casa a casa dei nuclei familiari appartenenti alle categorie sociali indicate nel comma 1, dell'art. 1, della legge n. 9/2007 e quantificate in n. 400, come di seguito:






  L'Assessore: CONSOLI 

(2008.9.654)048
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