Pos. II-IV Prot. 79.2005.11

OGGETTO: Regione siciliana.- Rappresentanza in organi collegiali.- Approfondimenti.

SEGRETERIA GIUNTA REGIONALE
(Rif. nota n. 1147 del 31 marzo 2005)

e, p.c. UFFICIO DI GABINETTO
DELL'ON.LE PRESIDENTE

SEGRETERIA GENERALE

L O R O S E D I

1.- In allegato alla nota emarginata è stata trasmessa la deliberazione della Giunta regionale n. 110 del 21 marzo 2005, con cui lo scrivente Ufficio viene incaricato di procedere ad un "approfondimento dell'indagine giuridica sulla problematica inerente la rappresentanza della Regione siciliana in seno ad organi collegiali."

2.- L'approfondimento richiesto consegue ad una precedente consulenza concernente l'oggetto (resa dallo scrivente alla Segreteria Generale della Presidenza della Regione con nota n. 12947/174.2004.11 del 4 agosto 2004), in occasione della quale si ebbe a esporre il principio generale - non inciso, secondo le ivi richiamate, e condivise, pronunce, dalle nuove norme che disciplinano l'organizzazione amministrativa della Regione recate dalla l.r. 15 maggio 2000, n. 10, ed in particolare dalla disposta ripartizioni dei poteri e dalla conseguente separazione tra compiti di direzione politica e di direzione amministrativa - secondo cui la Pubblica Amministrazione, nell'assolvimento dei propri compiti istituzionali, deve prioritariamente avvalersi del proprio apparato organizzativo e del personale ad esso preposto od assegnato, residuando la possibilità di ricorrere a professionalità esterne soltanto in ragione di eventi non sopperibili con la ordinaria struttura burocratica.

La richiesta, e svolta, indagine giuridica non appare indurre a conclusioni diverse rispetto a quelle cui si era pervenuti, ma consente, viceversa, di formulare talune precisazioni in relazione alle puntuali richieste di approfondimento espresse dalla Giunta di governo.

Va in primo luogo ribadito che il principio costantemente affermato, specificamente dalla Corte dei conti, secondo cui le persone estranee all'apparato burocratico non possono rappresentare l'amministrazione negli organi collegiali degli enti pubblici, individua nella sussistenza di un rapporto organico e di servizio il nesso eziologico legittimante l'esercizio della funzione di rappresentanza.
Ed invero la nozione di rappresentanza che qui rileva - ben diversa dalla rappresentanza politica - si sostanzia in un rapporto di compenetrazione, identificazione o immedesimazione che esclude la sussistenza di una duplicità di centri di interesse e determina, nei confronti dei terzi, un unico soggetto.
Occorre premettere che l'ordinamento positivo, nell'indicare i membri destinati a costituire gli organi collegiali, sovente li denomina "rappresentanti". E tuttavia in dottrina è stato già da tempo osservato che tale denominazione non rispecchia la reale posizione giuridica di detti componenti (cfr. Luigi Galateria, Gli organi collegiali Amministrativi, Giuffrè, 1956); ed invero talvolta essi assumono la veste di nuncius, si limitano cioè a trasmettere all'organo collegiale la dichiarazione altrui, mentre tal'altra, più frequentemente, agiscono nella veste di organo, nel qual caso, in virtù del sottostante rapporto di immedesimazione organica, non solo gli effetti dell'attività del componente ma tutta la sua attività risulta giuridicamente ascrivibile all'ente di appartenenza.
Ed improprio appare dunque, a stretto rigore giuridico, come ebbe a rilevare Massimo Severo Giannini già dal 1950 (cfr. Lezioni di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano) l'uso del termine "rappresentante", laddove il rapporto di rappresentatività - di interessi e non di volontà - corre tra soggetti dell'ordinamento organizzatorio interno dei pubblici poteri e sua funzione non è lo spostamento dell'imputazione degli effetti di un atto, ma appunto la cura di interessi, determinati o generali, all'interno di un organo terzo.
Ora, pur senza approfondire il concetto di rappresentanza organica, ci si limita ad osservare che la Pubblica Amministrazione, e cioè il complesso di soggetti, di uffici, ed in generale di figure organizzative, che svolgono attività di pubblica amministrazione, agisce attraverso una serie di organi capaci di esprimerne la volontà in virtù di una compenetrazione, identificazione o immedesimazione, ed i cui atti sono da imputare direttamente alla persona giuridica pubblica di appartenenza.
Inoltre è da tenere in debito conto il ruolo che i funzionari pubblici, e specificamente i dirigenti, sono chiamati a ricoprire per l'amministrazione di appartenenza - in particolare assumendo determinazioni ed adottando atti a rilevanza esterna - e che tanto tipicamente ricomprende la funzione di rappresentanza da indurre a sancire, ancorché con puntuale riferimento al trattamento economico (cfr. direttiva 1 marzo 2000 della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, concernente "Omnicomprensività del trattamento economico dei dirigenti", espressamente richiamata, per quanto attiene all'applicazione degli articoli 12 e 13 della l.r. 15 maggio 2000, n. 10, dall'art. 14 del vigente Contratto collettivo regionale di lavoro per l'area della dirigenza, recepito con D.P.Reg. 22 giugno 2001, n. 10), che si intendono comunque conferiti "in ragione dell'ufficio ... gli incarichi il cui svolgimento è collegato alla rappresentanza di interessi dell'amministrazione."
E posto dunque che rientra nei normali doveri d'ufficio il rendere prestazioni in rappresentanza dell'amministrazione, ne consegue che assolutamente eccezionale residua la possibilità di ascrivere le stesse prestazioni a soggetti estranei ed avulsi da un preesistente rapporto funzionale e di servizio.
Per completezza, si ritiene poi di dover richiamare quanto osservato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (cfr. circolare 15 luglio 2004, n. 4/04 del Dipartimento della funzione pubblica) che, dopo aver individuato i presupposti che legittimano il ricorso alle collaborazioni esterne, in conformità alla consolidata giurisprudenza, nelle ipotesi in cui l'amministrazione non sia in grado di far fronte ad una particolare e temporanea esigenza con le risorse professionali presenti in quel momento al suo interno, ha sottolineato - trattando in via generale dell'oggetto del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, e cioè del contenuto dell'incarico attribuibile - come il rapporto di collaborazione, "caratterizzandosi per l'assenza di un vincolo di subordinazione ... e, quindi, nel senso dell'autonomia, impedisce che con tale strumento siano affidati i compiti di gestione e di rappresentanza, che costituiscono le attribuzioni tipiche dei funzionari e dei dirigenti della Pubblica Amministrazione, i quali sono, invece, in rapporto di subordinazione con il datore di lavoro-amministrazione e, pertanto, agiscono secondo gli indirizzi impartiti e gli obiettivi assegnati".

In buona sostanza, pertanto, è da ritenere che il potere di avvalersi di soggetti estranei all'organizzazione amministrativa per perseguire finalità istituzionali vada valutato alla stregua del principio di ragionevolezza - che riassume ed esprime il principio di buon andamento e quello di economicità - cui deve improntarsi l'operato degli organi di direzione politica e di amministrazione.

In relazione poi a quegli aspetti puntualmente individuati nella citata deliberazione della Giunta regionale che potrebbero potenzialmente ostare alla nomina di un dipendente in funzione di rappresentanza dell'Ente Regione si osserva quanto segue.
Per ciò che attiene la evidenziata improponibilità del binomio controllore-controllato, si osserva che in ogni caso imputabile all'Ente vigilante, ed in particolare per quanto rileva, alla Regione siciliana, appare sia l'esercizio della funzione di vigilanza e/o controllo, sia la partecipazione agli organi in questione, finalizzata, palesemente, ad indirizzarne l'attività ed a coordinarla con quella posta in essere in un più ampio contesto da altri soggetti in ordine ai quali la Regione medesima svolge analoghe funzioni di indirizzo, ovvero al perseguire, anche attraverso gli organi interni dei singoli enti, gli obiettivi di finanza pubblica ed i principi di efficienza, efficacia ed economicità che si impongono al settore pubblico allargato.
Un eventuale conflitto di interessi verrebbe dunque a configurarsi esclusivamente in capo al singolo soggetto incaricato di svolgere il duplice ruolo e ben può escludersi il verificarsi di detta evenienza avendo cura di conferire l'incarico ad un soggetto diverso da quello il cui ambito di competenze, in virtù di altro incarico già attribuito, ricomprenda la vigilanza e/o il controllo sull'ente in discorso.
Per quanto concerne poi la problematica connessa alla sussistenza, nella specie, del principio del divieto del mandato imperativo, si osserva che esso connota, nel nostro ordinamento, la nozione di rappresentanza politica, caratterizzata appunto non da un atto di volontà (mandato) in forza del quale viene conferito il potere di agire nel proprio interesse, ma da una situazione di potere autonoma, tipica della tradizione costituzionale liberale (cfr. Roberto Bin - Giovanni Pitruzzella, Diritto costituzionale, pagg. 63 e seg., Giappichelli, Torino). Il rappresentante politico infatti non agisce nell'interesse dei soli soggetti rappresentati, ma dell'interesse generale che l'ente esponenziale (e cioè rappresentativo di un'intera comunità) è chiamato a tutelare. Egli dunque non può essere vincolato ad istruzioni o direttive ricevute poiché la alta funzione ascritta impone la sussistenza di una piena indipendenza atta a perseguire quell'interesse globale oggettivato che le continue dinamiche politiche, sociali ed economiche non consentono di cristallizzare mediante una aprioristica e statica determinazione.
Diversamente è da opinare quando si tratta, come nelle fattispecie relative alla rappresentanza della Regione in organi collegiali, di ipotesi prive di un rapporto di alterità e caratterizzate viceversa da quella rappresentanza di interessi, che giustifica e legittima la partecipazione dell'Ente regionale in organismi ad esso esterni. In tali casi infatti è imprescindibile la sussistenza di un preciso vincolo che imponga al rappresentante la puntuale tutela degli interessi della Regione siciliana, e che lo obblighi ad uniformarsi all'indirizzo e ad osservare le direttive allo scopo definite, senza ovviamente travalicare la sfera di autonomia ascritta al singolo soggetto in relazione alla tipicità dei compiti da svolgere.
Non appare fuor di luogo, a tal proposito, rilevare come il rapporto di servizio che nasce dall'inserimento, in via autoritativa o anche convenzionale, nella organizzazione amministrativa di soggetti che abbiano comunque una investitura a svolgere funzioni obiettivamente pubblicistiche - quali quelle individuabili nella specie in ragione dei connaturati fini pubblici che imprescindibilmente devono supportare la partecipazione regionale a qualsivoglia organo o collegio - determina l'assoggettamento al richiamato potere di indirizzo e di direttiva.

Relativamente, in ultimo, alla affermazione secondo cui il richiamato parere in argomento già reso dallo scrivente "prospetta un obbligo di effettuare la designazione solo in capo a dipendenti dell'Amministrazione", va specificato quanto già peraltro contenuto in nuce nel precedente parere, e cioè che gli Organi di governo cui spettano le nomine e/o le designazioni di "rappresentanti" della Regione in organi collegiali appaiono legittimati a ricorrere a professionisti esterni nei soli casi in cui non esistano, o non siano sufficienti, sotto il profilo quantitativo e/o qualitativo, nei ruoli organici dell'Ente, quelle specifiche professionalità necessarie per fronteggiare le varie esigenze dell'azione amministrativa, vuoi per la peculiare tipologia e/o specificità di quest'ultima, vuoi per la episodicità e straordinarietà della stessa, nonchè, infine, nei casi in cui pur essendo presenti le richieste professionalità, queste ultime non possono essere concretamente utilizzate in quanto un ulteriore incarico non sarebbe compatibile con il disbrigo delle ordinarie attività d'ufficio.

3.- Ai sensi dell'art. 15, comma 2, del "Regolamento del diritto di accesso ai documenti dell'Amministrazione regionale", approvato con D.P.Reg. 16 giugno 1998, n. 12, lo scrivente comunica preventivamente di acconsentire all'accesso presso codesta Amministrazione al presente parere da parte di eventuali soggetti richiedenti.
Codesta Amministrazione vorrà a sua volta comunicare, entro novanta giorni dalla ricezione, l'eventuale possibilità che il parere stesso inerisca ad una lite, ovvero se intenda differirne l'accesso fino all'adozione di eventuali provvedimenti amministrativi cui la richiesta consulenza fosse preordinata. Decorso detto termine senza che sia pervenuta alcuna comunicazione in tal senso, si procederà, giusta delibera della Giunta regionale n. 229 dell'8 luglio 1998, all'inserimento del presente parere nella banca-dati "FoNS", ed alla conseguente diffusione.


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