POS. II Prot._______________/51.11.07

OGGETTO: Espropriazione di beni culturali - Art.95, secondo comma, D.Lgs. n.42/2004 - Applicabilità in ambito regionale.




ASSESSORATO REGIONALE DEI BENI CULTURALI ED AMBIENTALI E DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
Dipartimento dei beni culturali e ambientali e dell'educazione permanente

PALERMO






1. Con nota prot. n.25130 del 15 marzo 2007 codesto Dipartimento, premesso che nell'ambito dei Programmi Integrati Territoriali (P.I.T.) approvati in attuazione del P.O.R. Sicilia 2000-2006, sono stati finanziati numerosi interventi proposti dai Comuni, che comportano la necessità di procedere all'espropriazione di beni culturali per fini di pubblica utilità, ha chiesto l'avviso dello Scrivente in ordine all'applicabilità in ambito regionale, ferma restando la competenza di codesta Amministrazione in ordine alla dichiarazione di pubblica utilità, della disposizione contenuta nell'art.95, secondo comma, D.Lgs.22 gennaio 2004, n.42 che prevede la possibilità di autorizzare lo stesso ente pubblico territoriale interessato ad effettuare l'espropriazione dei beni culturali.
Al riguardo codesta Amministrazione riferisce che, sulla scorta del parere n.2328/274.11.2002 del 18 febbraio 2003 con cui lo Scrivente ha affermato la titolarità in capo alla Regione del potere espropriativo di beni culturali, ad oggi ha posto in essere tutti gli atti inerenti alle procedure espropriative anche di interesse degli enti locali che, però, per i casi in oggetto risulterebbero eccessivamente gravose.
Codesto Dipartimento ha chiesto, inoltre, se la medesima possibilità prevista dall'art.95, D.L.gs. n.42/2004 cit. possa operare anche con riferimento alle due fattispecie contemplate ai successivi articoli 96 e 97 che disciplinano, rispettivamente, l'espropriazione per fini strumentali e quella per interesse archeologico.


2. Sulla questione suesposta si osserva quanto segue.
Il problema relativo all'applicabilità in ambito regionale della normativa recata dal D.lgs. 22 gennaio 2004, n.42 in materia di espropriazione di beni culturali appartenenti a privati per fini di pubblica utilità, deve essere risolto richiamando i ben noti principi che regolano i rapporti tra legislazione statale e legislazione regionale.

Com'è noto, l'art.14 dello Statuto della Regione siciliana, attribuisce alla stessa la competenza legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio, conservazione delle antichità e delle opere artistiche (lett. n), e di musei e biblioteche (lett. r) .
La Sicilia ha potuto esercitare tale potestà a partire dal 1975, quando furono emanate le norme di attuazione dello Statuto in materia di "accademie e biblioteche" (D.P.R. 30 agosto 1975, n.635) e in materia di "tutela del paesaggio e di antichità e belle arti" (D.P.R. 30 agosto 1975, n.637).

In realtà, la Regione siciliana non ha mai emanato una propria disciplina organica sostanziale in materia di beni di interesse storico e artistico e di bellezze naturali. Pertanto, hanno subito trovato applicazione anche in ambito regionale le leggi 1 giugno 1939, n.1089 ("Tutela delle cose di interesse artistico e storico") e 29 giugno 1939, n.1497 ("Protezione delle bellezze naturali").

Lo stesso D.P.R. n.637/1975 cit. dispone espressamente al riguardo che l'amministrazione regionale esercita nel territorio della regione tutte le attribuzioni delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato in materia di antichità, opere artistiche e musei, nonché di tutela del paesaggio (primo comma) e che a tal fine tutti gli atti previsti dalle leggi 1° giugno 1939, n. 1089 , e 29 giugno 1939, numero 1497 , e da ogni altra disposizione comunque concernente le materie indicate sono adottati dall'amministrazione regionale.

In particolare, tali principi generali sono stati poi confermati dall'art.21 della l.r. 1 agosto 1977, n.80 (recante "Norme per la tutela, la valorizzazione e l'uso sociale dei beni culturali ed ambientali nel territorio della Regione siciliana") con specifico riferimento al potere di espropriare beni mobili e immobili soggetti alle leggi di tutela per ragione di pubblica utilità "ai sensi degli articoli 54, 55, 56 e 57 della legge 1 giugno 1939, n.1089 e successive modifiche e integrazioni".

Trattasi di un rinvio c.d. dinamico alla normativa statale di settore, con la conseguenza peculiare che continuano a trovare applicazione tutte le norme statali che sostituiscono o modificano quelle oggetto del rinvio stesso.

Ora, com'è noto, le predette leggi nn.1089 e 1497 del 1939 sono state sostituite prima dal Testo unico approvato con D.Lgs. 29 ottobre 1999, n.490, che le ha espressamente abrogate (art.166), le cui disposizioni, per quanto detto, hanno continuato a trovare applicazione in ambito regionale e, da ultimo, dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n.42 che ha espressamente abrogato il predetto decreto legislativo n.490/1999, a decorrere dal 1° maggio 2004 (ai sensi di quanto disposto dall'art.183, D.Lgs. n.42/2004).

Appare evidente che si tratta della sostituzione con una nuova normativa della disciplina sostanziale di fonte statale la quale, in virtù del rinvio dinamico operato dal legislatore regionale alla normativa statale, non può che trovare immediata applicazione in ambito regionale, se e sino a quando la competenza regionale esclusiva non verrà in concreto esercitata.


3. Affermata in generale l'applicabilità in Sicilia del D.Lgs. n.42/2004, occorre soffermarsi sulle specifiche disposizioni del medesimo che concernono l'oggetto.

Il Capo VII della Parte seconda ("Beni culturali") del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n.42, recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio, contiene la disciplina che regola l'espropriazione nell'ambito della legislazione di tutela dei beni culturali (artt.95-100).

In particolare, gli artt. 95, 96 e 97 rispettivamente dispongono che:
"95. Espropriazione di beni culturali.
1. I beni culturali immobili e mobili possono essere espropriati dal Ministero per causa di pubblica utilità, quando l'espropriazione risponda ad un importante interesse a migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica dei beni medesimi.
2. Il Ministero può autorizzare, a richiesta, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente ed istituto pubblico ad effettuare l'espropriazione di cui al comma 1. In tal caso dichiara la pubblica utilità ai fini dell'esproprio e rimette gli atti all'ente interessato per la prosecuzione del procedimento.
3. Il Ministero può anche disporre l'espropriazione a favore di persone giuridiche private senza fine di lucro, curando direttamente il relativo procedimento.".
"96. Espropriazione per fini strumentali.
1. Possono essere espropriati per causa di pubblica utilità edifici ed aree quando ciò sia necessario per isolare o restaurare monumenti, assicurarne la luce o la prospettiva, garantirne o accrescerne il decoro o il godimento da parte del pubblico, facilitarne l'accesso.".
"97. Espropriazione per interesse archeologico.

1. Il Ministero può procedere all'espropriazione di immobili al fine di eseguire interventi di interesse archeologico o ricerche per il ritrovamento delle cose indicate nell'articolo 10. ".

Al fine di affrontare le problematiche suesposte, è opportuno riportare anche gli articoli 98 e 100 su menzionati, che testualmente dispongono che:
"98. Dichiarazione di pubblica utilità.
1. La pubblica utilità è dichiarata con decreto ministeriale o, nel caso dell'articolo 96, anche con provvedimento della regione comunicato al Ministero.
2. Nei casi di espropriazione previsti dagli articoli 96 e 97 l'approvazione del progetto equivale a dichiarazione di pubblica utilità.".

"100. Rinvio a norme generali.
1. Nei casi di espropriazione disciplinati dagli articoli 96 e 97 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni generali in materia di espropriazione per pubblica utilità.".

Si impone innanzitutto una considerazione di carattere generale.
La predetta disciplina dell'espropriazione nell'ambito della legislazione di tutela dei beni culturali ha mantenuto la sua impostazione tradizionale.
Come nella legge del 1939, la disciplina del 1999 e quella (vigente) del 2004 hanno conservato la tradizionale tripartizione in espropriazione del bene (già dichiarato) culturale (art.54, L.1089/1939; poi art. 91, D.Lgs.n.480/1999 e ora art. 95 del D.lgs. n.42/2004), espropriazione per fini strumentali (rispettivamente, artt.55, 92 e 96) ed espropriazione per interesse archeologico (rispettivamente, artt. 56, 93 e 97).

Pur nell'unitaria finalità generale di tutela/fruizione del bene culturale, i tre istituti si differenziano per la funzione specifica perseguita, per l'oggetto e, in parte, per la procedura.
Nel primo caso (espropriazione del bene culturale) il fine è di assicurare la miglior tutela e fruibilità pubblica del bene già conosciuto e dichiarato di interesse culturale (vincolato); in questo caso la dichiarazione di pubblica utilità (ministeriale) coincide con la manifestazione di volontà di assicurare migliori condizioni di tutela e fruibilità del bene vincolato mediante l'acquisto al demanio pubblico. Ai fini della dichiarazione di pubblica utilità (come previsto dall'art. 94 del testo unico del 1999 e, oggi, dal comma 2 dell'articolo 98 del codice del 2004), non è quindi richiesta la previa approvazione di un progetto di intervento.

Nel secondo e nel terzo caso, invece, il fine specifico è quello di isolare o restaurare monumenti, assicurarne la luce o la prospettiva, garantirne o accrescerne il decoro o il godimento da parte del pubblico, facilitarne l'accesso, ovvero di eseguire ricerche archeologiche; l'oggetto è un immobile che non è (o non è ancora) stato dichiarato di interesse culturale (vale a dire l'immobile, in sé privo di interesse culturale, confinante o vicino a quello vincolato, oppure l'area sulla quale eseguire le ricerche archeologiche); la dichiarazione di pubblica utilità richiede l'approvazione di un progetto (di isolamento o restauro etc. del monumento, ovvero della ricerca archeologica), come espressamente previsto (già dall'art. 94, comma 2, del testo unico del 1999) dall'art.98, comma 2, del vigente codice del 2004 (v. T.a.r. Campania, Napoli, Sez. V, 4 gennaio 2007, n. 40).


4. Alla luce di quanto esposto, in ordine alle due specifiche problematiche sollevate da codesto Dipartimento, si può osservare quanto segue.

Il D.L.gs. n.42/2004 cit. va applicato, secondo quanto previsto dal D.P.R. n.637/1975 cit., intestando alle autorità regionali competenti le funzioni assegnate al Ministero.
Pertanto, la medesima possibilità concessa dall'art.95, secondo comma, D.Lgs. n.42/2004 al Ministero di autorizzare, a richiesta, gli enti pubblici territoriali (nonché ogni altro ente ed istituto pubblico) ad effettuare l'espropriazione di cui al comma 1, va riconosciuta, in ambito regionale, a codesta Amministrazione che, come specifica la norma, in tal caso dichiarerà la pubblica utilità ai fini dell'esproprio e rimetterà gli atti all'ente interessato per la prosecuzione del procedimento.

Infatti, la norma ha innovato rispetto alle due corrispondenti norme che l'avevano preceduta, le quali disponevano rispettivamente che "Il Ministro per l'educazione nazionale può autorizzare l'espropriazione a favore delle province, dei comuni o di altro ente o istituto legalmente riconosciuto" (art.54, secondo comma, L.n.1089/1939 cit.) e che "L'espropriazione può essere disposta a favore delle regioni, delle province, dei comuni, di altro ente pubblico o di persona giuridica privata senza fini di lucro" (art.91, secondo comma, D.Lgs. n.490/1999), intestando, com'è evidente, l'intera procedura espropriativa in capo al Ministero (Amministrazione regionale competente).

In conclusione, per quanto detto, e con specifico riferimento all'ambito regionale, il comma 2 dell'art.95 introduce una fattispecie differenziata nell'eventualità in cui l'ente pubblico territoriale richieda espressamente alla Regione l'esproprio di un bene culturale.
In tal caso l'ente non può agire in piena autonomia, ma deve passare, previa richiesta, attraverso una specifica autorizzazione regionale.
Nel caso in cui siffatta autorizzazione venga accordata, alla Regione permarrà la competenza all'adozione del provvedimento declaratorio della pubblica utilità, mentre la competenza alla prosecuzione del procedimento espropriativo sarà trasferita all'ente locale interessato.

Si tratta, in ultima analisi, di una fattispecie complessa in cui sono diverse le istanze autoritative che sovrintendono alla conduzione del procedimento espropriativo diretto del bene culturale e dove, oltre all'ipotesi generale contemplata al comma 1, viene conferita anche agli enti locali territoriali ed agli altri enti pubblici ivi enunciati la qualità di autorità espropriante ex art.3 del T.U. in materia di espropriazione per pubblica utilità varato con il D.P.R. 8 giugno 2001, n.327, pur non dandosi mai l'assenza partecipativa dell'autorità regionale, nella misura vista sopra.


5. Per quanto concerne il secondo quesito, e cioè se la medesima possibilità prevista dall'art.95, secondo comma, D.Lgs. n.42/2004 cit. possa essere estesa alle due fattispecie previste dai successivi artt. 96 e 97, si osserva quanto segue.

Come visto sopra, si tratta di due differenti tipologie espropriative definite in dottrina come "strumentali", proprio in quanto non tendono all'acquisizione diretta di beni culturali privatimasono comunque finalizzate ad un rafforzamento della loro tutela che, in questi casi, passa attraverso la necessità di espropriare immobili non culturali ma in rapporto diretto con quelli culturali.

Partendo dall'esame dell'art.96 cit., che disciplina la "Espropriazione per fini strumentali", va innanzitutto rilevato che la norma non specifica la competenza amministrativa all'esproprio, a differenza degli artt.95 e 97 che la affidano al Ministero (in Sicilia: Amministrazione regionale).

Passando ad un'analisi sistematica dell'impianto normativo, è di ausilio l'art.100, D.lgs. n.42/2004 cit. che (nei casi di espropriazione previsti dagli artt.96 e 97) rinvia, per tutto quanto non previsto, alle disposizioni generali in materia di espropriazione per pubblica utilità, in quanto compatibili, che sono da rinvenirsi nel D.P.R. 8 giugno 2001, n.327, recante il Testo Unico in materia di espropriazione per pubblica utilità (in seguito: T.U. espropri), stante il carattere universalistico di quest'ultimo.
La norma è speculare all'art.52, T.U. espropri che, -facendo ancora riferimento al precedente testo unico dei beni culturali adottato con D.Lgs. 29.10.1999, n.490 ed ora abrogato dal nuovo D.Lgs. n.42/2004-, testualmente dispone che:
"L'espropriazione di beni culturali. 1. Nei casi di espropriazione per fini strumentali e per interesse archeologico, previsti dagli articoli 92, 93 e 94 del testo unico approvato con il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, si applicano in quanto compatibili le disposizioni del presente testo unico.".

Ora, com'è noto, il T.U. espropri è incardinato sul principio generale per cui l'autorità competente alla realizzazione dell'opera, è anche competente per lo strumentale procedimento espropriativo.

Tuttavia, va ricordato che il predetto principio generale del T.U. espropri è qui derogato dalla norma speciale di cui all'art.98 D.Lgs. n.42/2004 cit. che incardina la competenza in ordine alla dichiarazione di pubblica utilità (cui equivale l'approvazione del progetto) in capo al Ministero (in Sicilia: amministrazione regionale).

Al riguardo, per completezza, non si può sottacere che una parte della dottrina, proprio partendo dalla duplice considerazione che gli enti pubblici territoriali non possono dichiarare la pubblica utilità, per la preclusione di cui al citato art.98, comma 1 e che il Codice, laddove ha voluto, ha espressamente previsto, come accaduto, per l'espropriazione diretta del bene culturale, con l'art.95, comma 2 che la procedura espropriativa sia portata avanti da un'autorità diversa, sostiene che la competenza espropriativa ex art.96, D.Lgs. n.42/2004 si intesti unicamente in capo (al Ministero) alla Regione siciliana, così relegando il ruolo degli enti locali territoriali a quello di meri promotori (cfr. "Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A.Sandulli, Giuffrè editore, Milano 2006, pag.675).

Tuttavia, pare allo Scrivente che il legislatore del Codice non abbia inteso precludere agli enti locali territoriali, che potrebbero essere interessati, in quanto titolari di beni culturali, alla diretta acquisizione di aree private per gli scopi di cui all'art.96, di curare di loro autonoma iniziativa l'interesse pubblico di cui sono portatori nelle forme dell'art.96 stesso, ferma restando la competenza alla dichiarazione di pubblica utilità/approvazione del progetto in capo all'Amministrazione regionale.
Quindi, anche per questa ipotesi, si ritiene che la Regione possa, a richiesta, autorizzare gli enti locali territoriali a proseguire il procedimento espropriativo (in tal senso, in dottrina, v. T.Alibrandi, P.G.Ferri, I beni culturali ed ambientali, Milano, 2001, 605, nella vigenza del precedente Testo Unico, e M.Cammelli, W.Gasparri, Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, 2004, 400).

Per quanto concerne, invece, la fattispecie di cui all'art.97 cit., trattandosi di espropriazione al fine di eseguire interventi di interesse archeologico o ricerche per il ritrovamento di beni archeologici, la dottrina è concorde nel ritenere che la riserva procedimentale al Ministero (in Sicilia: autorità regionale) "è totale e monta sino alla dichiarazione di pubblica utilità" (v.art.98 cit.). Le ragioni della scelta legislativa sono fatte risalire "alla tradizionale appartenenza allo Stato (Regione siciliana) dei materiali di interesse archeologico e, più latamente, artistico-culturale che siano reperiti nel sottosuolo. Se si tratta, infatti, di cose indicate nell'art.10, il loro ritrovamento, da chiunque effettuato, ne comporta l'automatica attribuzione... alla proprietà dello Stato (Regione siciliana), ai sensi degli artt. 822 e 826 c.c." (le citazioni sono tratte da M.A Sandulli, cit.)

Nelle superiori considerazioni è il parere dello Scrivente.


A termini dell'art. 15 del regolamento approvato con D.P.Reg. 16 giugno 1998, n. 12, lo Scrivente acconsente alla diffusione del presente parere in relazione ad eventuali domande di accesso inerenti il medesimo.
Codesta Amministrazione vorrà comunicare, entro novanta giorni dalla ricezione, l'eventuale possibilità che il parere stesso inerisca una lite, ovvero se intende differirne la pubblicazione sino all'adozione di eventuali provvedimenti amministrativi. Decorso tale termine senza alcuna comunicazione in tal senso si consentirà la diffusione sulla banca dati "FoNS", giusta delibera di Giunta regionale n. 229 dell'8 luglio 1998.

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