POS. I Prot. 19362 - 167.09.11 Palermo 04/12/2009

OGGETTO: D.Lgs. 27 ottobre 2009, n.150, pubblicato in G.U.R.I. n.254 del 31 ottobre 2009, S.O. n.197, entrato in vigore il 15 novembre u.s. - Applicabilità nella Regione siciliana.


PRESIDENZA DELLA REGIONE SICILIANA -
Ufficio di Gabinetto on.le Assessore

SEDE

1. Con nota pervenuta il 20 ottobre 2009, codesto Ufficio ha chiesto allo Scrivente se, e in che misura, trovi applicazione in ambito regionale il Decreto Legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n.15 in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, in attesa di pubblicazione.
Al riguardo, premesso che la riforma investe molteplici e differenti materie per cui "anche per questa ragione diventa problematico individuare quali norme si applichino direttamente alla Regione siciliana, quali non trovino attuazione e quali necessitino di un recepimento", si sottolinea:
- che l'art.1, comma 2, della legge regionale 15 maggio 2000, n.10, nel disciplinare l'organizzazione degli uffici dell'Amministrazione regionale ed i rapporti di lavoro e d'impiego alle dipendenze della Regione e degli enti pubblici non economici sottoposti a vigilanza e/o controllo della Regione, rinvia, per quanto non previsto dal legislatore regionale, alle disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modifiche ed integrazioni (ora, D.Lgs. 30 marzo 2001, n.165);
- che il D.lgs. in oggetto, all'art.74, enumera gli articoli rientranti nell'esercizio della potestà legislativa esclusiva dello Stato (primo comma) e quelli che recano norme di diretta attuazione dell'art.97, Cost. e che costituiscono principi generali dell'ordinamento, ai quali le Regioni devono adeguarsi (secondo comma);
- che il medesimo art.74, al comma 5, prescrive che "Le disposizioni del presente decreto legislativo si applicano nei confronti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione";
- che "le norme indicate quali vigenti nell'intero territorio nazionale o quali recanti principi generali dell'ordinamento rimandano non di rado a istituti contemplati da normativa che invece sembrerebbe non investire la potestà legislativa delle regioni, specie se ad autonomia speciale".
Codesto ufficio ha altresì chiesto allo Scrivente di esprimere il proprio avviso sugli effetti delle previsioni contenute nella legge 18 giugno 2009, n.69, in tema di trasparenza e semplificazione, che modificano il D.Lgs. n.165/2001.


2. Sulla questione suesposta, quale premessa di metodo funzionale alla necessaria ermeneutica del testo proposto per il parere, si osserva quanto segue:
* la valutazione dell'impatto delle nuove disposizioni sull'ordinamento regionale è stata condotta alla luce dei principi che regolano i rapporti tra legislazione statale e legislazione regionale e delle significativa giurisprudenza costituzionale formatasi sul tema. E ciò, ovviamente, tenendo conto delle peculiarità dello Statuto speciale della Regione siciliana, che riconosce alla medesima competenza legislativa esclusiva in materia di "ordinamento degli uffici e degli enti regionali" (art.14, lett. p),statuto) e "stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della Regione, in ogni caso non inferiore a quello del personale dello Stato" (art.14, lett. q), statuto).
* preliminarmente, si è ritenuto funzionale procedere ad un'attenta ed analitica disamina delle nuove disposizioni ultraregionali, e ciò al fine di inquadrarle correttamente sotto il profilo contenutistico e della tecnica normativa;
* il 9 ottobre 2009 il Consiglio dei Ministri ha approvato il testo del Decreto Legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n.15 (c.d. riforma Brunetta) in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni. Il D.Lgs. 27 ottobre 2009, n.150 è stato pubblicato in G.U.R.S. n.254 del 31 ottobre 2009, S.O. n.197 ed è entrato in vigore il 15 novembre u.s..

3. Il corpus normativo consta di 74 articoli.
A una lettura complessiva degli stessi si rileva:
1. solo alcune disposizioni, quelle contenute nel Titolo IV, recano modifiche testuali del D.Lgs. 30 marzo 2001, n.165 e quindi, per il rinvio dinamico operato dalla legge regionale n. 10/2000, per esse l'immediato tema di indagine è la piena vigenza a decorrere dal 15 novembre u.s. nel territorio regionale;
2. altre disposizioni - che, peraltro, costituiscono il vero quid novi della riforma (sintetizzato nel titolo stesso del decreto legislativo "ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni") - fissano principi nuovi per l'ordinamento statale (e regionale). Più in dettaglio il complesso di norme introduce nuovi istituti, e, nel contempo, interviene su istituti giuridici già disciplinati dal D.Lgs. n.165/2001 cit. che sono stati (testualmente) modificati.
Il complesso normativo consta di cinque diverse aggregazioni funzionali di norme:
- una prima parte (artt.2-31) ha ad oggetto il ciclo della performance di strutture e dipendenti, e la sua valutazione considerata come fondamentale strumento per premiare il merito;
- una seconda parte, che comprende gli articoli 34, 35 e da 37 a 47, contiene modifiche alle norme del Capo II del D.Lgs. n.165/2001 in materia di dirigenza pubblica e ciò, come si evince dall'art.37 ("Oggetto, ambito di applicazione e finalità"), proprio al fine, tra l'altro, di conseguire una migliore organizzazione dell'attività gestita attraverso la realizzazione di adeguati livelli di produttività del lavoro pubblico, il riconoscimento di meriti e l'accertamento di demeriti, entrambi espressamente evidenziati nello stesso testo normativo;
- una terza parte, che comprende gli artt.33, 36 e da 53 a 66 (salvo l'art.62 sopra citato) modifica in modo rilevante le relazioni sindacali e la contrattazione collettiva. Qui le modifiche al D.Lgs. n.165/2001 cit. restringono (molto) le materie di competenza della contrattazione, modificando la ripartizione delle materie tra legge e contrattazione stessa.
- gli articoli da 67 a 73 hanno ad oggetto le sanzioni disciplinari e la responsabilità dei dipendenti pubblici;
- alcune norme (artt. da 48 a 52) modificano il Capo II del Titolo II del D.Lgs. n.165/2001 cit. in materia di "Uffici, piante organiche, mobilità e accessi", mentre due - gli artt.52 e 62 - riguardano la disciplina del "Rapporto di lavoro", come normato dal Titolo III del D.Lgs. n.165/2001 cit.
Infine, il legislatore ha espressamente dettato alcune norme di chiusura, relative all'applicabilità delle diverse parti del decreto alle Regioni, fornendo cosi precisi parametri per l'adozione di ogni atto ulteriore da parte dei soggetti istituzionali coinvolti.

4. In questa ottica, in breve e in dettaglio, si osserva che:

Titolo I

Il Titolo I reca i "Principi generali", fissando l'oggetto e le finalità della legge (art.1).
In particolare, l'art.1, comma 1, così dispone: "In attuazione degli articoli da 2 a 7 della legge 4 marzo 2009, n. 15, le disposizioni del presente decreto recano una riforma organica della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, di cui all'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, intervenendo in particolare in materia di contrattazione collettiva, di valutazione delle strutture e del personale delle amministrazioni pubbliche, di valorizzazione del merito, di promozione delle pari opportunità, di dirigenza pubblica e di responsabilità disciplinare. Fermo quanto previsto dall'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recano altresì norme di raccordo per armonizzare con la nuova disciplina i procedimenti negoziali, di contrattazione e di concertazione di cui all'articolo 112 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n.18, e ai decreti legislativi 12 maggio 1995, n.195, 19 maggio 2000, n.139, 13 ottobre 2005, n.217, e 15 febbraio 2006, n.63".

Titolo II

Il Titolo II ("Misurazione, valutazione e trasparenza della performance"ed il Titolo III ("Merito e premi") dall'art. 2 al 31 disciplinano il tema centrale ed oggettivamente innovativo della riforma, cioè l'introduzione di sistemi di valorizzazione della produttività e del merito per le finalità e secondo i principi fissati agli artt. 2 e 3.
L'art. 3, in particolare, specifica l'ambito di valutazione e misurazione della performance, chiarendo che la procedimentalizzazione dei relativi percorsi ha ad oggetto ogni segmento di tale percorso, e riguarda ogni singolo centro responsabile della realizzazione dell'attività amministrativa, sia esso rinvenibile nel singolo dipendente, sia esso riferibile alla struttura (semplice o complessa) nella quale il dipendente lavora. Con ciò estendendo integralmente alla attività della p.a. le tecniche di gestione aziendale già in uso da tempo presso il sistema imprenditoriale gestito dai privati. Le norme del Titolo II prevedono lo sviluppo di un preciso ciclo di gestione della performance, organizzativa ed individuale.
All'art.4, si introduce, tra le altre innovazioni, il c.d. controllo concomitante di gestione per la realizzazione di eventuali e immediati correttivi dell'azione "on line", e si amplia esplicitamente la platea dei destinatari dell'esito del controllo anche ai cittadini, agli utenti e ai destinatari dei servizi attraverso quegli strumenti di comunicazione - ex art. 3, comma 3 - che garantiscono la massima trasparenza delle informazioni.
L'art. 5, a completamento, enuclea e definisce obiettivi ed indicatori da inserire nella programmazione e da verificare nell'ambito del ciclo della gestione della performance, mentre il successivo art.6 chiarisce che il monitoraggio della performance, e, quindi la verifica connessa, va fatta alla luce degli obiettivi programmati e delle risultanze dei sistemi di controllo di gestione.
La misurazione e valutazione della quantità e qualità di lavoro previste gli artt.7 e ss. viene espressamente riferita alla performance organizzativa ed alla performance individuale (artt. 8 e 9) la cui analisi è da rendersi formalmente alla stregua del piano triennale delle performance e della relazione (a consuntivo) sulle performance stesse. (cfr. art. 10).
Si prevede, infine, che il ciclo di gestione della performance e la rendicontazione dei risultati vadano coniugate con l'obiettivo della massima trasparenza (art.11) strumentale all'attivazione di forme diffuse di controllo ad opera di associazioni dei consumatori e degli utenti.
Quanto ai soggetti del processo di misurazione e valutazione della performance (art.12) la legge prevede la creazione ex novo di organi:
a) l'istituzione di una Commissione per la valutazione, trasparenza ed integrità delle amministrazioni pubbliche che deve fissare criteri generali cui attenersi per gestire il ciclo della performance, nonchè modelli di sistemi di valutazione e indicatori, fornendo supporto alle amministrazioni (art.13);
b) un Organismo indipendente di valutazione della performance presso ogni amministrazione (art.14);
c) un preciso ruolo di responsabilità per l'organo di indirizzo politico-amministrativo di ciascuna amministrazione (art.15).
Il Titolo II è chiuso dall'art.16, rubricato "Norme per gli Enti territoriali e il Servizio Sanitario Nazionale", che dispone testualmente che:
"1. Negli ordinamenti delle regioni, anche per quanto concerne i propri enti e le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale, e degli enti locali trovano diretta applicazione le disposizioni dell'articolo 11, commi 1 e 3.
2. Le regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti ai principi contenuti negli articoli 3, 4, 5, comma 2, 7, 9 e 15, comma 1.
3. Nelle more dell'adeguamento di cui al comma 2, da attuarsi entro il 31 dicembre 2010, negli ordinamenti delle regioni e degli enti locali si applicano le disposizioni vigenti; decorso il termine fissato per l'adeguamento si applicano le disposizioni previste nel presente titolo sino all'emanazione della disciplina regionale e locale.".
Dunque, il legislatore, all'art.16 ha stabilito per regioni (a statuto ordinario) ed enti locali:
a) al primo comma l'immediata vigenza dell'obbligo della trasparenza ex art. 11, commi 1 e 3 - intesa come accessibilità totale delle informazioni relative ad ogni aspetto dell'organizzazione ed, in particolare, di ogni fase del ciclo della performance. Sullo stesso tema interviene anche l'art.74, primo comma, che qualifica l'obbligo ex art. 11 appena citato come livello minimo essenziale relativo alle prestazioni attinenti a diritti civili e sociali e, dunque, rientrante nella competenza esclusiva dello Stato ex art.117, secondo comma, lettera m) della Costituzione;
b) al secondo ed al terzo comma, stabilisce ancora che per le previsioni indicate agli artt. 3, 4, 5,comma 2, 7, 9 e 15 comma 1 le regioni (a statuto ordinario) e gli enti locali hanno una moratoria di un anno per adeguare i rispettivi ordinamenti alla nuova disciplina fino al 31.12.2010. Fino a tale data non si applica la normativa nazionale, mentre trascorso il termine del 31.12.2010 senza che gli enti suindicati abbiano provveduto, vige la normativa nazionale, sino alla emanazione della disciplina regionale e locale. Va sottolineato che gli articoli espressamente richiamati contengono previsioni di carattere generale e introducono principi cui improntare l'azione gestionale, mentre sono escluse le singole modalità applicative, evidentemente rimesse all'autonomia degli enti territoriali.
Queste stesse disposizioni sono, peraltro, qualificate dall'art.74, secondo comma, come "norme di diretta attuazione dell'art.97, Cost." e come "principi generali dell'ordinamento ai quali si adeguano le Regioni e gli Enti locali".

Titolo III

Nel Titolo III si disciplina in modo puntuale il profilo del merito (e della produttività correlata al raggiungimento degli obiettivi) cui, per la prima volta, vengono ancorate la progressione economica e quella di carriera.
In dettaglio, il legislatore persegue questo scopo attraverso la disciplina degli strumenti di valorizzazione del merito in cui la differenziazione delle valutazioni viene considerata alla base di sistemi premianti selettivi e puntualmente disciplinati. Vengono normati i criteri e le modalità per la valorizzazione del merito, per l'incentivazione della performance (art.18) e per la differenziazione delle valutazioni (art.19) e definiti gli strumenti per premiare il merito (art.20): il bonus annuale delle eccellenze (art.21), il premio annuale per l'innovazione: art.22), le progressioni economiche (art.23), le progressioni di carriera (art.24), attribuzione di incarichi e responsabilità (art.25), accesso a percorsi di alta formazione e di crescita professionale (art.26), premio di efficienza (art.27).
Il Capo III del Titolo in commento detta le "Norme finali, transitorie e abrogazioni" (artt.29-31).
In particolare:
- l'art.29 dispone che: "(Inderogabilità) 1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 31, per le regioni, anche per quanto concerne i propri enti e le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale, e per gli enti locali, le disposizioni del presente Titolo hanno carattere imperativo, non possono essere derogate dalla contrattazione collettiva e sono inserite di diritto nei contratti collettivi ai sensi e per gli effetti degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile, a decorrere dal periodo contrattuale successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto";
- l'art.31 dispone che: "(Norme per gli Enti territoriali e il Servizio Sanitario Nazionale) 1. Le Regioni, anche per quanto concerne i propri enti e le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale, e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti ai principi contenuti negli articoli 17, comma 2, 18, 23, commi 1 e 2, 24, commi 1 e 2, 25, 26 e 27, comma 1.
2. Le regioni, anche per quanto concerne i propri enti e le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale, e gli enti locali, nell'esercizio delle rispettive potestà normative, prevedono che una quota prevalente delle risorse destinate al trattamento economico accessorio collegato alla performance individuale venga attribuita al personale dipendente e dirigente che si colloca nella fascia di merito alta e che le fasce di merito siano comunque non inferiori a tre.
3. Per premiare il merito e la professionalità, le regioni, anche per quanto concerne i propri enti e le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale, e gli enti locali, oltre a quanto autonomamente stabilito, nei limiti delle risorse disponibili per la contrattazione integrativa, utilizzano gli strumenti di cui all'articolo 20, comma 1, lettere c), d), e) ed f), nonché, adattandoli alla specificità dei propri ordinamenti, quelli di cui alle lettere a) e b). Gli incentivi di cui alle predette lettere a), b), c) ed e) sono riconosciuti a valere sulle risorse disponibili per la contrattazione collettiva integrativa.
4. Nelle more dell'adeguamento di cui al comma 2, da attuarsi entro il 31 dicembre 2010, negli ordinamenti delle regioni e degli enti locali si applicano le disposizioni vigenti alla data dell'entrata in vigore del presente decreto; decorso il termine fissato per l'adeguamento si applicano le disposizioni previste nel presente titolo sino all'emanazione della disciplina regionale e locale.".
Pertanto, così come per il Titolo II, anche per il Titolo III per le Regioni (a statuto ordinario) e gli Enti locali le norme sulla c.d. meritocrazia, quindi, non entrano in vigore immediatamente.
Le Regioni devono adeguare i propri ordinamenti ai principi contenuti nel titolo III entro il 31 dicembre 2010 (v. art.31, primo e terzo comma). In particolare, nelle more dell'adeguamento, negli ordinamenti delle Regioni si applicano le disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della riforma; decorso il termine del 31 dicembre 2010 si applicano le nuove disposizioni sino all'adozione delle norme regionali (art.31, terzo comma).
Anche in questo caso il legislatore indica le norme specifiche che recano i principi cui adeguarsi. Si tratta degli artt.17, comma 2, 18, 23, commi 1 e 2, 24, commi 1 e 2, 25, 26 e 27, comma 1. Queste stesse norme sono qualificate dall'art.74, secondo comma principi generali dell'ordinamento ai quali le Regioni (a statuto ordinario) e gli Enti locali devono adeguarsi.
In particolare, le Regioni devono definire le fasce entro le quali collocare il personale dirigenziale e non dirigenziale, che devono essere almeno tre, ai fini dell'erogazione delle incentivazioni legate alla performance e devono destinare la "quota prevalente" delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance individuale al personale dirigente e dipendente che si colloca in fascia di merito alta (art.31, secondo comma).
Al contempo, per le Regioni le disposizioni del Titolo III sono qualificate norme imperative che non possono essere derogate dalla contrattazione collettiva e che sono inserite di diritto nei contratti collettivi secondo il meccanismo previsto agli artt. 1339 e 1419 c.c., a decorrere dal periodo contrattuale successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della riforma (art.29).

Titolo IV

Il Titolo IV (artt.32-73) tratta di dirigenza pubblica, contrattazione collettiva, rapporto di lavoro e sanzioni disciplinari (vedi supra), recando modifiche testuali al D.Lgs. n.165/2001 cit. cui la legge regionale n. 10/2000 specificamente rinvia.
In particolare, va osservato che, sul piano delle fonti di disciplina del pubblico impiego, il D.Lgs. n.150/2009 ridefinisce i confini tra legge e contratto collettivo.
La nuova disciplina, infatti, restringe notevolmente le materie di competenza della contrattazione (v. art.40, D.Lgs. n.165/2001 come sostituito dall'art.54); introduce il principio dell'inderogabilità della legge da parte della contrattazione, a meno di specifica indicazione della legge stessa (v. art.2, comma 2, D.Lgs. n.165/2001 come modificato dall'art.33), e prevede specificamente l'inserimento automatico delle norme di legge in sostituzione delle disposizioni contrattuali nulle, come previsto agli artt.1339 e 1419 c.c. (v. art.2, comma 3-bis, D.Lgs. n.165/2001 come inserito dall'art.33); prevede la possibilità per l'amministrazione, qualora non si raggiunga l'accordo in sede di contrattazione decentrata, di dare corso unilateralmente al rinnovo contrattuale (v. art.40, D.Lgs. n.165/2001, ai commi 3-ter e 3-quater, come sostituito dall'art.54).
Quanto alla contrattazione collettiva del comparto regioni ed autonomie locali, l' art.65 dispone che:
1- "(Adeguamento ed efficacia dei contratti collettivi vigenti) - 1. Entro il 31 dicembre 2010, le parti adeguano i contratti collettivi integrativi vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto alle disposizioni riguardanti la definizione degli ambiti riservati, rispettivamente, alla contrattazione collettiva e alla legge nonché a quanto previsto dalle disposizioni del Titolo III del presente decreto.
2. In caso di mancato adeguamento ai sensi del comma 1, i contratti collettivi integrativi vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto cessano la loro efficacia dal 1° gennaio 2011 e non sono ulteriormente applicabili.
3. In via transitoria, con riferimento al periodo contrattuale immediatamente successivo a quello in corso, definiti i comparti e le aree di contrattazione ai sensi degli articoli 40, comma 2, e 41, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come sostituiti, rispettivamente, dagli articoli 54 e 56 del presente decreto legislativo, l'ARAN avvia le trattative contrattuali con le organizzazioni sindacali e le confederazioni rappresentative, ai sensi dell'articolo 43, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, nei nuovi comparti ed aree di contrattazione collettiva, sulla base dei dati associativi ed elettorali rilevati per il biennio contrattuale 2008-2009. Conseguentemente, in deroga all'articolo 42, comma 4, del predetto decreto legislativo n. 165 del 2001, sono prorogati gli organismi di rappresentanza del personale anche se le relative elezioni siano state già indette. Le elezioni relative al rinnovo dei predetti organismi di rappresentanza si svolgeranno, con riferimento ai nuovi comparti di contrattazione, entro il 30 novembre 2010.
4. Relativamente al comparto regioni e autonomie locali, i termini di cui ai commi 1 e 2 sono fissati rispettivamente al 31 dicembre 2011 e al 31 dicembre 2012, fermo restando quanto previsto dall'articolo 30, comma 4.
5. Le disposizioni relative alla contrattazione collettiva nazionale di cui al presente decreto legislativo si applicano dalla tornata successiva a quella in corso.".
In breve, le parti devono adeguare i contratti collettivi integrativi vigenti alla data di entrata in vigore della riforma alle disposizioni riguardanti la definizione degli ambiti riservati, rispettivamente, a legge e contrattazione collettiva nonchè alle disposizioni del Titolo III entro il 31 dicembre 2011. In caso di mancato adeguamento i contratti collettivi integrativi vigenti alla data di entrata in vigore della riforma cessano di avere efficacia al 31 dicembre 2012 (v. art.65, commi 1, 2 e 4; v. anche art.74, primo comma; per la Regione siciliana v. infra);

Titolo V

Il Titolo V contiene, in un unico articolo, le norme transitorie e finali e così testualmente dispone:
"Art. 74. (Ambito di applicazione) 1. Gli articoli 11, commi 1 e 3, da 28 a 30, da 33 a 36, 54, 57, 61, 62, comma 1, 64, 65, 66, 68, 69 e 73, commi 1 e 3, rientrano nella potestà legislativa esclusiva esercitata dallo Stato, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere l) ed m) della Costituzione.
2. Gli articoli 3, 4, 5, comma 2, 7, 9, 15, comma 1, 17, comma 2, 18, 23, commi 1 e 2, 24, commi 1 e 2, 25, 26, 27, comma 1, e l'articolo 62, commi 1-bis e 1-ter recano norme di diretta attuazione dell'articolo 97 della Costituzione e costituiscono principi generali dell'ordinamento ai quali si adeguano le Regioni e gli Enti locali, anche con riferimento agli Enti del Servizio sanitario nazionale, negli ambiti di rispettiva competenza.
3. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri sono determinati, in attuazione dell'articolo 2, comma 5, della legge 4 marzo 2009, n.15, limiti e modalità di applicazione delle disposizioni, anche inderogabili, del presente decreto alla Presidenza del Consiglio dei ministri, anche con riferimento alla definizione del comparto autonomo di contrattazione collettiva, in considerazione della peculiarità del relativo ordinamento, che discende dagli articoli 92 e 95 della Costituzione. Fino alla entrata in vigore di ciascuno di tali decreti, alla Presidenza del Consiglio dei ministri continua ad applicarsi la normativa previgente.
4. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono determinati i limiti e le modalità di applicazione delle disposizioni dei Titoli II e III del presente decreto al personale docente della scuola e delle istituzioni di alta formazione artistica e musicale, nonché ai tecnologi e ai ricercatori degli enti di ricerca. Resta comunque esclusa la costituzione degli Organismi di cui all'articolo 14 nell'ambito del sistema scolastico e delle istituzioni di alta formazione artistica e musicale.
5. Le disposizioni del presente decreto legislativo si applicano nei confronti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione.".


5. Richiamati, necessariamente per sommi capi, i contenuti della normativa per cui è parere così come applicabili alle Regioni a statuto ordinario occorre sottolineare che nella Regione siciliana l'applicabilità delle norme suindicate è soggetta a peculiarità che ne condizionano decisamente l'integrale ed immediata efficacia.
Occorre partire da due dati normativi:
1) lo stesso legislatore statale ha espressamente disposto all'art.74, quinto comma, D.Lgs. n.150/2009 cit. che: "Le disposizioni del presente decreto legislativo si applicano nei confronti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione", rimarcando la differenza di regime per questi ultimi rispetto alle regioni a statuto ordinario;
2) lo Statuto speciale vigente attribuisce alla Regione Siciliana competenza esclusiva in materia di "ordinamento degli uffici" (art.14, lett. p) e di "stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della Regione" (art.14, lettera q).
Tale competenza esclusiva, nell'attuale ordinamento, è regolata alla luce dei principi generali individuati dalla risalente giurisprudenza della Corte costituzionale.
Ai fini che ci occupano i rapporti tra legislazione statale e legislazione regionale esclusiva si improntano a principi:
a) il c.d. principio della "prevenzione", in virtù del quale, nelle materie di competenza esclusiva della Regione, le leggi statali non trovano applicazione in tutte quelle fattispecie che siano già state regolate da una legge regionale: allorquando ciò avvenga si ha, rispetto alla successiva legislazione statale, un effetto preclusivo1;
b) il principio, "concordemente affermato nella giurisprudenza, secondo il quale, anche nelle materie indicate nell'art. 14 st. reg. sic., trovano applicazione le leggi dello Stato, tanto anteriori quanto posteriori alla istituzione delle Regioni, compresa quindi anche la Sicilia, fino a quando la Regione stessa non si sia avvalsa della potestà legislativa ad essa attribuita". Alla disciplina di fonte statale viene, dunque, riconosciuta efficacia suppletiva, nel senso che può operare in ambito regionale se e fino a quando la Regione non abbia predisposto una propria disciplina (così, Corte Cost. sent. n. 165/1973; v. anche C.Cost., sent. n.18 del 1969).
Dal che deriva, appunto, che ove la Regione abbia invece "in base e nei limiti della riconosciuta potestà, emanato proprie norme legislative", queste ultime prevalgono sulla legislazione statale anche in presenza di diverse disposizioni emanate dal legislatore statale.
Peraltro, solo in queste ultime ipotesi (fattispecie regolate da leggi regionali), l'eventuale scelta del legislatore regionale di applicare le norme statali richiede un apposito intervento legislativo regionale.
Diverso è il caso in cui ricorra uno dei limiti cui è soggetta la potestà legislativa della Regione siciliana, che qui di seguito si passa ad esaminare.
Dopo la riforma del 2001 la potestà legislativa residuale esclusiva delle Regioni a statuto ordinario è sottoposta esclusivamente ai limiti fissati all'art.117, primo comma, Cost. (che sono i soli espressamente indicati dalla Costituzione), per il quale "La potestà legislativa regionale è esercitata ... dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali".
Per le Regioni ad autonomia differenziata, invece, la potestà legislativa, anche dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, continua ad essere definita dai - vecchi - statuti speciali.
Tuttavia, la dottrina, rilevando che la L. cost. n.3/2001 all'art.10 ha introdotto a vantaggio delle predette Regioni una "clausola di maggior favore" - secondo la quale, fino all'adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della riforma, nelle parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite alle Regioni speciali (e delle Province autonome), valgono anche per queste ultime - ha concluso che "visto che alcuni limiti originariamente previsti dagli statuti speciali non sono stati puntualmente ripresi dal nuovo Titolo V, e quindi non dovrebbero essere più applicati (è il caso delle norme fondamentali delle leggi statali di riforma economico-sociale e dei principi generali dell'ordinamento giuridico), la potestà generale - residuale appare senz'altro più vantaggiosa" e, dunque, non dovrebbero più applicarsi nemmeno alle Regioni a statuto speciale.
"Lo ha ammesso anche la Corte costituzionale che, ad esempio, ha escluso l'applicabilità del limite delle norme statali di riforma economico-sociale alla potestà legislativa di una Regione speciale in una materia che, catalogata ai sensi dello statuto tra quelle di potestà primaria (o piena), stando al nuovo art.117 Cost. rientra però nell'ambito della potestà generale - residuale delle regioni ordinarie (cfr. C.cost. n.274/2003)." (così, V.Onida - M.Pedrazza Gordero, Compendio di diritto costituzionale, Giuffrè editore, 2009, pag. 378).
Così, ancora, nella sentenza n. 274 del 2003, il Giudice delle leggi ha affermato che: "Infatti, se - in riferimento alle citate aree - il vincolo di quel limite permanesse pur nel nuovo assetto costituzionale, la potestà legislativa esclusiva delle Regioni (e Province) autonome sarebbe irragionevolmente ristretta entro confini più angusti di quelli che oggi incontra la potestà legislativa <> delle Regioni ordinarie. Per esse infatti - nelle materie di cui al quarto comma del nuovo art. 117 della Costituzione - valgono soltanto i limiti di cui al primo comma dello stesso articolo (e, se del caso, quelli indirettamente derivanti dall'esercizio da parte dello Stato della potestà legislativa esclusiva in <> suscettibili, per la loro configurazione, di interferire su quelle in esame), onde devono escludersi ulteriori limiti derivanti da leggi statali già qualificabili come norme fondamentali di riforma economico-sociale. Pertanto - ai sensi dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 - la particolare <> così emergente dal nuovo art. 117 della Costituzione in favore delle Regioni ordinarie si applica anche alle Regioni a statuto speciale, come la ...., ed alle Province autonome, in quanto <> rispetto a quelle previste dai rispettivi statuti."
Dall'elaborazione della suprema Corte si desume quindi - sia pure solo a contrario - che:
* il limite dei principi fondamentali è superato, e non si può più fondare sullo stesso una compressione dell'autonomia della Regione;
* (anche) la potestà esclusiva della Regione siciliana è soggetta solo ai limiti espressamente indicati dalla Costituzione, dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
La suprema Corte ha, tuttavia, fatto salva quell'"esigenza di tutela dell'unità giuridica ed economica dell'ordinamento, desumibile dagli artt. 5 e 120 Cost." (cfr. sentenza n.274/2003), che dovrebbe impedire l'adozione di leggi regionali del tutto incompatibili con l'ordinamento statale. "Il Titolo V della parte II della Costituzione, così come le corrispondenti disposizioni degli statuti speciali, presuppongono che l'esercizio delle competenze legislative da parte dello Stato e delle Regioni, secondo le regole costituzionali di riparto delle competenze, contribuisca a produrre un unitario ordinamento giuridico, nel quale certo non si esclude l'esistenza di una possibile dialettica fra i diversi livelli legislativi, anche con la eventualità di parziali sovrapposizioni fra le leggi statali e regionali, che possono trovare soluzione mediante il promuovimento della questione di legittimità costituzionale dinanzi a questa Corte, secondo le scelte affidate alla discrezionalità degli organi politici statali e regionali." (così, Corte cost. n.198/2004).

6. Richiamati i principi generali che informano i rapporti tra competenza legislativa esclusiva della Regione siciliana e legislazione statale, occorre ora verificare, con specifico riferimento alla riforma in oggetto:
A) se, e in che misura possa operare il principio c.d. di prevenzione;
B) se, ed in che misura le disposizioni contenute nel D.Lgs. n.150/2009 costituiscano un limite per la potestà esclusiva della Regione siciliana.
A) Sotto il primo profilo, è necessaria una breve ricognizione del quadro normativo regionale ad oggi vigente nella materia del pubblico impiego.
Il legislatore regionale ha esercitato la propria competenza esclusiva ex art.14, lettere p) e q) dello Statuto, regolando direttamente, nel corso degli anni, molti aspetti dello stato giuridico ed economico del personale regionale e dell'organizzazione dei propri uffici e disponendo, solo in alcuni casi, il rinvio, per quanto non autonomamente regolamentato, alla legislazione statale.
In particolare, una riforma organica in materia di organizzazione degli uffici dell'Amministrazione regionale e di rapporti di lavoro e d'impiego alle dipendenze della Regione e degli enti pubblici non economici sottoposti a vigilanza e/o controllo della Regione è stata dettata con la legge regionale 15 maggio 2000, n.10, che ha fatto propri - dopo sette anni dall'entrata in vigore - i principi del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, qualificato dal legislatore statale come grande riforma economico - sociale.
La predetta legge regionale n.10/2000 disciplina direttamente diversi istituti e rinvia, per quanto non previsto, alla normativa statale.
In particolare, per quel che in questa sede interessa, la legge regionale detta specifiche norme in materia di:
- organizzazione amministrativa e dirigenza (Titolo I: artt.1-20);
- commissione di garanzia per la trasparenza, l'imparzialità delle pubbliche amministrazioni (Titolo II: art.21);
- disciplina del rapporto di lavoro e contrattazione collettiva (Titolo III: artt.22-30).
L'impianto normativo è completato, come anticipato, dall'art.1, comma 2, l.r. ult. cit. che dispone testualmente che:
"Per quanto non previsto dalla presente legge si applicano le disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modifiche ed integrazioni (ora, D.Lgs. 30 marzo 2001, n.165), sostituendo al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Consiglio dei Ministri rispettivamente il Presidente della Regione e la Giunta regionale.".
La formulazione adottata dal legislatore regionale ed, in particolare, l'espressione "e successive modifiche ed integrazioni", non pongono in dubbio che il rinvio contenuto nella riportata norma è di tipo dinamico o non recettizio.
Merita, ancora e preliminarmente, di essere ricordato che il quadro normativo regionale deve essere integrato dalle disposizioni di fonte contrattuale (ad oggi pienamente vigenti e suscettive di modifica solo in sede di rinnovo contrattuale o - prima di tale termine - consensualmente), frutto del regime privatistico introdotto dal D.Lgs. n.29/1993 e dalle successive modifiche, prima tra tutte quelle contenute nel D.Lgs. n.165/2001, ora emendato dal D.Lgs n. 150/2009.
B) La verifica in ordine agli - eventuali - limiti che possano comprimere la potestà esclusiva della Regione siciliana e fare ritenere il complesso normativo in esame immediatamente applicabile nel territorio regionale presuppone l'analisi dell'art.74, commi 1 e 2, D.Lgs. n.150/2009 cit.
Invero, il legislatore statale ha "autoqualificato" all'art.74, D.Lgs. n.150/2009:
1) le norme indicate al primo comma, come emanate nell'esercizio della competenza esclusiva dello Stato ex art.117, secondo comma, lettere l) ed m);
2) quelle elencate al secondo comma, come attuazione dell'art.97, Cost., nonchè come principi generali dell'ordinamento giuridico.
Il primo comma dell'art.74 apre un tema di discussione che non ancora ricevuto un assetto definitivo ad opera della Corte costituzionale.
Se, come appena visto, la giurisprudenza costituzionale risalente aveva, in qualche modo, messo a fuoco i principi che devono regolare i rapporti tra legislazione statale e legislazione regionale nelle materie di competenza esclusiva della Regione siciliana, e se il giudice delle leggi si è già espresso in ordine ai limiti che (non) incontra la predetta competenza regionale, rimane ad oggi non chiaro, alla luce del novellato sistema costituzionale delle competenze, il raccordo tra autonomia regionale e regole privatistiche del lavoro pubblico.
La questione attiene ai limiti che la potestà legislativa esclusiva regionale può subire a fronte del processo di privatizzazione del lavoro pubblico per gli evidenti risvolti operativi correlati alla adozione di regole di prevalenza tout court, ovvero di separatezza e/o di integrazione.
In questa sede ci si limiterà a sviluppare le seguenti brevi considerazioni.
Certamente la potestà esclusiva della Regione siciliana, ad essa assegnata in positivo dall'art.14 dello Statuto, si connota diversamente rispetto alla competenza esclusiva delle Regioni a statuto ordinario. Quest'ultima, infatti, alla luce del nuovo art.117, Cost., ha natura residuale ed, in quanto tale, può subire erosioni da parte dello Stato che può ritagliarsi ambiti materiali più ampi, attraendoli nella propria competenza esclusiva.
Quindi, l' (apparente) omogeneità tra le due potestà esclusive (della Regione siciliana e delle Regioni ordinarie) sopra emersa in relazione alla circostanza che subiscono gli stessi limiti (v., sul punto, supra sub 5), viene meno ove si consideri che lo Stato può erodere la competenza residuale delle Regioni ordinarie in materia di lavoro pubblico regionale attraendola - in nome della "convergenza degli assetti regolativi del lavoro pubblico con quelli del lavoro privato" (v. art.2, comma 1, lettera a), della legge delega n.15/2009) - nella competenza esclusiva statale in materia di "ordinamento civile" ex art.117, comma secondo, lettera l).
Ciò per la Regione siciliana non sembra essere possibile proprio in considerazione della diversa natura della competenza esclusiva (non residuale e non comprimibile) in ordine allo "stato giuridico ed economico" del proprio personale, statutariamente spettante ab origine alla Regione siciliana, che dovrebbe impedire la compressione ad opera delle norme statali in esame.
A quest'ultimo riguardo la Corte costituzionale non ha affrontato funditus il tema, e non è ulteriormente intervenuta per esplicitare i principi solo sommariamente enunciati.
In tal senso, sarebbe auspicabile una presa di posizione (sul punto, v. infra sub 10,quanto si dirà in ordine alla possibile impugnativa della legge da parte della Regione siciliana).
In ultimo, va ricordato che al più le disposizioni statali possono limitare l'autonomia regionale sotto il profilo dell'unità giuridica dello Stato ex art.5, Cost..
In ogni caso, comunque, alla luce della risalente giurisprudenza costituzionale sopra richiamata, la normativa statale non potrebbe determinare la disapplicazione delle norme regionali ad oggi vigenti, ma piuttosto attivare l'obbligo per il legislatore regionale di adeguare la propria normativa ai nuovi principi che informano il "pubblico impiego".

7. Tenuto conto delle prerogative statutarie della Regione siciliana e del complesso delle considerazioni sopra svolte, passando all'esame in concreto del D.Lgs. n.150/2009, si può osservare quanto segue.
A) Per quanto riguarda le norme di cui ai Titoli II e III (e, quindi, gli articoli da 2 a 31), l'art.74, al secondo comma, indica gli artt.3, 4, 5, secondo comma, 7, 9, 15, 17, secondo comma, 18, 23, 24, 25, 26, 27, primo comma, 28, 29 e 30, come norme di diretta attuazione dell'art. 97 cost. e che costituiscono principi generali dell'ordinamento ai quali si adeguano le Regioni e gli Enti Locali.
Sono quindi qualificate come relative a "principi generali dell'ordinamento" una serie di norme mirate a regolare il ciclo di gestione delle attività, i sistemi di valutazione e gli strumenti per premiare i dipendenti meritevoli.
Tutte queste norme comportano la modifica, in parti anche rilevanti, delle discipline contenute sia nella contrattazione collettiva, sia in quella decentrata2.
Ed infatti il legislatore nazionale del 2009 ha nella legge di riforma disciplinato istituti e procedure che, sebbene funzionali a istituti già disciplinati, costituiscono ius novum.
In considerazione di ciò, la legge ha assegnato alle Regioni un termine per adeguare il proprio ordinamento ai nuovi principi.
Infatti, in base a quanto disposto dall'art.16, secondo comma, per il Titolo II, e dall'art.31 per il Titolo III (v. supra sub 4), le disposizioni sopra richiamate non trovano immediata applicazione, dovendo le Regioni adeguare il proprio ordinamento ai principi contenuti nelle predette norme entro il 31 dicembre 2010.
Le due norme, nel definire quali disposizioni del decreto siano da considerare come principi e nel ribadire che le Regioni devono adeguare i propri ordinamenti, prevedono che nelle more "negli ordinamenti delle regioni ... si applicano le disposizioni vigenti".
La ratio evidente è che a una riforma cosi complessa ed innovativa occorre apprestare ogni condizione strutturale ed organizzativa per essere applicata, e che va assicurato che l'esigenza delle regioni e degli Enti locali di predisporre per tempo modifiche degli assetti organizzativi e dei procedimenti in linea con le nuove disposizioni, fruisca di un lasso di tempo significativo per la piena operatività degli istituti nuovi e riformati.
Se tale è la ratio è evidente che, al pari delle Regioni a statuto ordinario, quantomeno sino al 31 dicembre 2010, le predette disposizioni non trovano immediata applicazione neanche nella Regione siciliana.
In ogni caso, poi, si ritiene che le predette norme statali non possano comunque trovare ingresso "automatico" nell'ordinamento regionale anche alla fine del periodo di moratoria.
Non sembra possa dubitarsi, infatti, che, per la dirompente forza innovativa delle prescrizioni contenute nella legge statale di riforma, possa prescindersi da un intervento del legislatore regionale che, nel rispetto dell' "unità giuridica" dell'ordinamento e dell'esigenza di uniformità dello stesso, faccia propri i nuovi principi che informano la materia a livello statale.
E ciò sia per le considerazioni sopra svolte sulla portata della potestà esclusiva della Regione siciliana, sia perchè, ad oggi, la materia è ampiamente regolamentata da leggi regionali e/o dalla contrattazione collettiva (principio della c.d. preclusione).
D'altronde lo stesso legislatore statale, anche se soltanto con un accenno finale (v. infra, sub 10), ha espressamente tenuto conto delle autonomie speciali quando ha disposto all'art.74, comma 5, che le disposizioni del D.Lgs. n.150/2009 in esame, si applicano nei confronti delle Regioni a statuto speciale solo se compatibili con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione (v. tuttavia, infra, sub 10, quanto si dirà in ordine alla opportunità di impugnare la legge di cui trattasi).
Merita, comunque, di essere chiarito che, la circostanza che si è in presenza di una riforma particolarmente innovativa, consiglia di escludere una posizione di preclusione tout court alla estensione al territorio regionale dei principi applicati su tutto il territorio nazionale che verrebbe ad incrinare l'esigenza di unitarietà comunque sottolineata dalla Corte costituzionale ex art.5, Cost. comunque potenzialmente sanzionabile dal Giudice delle leggi.
Rimane, peraltro, da valutare nella competente sede politica e, successivamente, legislativa la portata dell'adeguamento della Regione siciliana allo "spirito" della riforma.
B) Più complessa è l'analisi delle disposizioni contenute nel Titolo IV, dal momento che quest'ultimo contiene disposizioni che modificano, integrano o sostituiscono norme del D.Lgs. n.165/2001, e che rispetto a tale testo di legge opera la scelta effettuata dal legislatore regionale del 2000, che, com'è noto, non ha disciplinato autonomamente tutti gli istituti, ma ha rinviato per le parti non espressamente normate al D.Lgs. n.29/1993 e succ. mod. e integraz. (oggi, D.Lgs. n.165/2001) .
Come sopra già ricordato, l'art.1, comma 2, l.r. 10/2000, per la chiara formulazione adottata dal legislatore regionale, che utilizza l'espressione "e successive modifiche ed integrazioni", non pone in dubbio che il rinvio contenuto nella riportata norma è di tipo dinamico o non recettizio ed implica, di conseguenza, l'adozione automatica delle modifiche intervenute nell'ordinamento statale con riferimento alla normativa richiamata (v., in proposito, Consiglio di Stato, sez. IV, 23 ottobre 1973, n.850, che richiama Adunanza plenaria 26 maggio 1959, n.10: "il rinvio formale ad altre norme contenute in una legge, importa che questa abbia una portata sempre valida nel tempo in relazione non solo alle norme preesistenti alla data di entrata in vigore della norma di rinvio, ma anche alle altre emanate successivamente, salvo espressa contraria disposizione legislativa").
Ne consegue, in linea di astratto principio, che nella misura in cui la l.r. n.10/2000 cit. rinvia al d.lgs n. 29/1993 e successive modifiche ed integrazioni, le modifiche e sostituzioni recate dal testo in commento al D.Lgs. n.165/2001 debbano trovare immediata applicazione (anche) nella Regione siciliana.
In questo caso, infatti, l'obbligo di applicare le norme statali nell'ordinamento regionale non deriva da un limite cui soggiace la normativa regionale, e che viene a comprimere l'autonomia legislativa stessa, ma trova fondamento dalla scelta operata dal stesso legislatore regionale di disciplinare la materia rinviando alla legge di fonte statale "e successive modifiche ed integrazioni".
Il quadro normativo regionale nella materia rimane, dunque, ad oggi riferibile a norme regionali e/o contrattuali vigenti e a norme statali contenute nel D.Lgs. n.29/1993 (ora, D.Lgs. n.165/2001) che, per il rinvio dinamico, hanno sinora trovato applicazione, e ciò anche alla luce della nuova formulazione post D.Lgs. n.150/2009.
Se questa è la regola generale, è anche oggettivamente evidente che tali principi generali, sul piano operativo ed in concreto, a fronte di una riforma così innovativa come quella in esame, potrebbero incontrare (e ad avviso di questo Ufficio effettivamente incontrano) ostacoli nella loro concreta applicazione, con la conseguente necessità di un nuovo passaggio normativo del legislatore regionale.
Tal considerazione nasce dall'attento esame delle singole norme statali richiamate, e sulla scorta della considerazione che la legge regionale di recepimento "può assumere carattere normativo sostanziale quando ... non si limiti ad una mera novazione della fonte, ma si presenti, attraverso un processo di rielaborazione o attraverso modifiche parziali di questa o quella norma della legge statale, quale concreta rivelazione di una precisa manifestazione di esercizio di autonoma potestà legislativa" (v. Corte Cost. n.165/1973).
Ed invero, alcune norme della l.r. n.10/2000 cit., pur, disciplinando direttamente singoli istituti, richiamano in maniera generica lo "spirito" che informa(va) il D.Lgs. n.29/1993 e succ. mod, e la ratio complessiva di un sistema che all'atto del rinvio il Legislatore regionale ha considerato idoneo a regolare anche nel territorio isolano alcune peculiari materie. Ne è riprova, ad esempio, l'art.24, l.r. n.10/2000 cit., che nel disciplinare la "Contrattazione collettiva", dispone che essa si svolge "in conformità a quanto stabilito nel titolo III del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29".
E' evidente che al di là della mera applicabilità delle singole norme e pur in presenza del c.d. rinvio dinamico, ricostruire il quadro normativo regionale alla luce della riforma in oggetto, adeguandone l'impianto alla nuova impostazione voluta dal Legislatore nazionale, costituisce, ad avviso di questo Ufficio, passaggio normativo ineludibile.
Ne consegue che, ogni determinazione consultiva appresso indicata è, ad oggi, non definitiva e suscettiva di eventuali riconsiderazioni.

8. Nel passare ad analizzare le singole norme statali come riformulate dal D.Lgs. n.150/2009, applicabili in ambito regionale solo in caso di "vuoto" normativo e/o contrattuale, si ribadisce che l'impatto delle norme, come modificate, integrate o sostituite dalla legge di riforma, potrà essere meglio preso in esame di volta in volta, quando vengano prospettati specifici problemi interpretativi che codesta Amministrazione riterrà di proporre.
Ciò premesso, in concreto, per fornire parere in ordine alla immediata applicabilità delle singole norme per il rinvio dinamico operato dalla l.r. n. 10/2000 occorre fare riferimento direttamente alle norme (modificate, integrate o sostituite dal D.Lgs. n.150/2009) del D.Lgs. n.165/2001.
In tal senso, in estrema sintesi, e per le ragioni su evidenziate, allo scopo di fornire comunque un contributo per l'adozione di scelte operative, si riportano appresso le disposizioni della normativa nazionale richiamate nel corpo della l.r. n. 10/2000 e modificate dal d.lgs n. 150/2009 con le indicazioni in appresso:
1) al Titolo I del D.Lgs. n.165/2001, recante i "Principi generali":
- art.2, modificato dall'art.33, D.Lgs. n.150/2009: v. infra punto 9;
- artt.5 e 6, modificatirispettivamente dagli artt.34 e 35, D.Lgs. n.150/2009 non si applicano: si applica la l.r. n.10/2000;
- art.9, sostituito dall'art.36, comma 1, D.Lgs. n.150/2009: si applica;
2) al Titolo II, Capo II, "Dirigenza" sono stati modificati:
- art.16, integrato dall'art.38, D.Lgs. n.150/2009: non si applica (v. art.7, l.r. n.10/2000);
- art.17, integrato dall'art.39, D.Lgs. n.150/2009: non si applica (v. art.8, l.r. n.10/2000);
- art.19, modificato dall'art.40, D.Lgs. n.150/2009: non si applica (v. art.9, l.r. n.10/2000)3;
- art.21, modificato dall'art.41, D.Lgs. n.150/2009: non si applica (v. art.10, l.r. 10/2000);
- art.22, sostituito dall'art.42, D.Lgs. n.150/2009: non si applica (v. art.10, l.r. n.10/2000 ed il ruolo assegnato alla Giunta regionale in ordine all'accertamento della "responsabilità dirigenziale");
- art.23, modificato dall'art.43, D.Lgs. n.150/2009: si applica (v. pure art.6, l.r. n.10/2000);
-art.23-bis, modificato dall'art.44, D.Lgs. n.150/2009: si applica limitatamente al personale con qualifiche dirigenziali4;
- art.24, modificato dall'art.45, D.Lgs. n.150/2009: non si applica (v. art.13, l.r. n.10/2000);
- art.28, modificato dall'art.46, D.Lgs. n.150/2009: si applica;
- art.28 bis, aggiunto dall'art.47, D.Lgs. n.150/2009: si applica;
- art.29 bis, aggiunto dall'art.48, D.Lgs. n.150/2009: non si applica;
-art.30, modificato dall'art.49, D.Lgs. n.150/2009: si applica ex art.23, l.r. n.10/20005;
- art.33, integrato dall'art.50, D.Lgs. n.150/2009: si applica, ex art.23, l.r. n.10/2000;
- art.35, modificato dall'art.51, D.Lgs. n.150/2009: si applica ex art.23, l.r. n.10/2000.
3) Titolo III recante "Contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale":
- art.40, novellato dall'art.54, D.Lgs. n.150/2009: v. infra punto n. 9:
- art.40-bis, modificato dall'art.55, D.Lgs. n.150/2009: non si applica (v. art.28, l.r. n.10/2000);
- art.41, sostituito dall'art.56, D.Lgs. n.150/2009: non si applica (v. art.25, l.r. n.10/2000);
- art.43, modificato dall'art.64, D.Lgs. n.150/2009: si applica (in quanto richiamato dall'art.26, l.r. 10/2000);
- art.45, modificato dall'art.57, D.Lgs. n.150/2009: 1) alla luce delle considerazioni svolte, ad oggi, non può operare; 2) la Regione dovrebbe adeguare la propria disciplina allo "spirito" che informa la riforma: v. supra; 7) in ogni caso il legislatore statale ha dato alle Regioni un anno di tempo per adeguarsi; 4) v. infra quanto si dirà sull'impugnativa;
- art.46, parzialmente sostituito dall'art.58, D.Lgs. n.150/2009: non si applica (v. l.r. n.10/2000);
- art.47, sostituito dall'art.59, D.Lgs. n.150/2009: per il tenore dei rinvii (statici) contenuti nell'art.27, l.r. n.10/2000, la nuova norma si ritiene applicabile solo con riferimento alle funzioni ed ai compiti della Corte dei Conti;
- art.48, modificato dall'art.60, D.Lgs. n.150/2009: non si applica (v. l.r. n.10/2000);
- art.49, sostituito dall'art.61, D.Lgs. n.150/2009: non si applica (v. art.29, l.r. n.10/2000).

4) Titolo IV, recante norme in materia di "Rapporto di lavoro":
- art.52, modificato dall'art.62, D.Lgs. n.150/2009: si applica ex art.23, l.r. n.10/2000;
- art.53, modificato dall'art.52, D.Lgs. n.150/2009: si applica ex art.23, l.r. n.10/2000;
- art.55, sostituito dall'art.68, D.Lgs. n.150/2009 e artt. 55-bis-55-novies, aggiunti dall'art.69, D.Lgs. n.150/2009: si applicano ex art.23, l.r. n.10/2000. Peraltro, le citate disposizioni interferiscono con materie di competenza esclusiva dello Stato (es. materia penale). In particolare, quanto all'assetto delle fonti, si applica il nuovo riparto ex art.55, comma 2, mentre per la tipologia delle infrazioni e delle sanzioni resta salvo quanto previsto dalle disposizioni del contratto collettivo, in quanto compatibili (v. CCRL del comparto non dirigenziale).

9. Prima di concludere, con specifico riferimento agli artt.2 e 40, D.Lgs. n.165/2001, come novellati dal D.Lgs. n.150/2009, si osserva che il diverso riparto di competenze tra legge e contratto collettivo e la valenza di norme imperative attribuita alle disposizioni di legge, determinano una innovazione della materia difficilmente conciliabile con la (cristallizzata) l.r. n.10/2000.
Peraltro, se prima facie l'applicazione dei predetti principi dovrebbe essere esclusa dalla regolamentazione dettata dagli artt.20 e 22, comma 2, l.r. n.10/2000, al contempo la circostanza che il medesimo art.22 cit. richiama in generale "le modalità e .. i criteri di cui al titolo III del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29 e successive modifiche e integrazioni", rende problematica l'indicazione del vigente quadro normativo di riferimento.
Infatti, l'individuazione delle norme e dei principi statali da applicare, come richiamati dall'art.22, l.r. n.10/2000 cit., a fronte di una riforma così innovativa come quella in oggetto, si pone nell'ambito di una sostanziale novazione della disciplina regionale che non può che rimanere in capo al Legislatore.

10. Tutto ciò premesso, non ci si può esimere dal rassegnare un ulteriore ordine di considerazioni sulle quali sollecitare l'attenzione del richiedente.
Pur ritenendo non immediatamente applicabile in ambito regionale la riforma Brunetta, se non nella misura consentita dal rinvio dinamico contenuto nella l.r. n.10/2000, sembrerebbe opportuno che del tema venisse investita la Corte costituzionale nelle forme di rito.
Per le considerazioni in appresso svolte, si suggerisce infatti la tempestiva impugnativa della legge dinanzi alla Corte costituzionale, sulla quale ci si riserva - se del caso - di operare un apposito studio.

10.1 Innanzitutto, non sembra sia idonea a escludere un'eventuale lesione della potestà legislativa regionale la previsione contenuta nell'art. 74, comma 5, in base alla quale "le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con gli statuti speciali e le relative norme di attuazione".
La Corte costituzionale ha al riguardo costantemente affermato che "simili clausole, formulate in termini generici, non hanno l'effetto di escludere una lesione della potestà legislativa regionale "6.

10.2 Con riferimento all'art.74, primo comma, occorre riflettere:
a) in primo luogo, sulla circostanza, sopra illustrata, che lo Stato non può appropriarsi di una materia statutariamente spettante alla Regione siciliana (la disciplina dei rapporti di impiego del proprio personale), appiattendo la competenza esclusiva della stessa su quella residuale delle Regioni ordinarie;
b) in secondo luogo, ed in subordine, occorre ben valutare che se è vero che la competenza esclusiva dello Stato prevista in materia di "ordinamento civile" dall'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., giustifica la disciplina di principio relativa ai rapporti interprivati che si instaurano nell'ambito della contrattazione tra lavoratori e datori di lavoro, tuttavia la legge in questione tocca anche aspetti pubblicistici interferendo, in concreto, in modo illegittimo con la citata competenza esclusiva della Regione siciliana in materia di "stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della Regione" (art.14, lettera q) e di "ordinamento degli uffici" (art.14, lett. p).

10.3 Con specifico riferimento al secondo comma dell'art.74, poi, basta qui rilevare che, come sopra detto, la Corte costituzionale ritiene ormai non più operativo il limite dei principi generali dell'ordinamento.
Peraltro, in subordine, sia pure ammettendo la possibilità per il legislatore statale di vincolare l'autonomia delle Regioni attraverso il limite dei principi generali dell'ordinamento, si può ulteriormente rilevare che il predetto limite non può concretizzarsi nell'individuazione di norme specifiche e dettagliate. Infatti, secondo l'elaborazione giurisprudenziale fattane nel passato dalla Corte costituzionale, i "principi", come limite, si concretizza(va)no in "quegli orientamenti e quelle direttive di carattere generale e fondamentale che si possono desumere dalla connessione logica e sistematica delle norme che concorrono a formare, in un dato momento storico, il tessuto dell'ordinamento vigente"7.
Il rispetto dei "principi generali dell'ordinamento" costituiva -appunto - un limite dettato dall'esigenza di garantire che l'esercizio della potestà legislativa da parte delle Regioni non contraddica, in ogni caso, alcuni elementi di fondo e, in certa misura, caratterizzanti il complessivo sistema giuridico (così, P.Caretti - U. De Siervo. Istituzioni di diritto pubblico, G. Giappichelli Editore, Torino, 2008, p. 352)


***


In ordine alla richiesta di avviso "sugli effetti delle previsioni contenute nella legge 69/2009, in tema di trasparenza e semplificazione", nel ricordare che lo Scrivente si è espresso, in generale sull'applicabilità alla Regione siciliana delle disposizioni della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di trasparenza con parere n. 134 del 2009, reso a codesto Ufficio con nota prot. 13435 del 1 settembre 2009, si resta a disposizione per la soluzione di eventuali specifici quesiti giuridico - interpretativi sui quali, a termini dell'art. 7 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento del governo e dell'Amministrazione della Regione Siciliana approvato con D.P.Reg. 28 febbraio 1979, n. 70, l'Ufficio è chiamato ad rispondere.

Nelle superiori considerazioni è il parere dello Scrivente.


A termini dell'art. 15 del regolamento approvato con D.P.Reg. 16 giugno 1998, n. 12, lo Scrivente acconsente alla diffusione del presente parere in relazione ad eventuali domande di accesso inerenti il medesimo.
Codesta Amministrazione vorrà comunicare, entro novanta giorni dalla ricezione, l'eventuale possibilità che il parere stesso inerisca una lite, ovvero se intende differirne la pubblicazione sino all'adozione di eventuali provvedimenti amministrativi. Decorso tale termine senza alcuna comunicazione in tal senso si consentirà la diffusione sulla banca dati "FoNS", giusta delibera di Giunta regionale n. 229 dell'8 luglio 1998.


Regione Siciliana - Ufficio legislativo e legale
Ogni diritto riservato. Qualunque riproduzione, memorizzazione, archiviazione in sistemi di
ricerca ,anche parziale, con qualunque mezzo, è vietata se non autorizzata.
All rights reserved. Part of these acts may be reproduced, stored in a retrieval system or
transmitted in any form or by any means, only with the prior permission.

Ideazione grafica e programmi di trasposizione © 1998-2008 Avv. Michele Arcadipane
Revisione e classificazione curata da Avv. Francesca Spedale

1 Cfr. parere di questo U.L.L. n. 21/2007 in cui si afferma che "Si ritiene che tale principio (c.d. della prevenzione) mantenga la sua validità - con specifico riferimento all'ordinamento regionale siciliano e ai rapporti tra legge statale e legge regionale siciliana - anche nel nuovo assetto costituzionale relativo alla ripartizione della potestà legislativa fra lo Stato e le regioni delineato dal novellato art. 117 della Costituzione. Ed infatti il rapporto tra legge statale e legge regionale è ormai disciplinato sulla base del criterio della "competenza ripartita" (cfr. Caravita, "La costituzione dopo la riforma del Titolo V", Giappichelli, 2002, 88). Per la Regione siciliana la competenza legislativa esclusiva in materia di commercio discende direttamente -come, peraltro, già rilevato- dallo Statuto regionale (art. 14, lett. d)), mentre per le regioni ordinarie la competenza legislativa nella predetta materia si configura come competenza legislativa residuale ex art. 117, comma 4, Cost., atteso che, tra le materie tassativamente assegnate dall'art. 117, commi 2 e 3, Cost., rispettivamente alla competenza esclusiva dello Stato ed a quella concorrente, non viene espressamente annoverata quella del commercio. L'intervento legislativo statale nelle materie di potestà esclusiva o residuale regionale è, dunque, limitato -alla stregua del richiamato criterio della "competenza ripartita"- alla sola ipotesi in cui vi sia uno specifico e puntuale collegamento tra la materia considerata e il titolo abilitante l'intervento statale (quale, ad esempio, esercizio delle competenze esclusive statali di tipo trasversali in materia di tutela della concorrenza o in materia di determinazione dei livelli essenziali), viceversa, le scelte legislative operate dal legislatore statale dovranno cedere il passo a quelle effettuate dal legislatore regionale. Si fa altresì presente che l'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale successiva alla formulazione del principio della "prevenzione" ha insistito sulla integrazione, piuttosto che sulla separazione, tra ordinamento statale e ordinamento regionale: l'ordinamento giuridico dello Stato ad autonomie regionali è pur sempre un ordinamento unitario, di modo che i rapporti tra le leggi dei due enti si conformano al criterio dell'integrazione delle competenze piuttosto che a quello della separazione; conseguentemente deve affermarsi che, nelle materie affidate alla competenza esclusiva regionale, in assenza di normativa regionale trova applicazione la legge statale. I problemi interpretativi più complessi da risolvere si pongono nell'ipotesi in cui la legge statale risulti incompatibile o in contrasto con la norma regionale già vigente: in tale ipotesi, principio della "prevenzione" e principio della "abrogazione" sono i due criteri alternativi alla stregua dei quali è possibile risolvere il rapporto tra legge statale e potestà legislativa esclusiva della Regione; in particolare, secondo il principio della "abrogazione", la nuova legge statale che contiene principi incompatibili con norme regionali determinerebbe la loro immediata abrogazione e, di conseguenza, la medesima legge statale troverebbe diretta applicazione nella Regione. Il principio della "abrogazione" trova fondamento nella sentenza della Corte costituzionale n. 153/1995 laddove, proprio con riferimento alla potestà legislativa esclusiva della Regione siciliana, è affermato che "il sopravvenire nelle leggi statali di norme recanti principi, in grado di costituire un limite all'esercizio di competenze legislative regionali, comporta nei casi di accertata e diretta incompatibilità fra la legge regionale e quella statale, l'effetto della abrogazione". Tale ricostruzione dei rapporti tra fonti statali e regionali è stata poi ripresa e sviluppata dalla dottrina più avvertita che negli anni novanta si è espressa sulla diretta applicabilità nell'ordinamento regionale delle riforme statali in materia di pubblico impiego e delle leggi statali di decentramento e di semplificazione amministrativa. La richiamata dottrina, partendo dalla considerazione che l'autonomia speciale si salvaguarda esercitando in positivo le competenze che lo Statuto attribuisce alla Regione e rilevando altresì che, in assenza di interventi legislativi regionali di "recepimento" delle leggi statali, la Sicilia era rimasta fuori dal processo di modernizzazione in corso nel resto d'Italia, ha accolto -sia pure con le dovute cautele legate alla necessità di procedere agli approfondimenti richiesti, di volta in volta, dalla norma statale considerata- il principio della diretta abrogazione della normativa regionale incompatibile con norme fondamentali di grande riforma economico-sociale. 2 Così, ad esempio, occorrerebbe differenziare gli incentivi economici, collocando i dipendenti in fasce di merito, che per lo Stato sono tre, mentre le Regioni hanno la possibilità di prevederle in numero maggiore; così, ancora, non potranno essere previste progressioni economiche orizzontali generalizzate e non selettive (v. art.23). 3 V. parere n.296 del 2005: "...per quanto attiene il conferimento degli incarichi dirigenziali, la l.r. 15 maggio 2000, n. 10, ne consente l'attribuzione a soggetti esterni - oltrechè nelle ipotesi relative agli uffici di diretta collaborazione (cfr. art. 4, comma 6) - esclusivamente per quanto attiene gli incarichi di dirigente generale (cfr. art. 9, comma 8) e, in detta sola ipotesi, nel limite percentuale del 5 per cento (poi elevato al 20 per cento dall'art. 11, comma 7, della l.r. 3 dicembre 2003, n. 20) della dotazione organica; ipotesi che non ricorre nella fattispecie avente invero riguardo ad un incarico di funzioni dirigenziali relative a servizi finanziario-contabili. Principio generale cui le richiamate disposizioni costituiscono puntuale eccezione è quindi quello - sancito dall'art. 19, commi 4 e 5, del D.Lgs. 165/2001 e, per quanto attiene l'ambito regionale, dall'articolo 9, commi 4, 5 e 6, della stessa l.r. 10/2000 - secondo cui tutti gli incarichi dirigenziali, siano essi finalizzati alla preposizione a strutture operative che di altra natura, sono conferiti a soggetti già incardinati, con qualifica di dirigente, nell'ente di appartenenza. Il delineato regime costituisce esaustiva disciplina delle modalità di conferimento degli incarichi dirigenziali che non ammette, in assenza di puntuali richiami e rinvii normativi, l'applicazione di norme divergenti. L'applicazione delle disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modifiche ed integrazioni, risulta invero, per espressa volontà del legislatore regionale (cfr. art. 1, comma 2, l.r. 10/2000) meramente residuale per le sole ipotesi non previste e regolate dalla l.r. 10/2000.". 4 V., sul punto, ampiamente, parere n.350 del 2005: "Preliminarmente si puntualizza che il riferimento al "personale regionale", contenuto nella richiesta di parere non può che intendersi riferito al personale dirigenziale delle Amministrazioni di cui all'art. 1 della l.r. 10/2000, giacchè l'art. 23-bis del D.Lgs. 165/2001 è inserito nel titolo II del capo II, rubricato "Dirigenza". Per quanto riguarda, invece, il personale non dirigenziale, dipendente dalle amministrazioni di cui all'art. 1 della l.r. 10/2000, l'assegnazione temporanea è regolamentata dagli artt. 60 e 61 del C.C.R.L. (pubblicato nella G.U.R.S., p I, n. 22 - supplemento ordinario n. 15). Per il personale con qualifiche dirigenziali, dipendente dalle medesime amministrazioni di cui all'art. 1 della l.r. 10/2000, l'applicabilità dell'istituto riportato dall'art. 23-bis del D.Lgs. 165/2001 è riconducibile alla stessa legge regionale 10/2000 che, nel disciplinare i rapporti di lavoro e d'impiego (art. 1. comma 1), prevede (art. 1, comma 2): "Per quanto non previsto dalla presente legge si applicano le disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modifiche e integrazioni......". Il generale rinvio dinamico alla normativa statale operato dal legislatore regionale comporta che per le fattispecie non disciplinate autonomamente dalla legge regionale (10/2000) ("per quanto non previsto") si applicano le disposizioni statali vigenti al momento della loro applicazione e, quindi, l'art. 23-bis del Testo unico approvato con il D.Lgs. 165/2001. Quanto sopra ritenuto non pare contrastare nemmeno con le previsioni del contratto collettivo regionale di lavoro dell'area della dirigenza - approvato con D.P.Reg. 22 giugno 2001, n. 10 - che all'art. 23, comma 2, "Mobilità a domanda" dispone che fino alla compiuta attuazione dei titoli IV e VII della legge regionale 10/2000 "è sospesa l'applicazione delle disposizioni di cui al titolo II capo III del decreto legislativo n.29/1993".La norma contrattuale surriportata è infatti riferibile alla sola mobilità in senso stretto - come si desume dal richiamo al capo III, titolo II, del D.Lgs. 29/1993 che contiene, appunto, le norme sulla mobilità quale passaggio definitivo dal ruolo di un'amministrazione a quello di un'altra. Anche la dottrina, aderendo ad un'accezione ristretta del termine, riconduce alla mobilità solo il passaggio definivo -con esclusione di situazioni caratterizzate da temporaneità, quali il comando, il distacco, lo svolgimento di servizio presso altra amministrazione in posizione di fuori ruolo, lo scambio di dipendenti con Amministrazioni di altri Paesi, il conferimento di incarico dirigenziale, il collocamento in aspettativa per lo svolgimento di incarichi presso altre Pubbliche Amministrazioni o soggetti privati e l'assegnazione temporanea di cui all'art. 23-bis, comma 7 - laddove, impropriamente e secondo un'accezione ampia, varie norme sia di legge che di contrattazione utilizzano ormai diffusamente il termine mobilità per descrivere diverse tipologie procedurali aventi ad oggetto "passaggi" tra Amministrazioni o tra queste e le imprese private(cfr. Formez - Dipartimento della funzione pubblica, n. 6/2004, "La mobilità nel lavoro pubblico"). In effetti, la disposizione contenuta al comma 7 dell'art. 23-bis del D.Lgs. 165/2001 presenta i tratti salienti del comando disciplinato dall'art. 56 del D.P.R. 3/1957 che consente di chiamare il dipendente a prestare servizio, per un tempo determinato e in via eccezionale, presso altro ramo dell'amministrazione di appartenenza (o presso un diverso ente pubblico, ipotesi quest'ultima denominata nella prassi amministrativa e in dottrina "distacco") per riconosciute esigenze di servizio dell'amministrazione destinataria o quando sia richiesta una speciale competenza. Dal comando tradizionalmente noto, l'assegnazione temporanea si differenzia - essendo comunque un istituto nuovo - oltre che, evidentemente, per il riferimento al settore privato, per una differente funzionalità, ed in particolare in quanto essa mira a privilegiare la flessibilità organizzativa dell'Amministrazione e le specifiche esigenze di essa. 5 V, sul punto, parere n.351 del 2005: "Nell'applicazione nella Regione siciliana dell'art. 30 del D.Lgs. 165/2001 (espressamente disposta dall'art. 23 della l.r. 10/2000) bisogna considerare talune differenziazioni originanti dai contratti collettivi regionali di lavoro..... Per il personale del comparto non dirigenziale della Regione siciliana e degli enti di cui all'art. 1 della l.r. 10/2000, invece, l'applicabilità dell'art. 30 del D.Lgs. 165/2001 discende, oltre che dal già indicato art. 23 della l.r. 10/2000, anche dall'art. 63 del ccrl - pubblicato nel S.O. alla G.U.R.S. 21 maggio 2005, n. 22. La disposizione contrattuale ammette, al comma 1, la mobilità volontaria in uscita secondo le modalità del citato art. 30; conseguenzialmente, il passaggio diretto di personale con qualifiche non dirigenziali avviene col previo consenso dell'amministrazione di appartenenza (comma 1 art. 30 D.Lgs. 165/2001). La necessità della vacanza del posto nella dotazione organica - ribadita al comma 2 della suindicata disposizione contrattuale - conferma che la mobilità in entrata è temporaneamente inapplicabile alle Amministrazioni, come quella regionale, che non hanno ancora proceduto alla ricognizione della propria pianta organica né all'assunzione del documento di programmazione dei propri fabbisogni.". 6 Cfr. Corte cost. n.326 del 2008, per la quale "Va premesso che non è idonea a escludere un'eventuale lesione della potestà legislativa regionale la previsione contenuta nell'art. 1, comma 1-bis, del decreto-legge n. 223, in base alla quale "le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano in conformità agli statuti speciali e alle relative norme di attuazione"". V., anche ib., nn. 165 del 2007, per la quale "Infine, l'illegittimità costituzionale di dette norme, per la Regione Friuli-Venezia Giulia, non è esclusa dalla cosiddetta "clausola di salvaguardia" prevista dall'art. 1, comma 610, della legge n. 266 del 2005. Infatti, va qui ribadito che detta clausola non è idonea ad escludere il vizio di legittimità della norma, qualora, come nel caso in esame, sia caratterizzata da estrema genericità e sia contenuta nel contesto di una legge recante numerose disposizioni, concernenti materie ed oggetti diversi, senza alcuna precisazione in ordine a quelle che dovrebbero ritenersi non applicabili alla ricorrente, per incompatibilità con lo statuto speciale", e 162 del 2007 e nn. 234, 118 e 88 del 2006. 7 V. Corte cost. n.6/1956. ?? ?? ?? ?? 37