Pos. 1   Prot. N. 4468 - 14.2010.11 Palermo, 16/02/2010 


Oggetto: Cooperativa. Assemblee separate. Obbligatorietà. Possibilità di operare sconti ai soci per le prestazioni rese.






  ASSESSORATO REGIONALE  

DELLE ATTIVITA' PRODUTTIVE.

Dipartimento regionale
delle attività produttive.

PALERMO





1. Con la nota che si riscontra codesto Dipartimento regionale premette che è stata svolta un'ispezione nei confronti della società cooperativa XXXX che esercita attività di confidi verso i propri soci, e che nel corso della verifica dello statuto della cooperativa in argomento è stato accertata l'assenza della previsione di assemblee separate di cui al comma 2 dell'art. 2540 del c.c., a mente del quale le stesse assemblea devono essere previste nell'atto costitutivo nelle ipotesi di cooperative con più di tremila soci che svolgono la propria attività in più province ovvero con più di cinquecento soci e che realizzano più gestioni mutualistiche.
Nella richiesta si riporta l'opinione, che il richiedente Dipartimento definisce "corrente", in ordine all'applicabilità del comma 2 dell'art. 2540 c.c. ai soli casi di società cooperative che svolgono la propria attività attraverso sedi secondarie e stabili in province diverse e nel non condividerne l'assunto si esprime l'avviso secondo cui la disposizione di cui è questione imporrebbe l'obbligo - a prescindere dalla istituzione di sedi secondarie - a tutte le cooperative con un numero di soci maggiore di 3.000 ove gli stessi "in proporzione rilevante abbiano la sede legale in altre province". Sull'argomento formula richiesta di parere.
Inoltre, si chiede l'avviso di quest'Ufficio Legislativo e legale sulla "possibilità di promuovere sconti ai soci in maniera soggettiva per il pagamento di prestazioni fornite dalla cooperativa, anche se tale possibilità sia prevista da delibere del C.d.A. o dall'Assemblea dei soci.".
A tal proposito viene evidenziato espressamente il contrario avviso del richiedente Dipartimento, ritenendo che la decurtazione di parte delle somme dovute dal socio, per le prestazioni ricevute dalla cooperativa, si ponga in netto contrasto con la disciplina normativa afferente, evidenziando, altresì, che l'unico strumento approntato dall'ordinamento per la restituzione di parte delle somme pagate dal socio alla cooperativa è quello previsto dall'art. 2545 sexies c.c (ristorni).
Concludendo la disamina della questione il Dipartimento segnala che, in ogni caso, la decurtazione dell'importo dovuto alla cooperativa per le prestazioni fornite al socio cagionerebbe "un danno diretto al patrimonio sociale ed in particolare alle riserve indivisibili nonché alla mutualità indiretta che nel caso in esame si esplica secondo quanto previsto dalla legge 326/2006.".

2. Con riguardo alla prima delle questioni prospettate va, in via preliminare, esaminata la funzione delle assemblee separate, all'interno del sistema più generale della partecipazione alla vita sociale da parte dei soci, e del necessario legame concettuale tra reale partecipazione dei soci ed attuazione, in senso formale e materiale, del principio di democrazia cooperativa (art. 45 Cost.).
Invero, già prima della riforma del diritto societario (legge 366/2001 e D.Lgs. 6/2003) era unanimemente ritenuto che le assemblee separate avessero la funzione di garantire negli organismi più vasti e diffusi sul territorio una partecipazione più attiva dei soci.
Tale ratio risulta confermata dalla rinnovata disciplina dell'istituto in esame che è stato concepito dal Legislatore del 2003 come uno degli strumenti più efficaci per facilitare la reale partecipazione dei soci alle deliberazioni sociali (art. 5 legge 366/2001), circostanza confermata nel secondo comma dell'art. 2540 c.c. che impone la presenza di assemblee separate in quelle cooperative dove realizzare la partecipazione risulta più problematico.
Il novellato art. 2540 c.c., infatti, nel disporre che l'atto costitutivo delle società cooperative possa prevedere lo svolgimento di assemblee separate (anche rispetto a specifiche materie ovvero in presenza di particolari categorie di soci) tuttavia, impone che lo svolgimento di assemblee separate debba necessariamente essere previsto quando la società cooperativa "ha più di tremila soci e svolge la propria attività in più province ovvero se ha più di cinquecento soci e si realizzano più gestioni mutualistiche".
La precitata norma del codice civile dispone, altresì, che spetta all'atto costitutivo stabilire il luogo, i criteri e le modalità di convocazione e di partecipazione all'assemblea generale dei soci delegati assicurando, in ogni caso, la proporzionale rappresentanza delle minoranze espresse dalle assemblee separate.
Ora, non sembra che vi siano dubbi circa l'esatta individuazione dei destinatari della prescrizione contenuta nel secondo comma del citato art. 2540 c.c.
La presenza della congiunzione copulativa "e" tra le condizioni soggettive e quelle oggettive induce, in primo luogo, a ritenere necessaria la compresenza dei due elementi.
In secondo luogo, oltre al palese riferimento alla pluralità delle gestioni mutualistiche, sembra, invero, che nemmeno l'inciso "...svolge la propria attività in più province" possa dare luogo a dubbi interpretativi, atteso il chiaro tenore letterale attinente ad aspetti precipuamente operativi e non formali e l'inequivocabile collegamento alla soprarichiamata ratio della disciplina relativa alle assemblee separate, esplicitamente volta a garantire la reale partecipazione dei soci alla vita sociale anche nelle ipotesi di organismi più vasti e diffusi nel territorio.
Sotto altro profilo va, in ogni caso, ricordato che ai sensi dell'art. 223 duodecies delle disp. att. del c.c., non possono essere iscritte nel registro delle imprese le cooperative che siano regolate da atto costitutivo e statuto non conformi alle disposizioni inderogabili del D.Lgs. 6/2003.
Di conseguenza, si condivide l'avviso del richiedente Dipartimento sulla necessità della previsione nello statuto della disciplina relativa alle assemblee separate ove si sia in presenza delle condizioni sopradescritte nonché sulla circostanza che alle stesse si debba fare ricorso a prescindere dalla esistenza di sedi secondarie operative stabili in province diverse da quella dove è ubicata la sede principale.
Va, infine, ricordato, per completezza espositiva, che la riforma del diritto societario (legge 366/2001 e D.Lgs. 6/2003), si propone, tra l'altro, di realizzare una sostanziale riforma della disciplina delle società cooperative innovando profondamente l'attuale assetto normativo, con l'obiettivo di valorizzare la cooperazione "costituzionalmente riconosciuta" e di estendere alle società cooperative i principi generali previsti per le società di capitali di cui al titolo V del codice civile, onde favorire la nascita, la crescita e la competitività delle imprese, mantenendo, comunque, ferma la specificità dello scopo mutualistico.
In ordine ai dubbi manifestati dal richiedente Dipartimento circa la legittimità della effettuazione "di sconti ai soci in maniera soggettiva per il pagamento di prestazioni fornite dalla cooperativa, anche se tale possibilità sia prevista da delibere del C.d.A. o dall'Assemblea dei soci.", vanno premesse alcune riflessioni in ordine alla relazione tra scopo mutualistico e scambio mutualistico.
Ed infatti, aderendo al contratto di società cooperativa, il socio si obbliga (tra l'altro) ai conferimenti per esercitare in comune una attività di impresa con fini mutualistici e la cooperativa, nel perseguimento dello scopo mutualistico, offre ai consociati opportunità migliori di quelle presenti nel mercato.
Tuttavia, finché il socio non diventa anche utente della cooperativa, tali occasioni rimangono in fieri. Assumeranno una consistenza reale, trasformandosi in vantaggi concreti, solo allorché l'associato avrà instaurato con la cooperativa rapporti di scambio, negozi distinti ed autonomi rispetto a quello sociale presupposto.
Appare, dunque, chiaro come il binomio scopo-scambio mutualistico non possa configurarsi inscindibile. Infatti, mentre nel contratto di società vi è una comunione di scopo tra le parti, nei rapporti di scambio si profila una giustapposizione tra socio e cooperativa (Cfr. Cass., Sez. I, civ., sent. 18 gennaio 2001, n. 694) con la conseguenza che entrambi tali soggetti (sebbene la cooperativa persegua mediatamente l'interesse del socio) sono da considerare operatori economici.
In sostanza, il socio di una cooperativa, beneficiario del servizio mutualistico reso da quest'ultima, è parte di due distinti (anche se collegati) rapporti, l'uno di carattere associativo, che direttamente discende dall'adesione al contratto sociale e dalla conseguente acquisizione della qualità di socio, l'altro che deriva dal contratto bilaterale di scambio per effetto del quale egli si appropria del bene o del servizio resogli dalla cooperativa (Cfr. Cass., Sez. I, civ., sent. 16 aprile 2003, n. 6016).
Sotto questo profilo, sembra allora allo Scrivente che la previsione (come cita il richiedente Dipartimento posta con delibera C.d.A. o dell'Assemblea dei soci) di eventuali decurtazioni sulle somme dovute dai soci per le prestazioni ricevute, non costituisca ex se, come ipotizzato nella richiesta, "danno diretto al patrimonio sociale .... alle riserve indisponibili nonché alla mutualità indiretta....".
E d'altro canto, la società può ben vendere beni o servizi al socio ad un prezzo, ad esempio, pari al "costo di mercato". In tal caso, il socio realizza subito un risparmio di spesa, quantificabile nella differenza tra il prezzo di mercato dei beni o dei servizi acquisiti ed il prezzo praticatogli dalla cooperativa. In alternativa, la società può vendere beni o servizi al socio al "prezzo di mercato"; una volta chiuso l'esercizio, a consuntivo, la cooperativa può restituire al socio una parte del surplus derivante dalle operazioni effettuate con il medesimo.
L'effetto dei due meccanismi è dunque equivalente: mentre con un prezzo più basso vi è un'unica movimentazione finanziaria tra le parti e la monetizzazione immediata (per il socio) del vantaggio economico, con un prezzo di mercato vi sono due movimentazioni finanziarie ed il differimento del vantaggio mutualistico al tempo dell'erogazione del ristorno, come remunerazione differita delle prestazioni attuative del rapporto mutualistico.
Ad integrazione è appena il caso di precisare che ai sensi dell'art. 2521 del c.c. "l'atto costitutivo stabilisce le regole per lo svolgimento dell'attività mutualistica" e che il successivo art. 2545 sexies, comma 1 contiene quasi una specificazione del contenuto della precedente disposizione stabilendo che "l'atto costitutivo determina i criteri di ripartizione dei ristorni ai soci proporzionalmente alla quantità e qualità degli scambi mutualistici" mentre il comma 3 stabilisce che "L'assemblea può deliberare la ripartizione dei ristorni a ciascun socio....."
Conseguentemente, dalla lettura sistematica delle precedenti disposizioni ne discende che il ristorno deve essere contemplato nell'atto costitutivo come elemento obbligatorio per assicurare, tendenzialmente e in modo indiretto, il vantaggio mutualistico, e, tuttavia il socio cooperatore non ha un vero e proprio "diritto al ristorno".
Sicché, più dettagliate e precise sono le prescrizioni dell'atto costitutivo sull'assegnazione del vantaggio mutualistico meno discrezionalità residua agli amministratori in tale scelta gestionale.
Non può, quindi, condividersi l'orientamento espresso nella nota cui si risponde (ed invero, dalla lettura del documento allegato alla richiesta, non si rinvengono ulteriori elementi di supporto all'avviso espresso nella richiesta), secondo cui alle cooperative sarebbe, in linea di principio, inibito prevedere decurtazioni delle somme dovute per il servizio reso nei confronti dei soci né si ritiene che le stesse integrerebbero una lesione dei fini mutualisti ed una illegittima applicazione della disciplina dei ristorni (art. 2545 sexies del c.c.).


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Ai sensi dell'art. 15, co. 2, del D.P.Reg. 16 giugno 1998, n. 12 lo scrivente acconsente sin d'ora all'accesso presso codesto Assessorato al presente parere da parte di eventuali soggetti richiedenti.
 Si ricorda poi che, in conformità alla circolare presidenziale dell'8 settembre 1998, n. 16586/66.98.12 trascorsi 90 giorni dalla data di ricevimento del presente parere. senza che codesta Amministrazione ne comunichi la riservatezza, lo stesso potrà essere inserito nella banca dati "FONS".  








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