POS.  I         Prot.  9439/52.2010.11            Palermo 30/03/2010

 

Oggetto: Conferimento di incarichi di dirigenti di strutture di massima dimensione - Art. 9 l.r. n.10/2000 e art. 19 comma 6 D.lgs 165/2001. Condizioni legittimanti. Esercizio di attività  libero professionale e iscrizione in albi.

 

 

PRESIDENZA DELLA REGIONE SICILIANA – SEGRETERIA GENERALE

AREA 1^ “AFFARI GENERALI”

PALAZZO D’ORLEANS

 

SEDE

 

 

        1. Con nota 2253/C.1/2 del 19 marzo 2010, codesto Ufficio rappresenta che l’affidamento di incarichi dirigenziali di strutture di “massima dimensione” a soggetti esterni non iscritti nel ruolo unico della dirigenza della regione Siciliana è regolato dal  combinato disposto dell’art. 19 comma 6 D.lgs 165/2001 (cosi come integrato dall’art. 40 del D.lgs n. 150/2009) e dell’art. 9 della l.r. n. 10/2000. Tale contesto normativo prevede che tale affidamento debba avvenire alle condizioni ivi espressamente indicate, e a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale.

Ciò premesso si chiede allo Scrivente di esprimere parere sulla circostanza che tra le condizioni legittimanti l’affidamento dell’incarico rientri anche l’esercizio di attività libero professionale per la quale è richiesta apposita iscrizione negli albi professionali.

 

 

        2. L’art. 19 comma 6 D.lgs 165/2001, cosi come integrato dall’art. 40 del D.lgs n. 150/2009 - norma pienamente vigente nell’ambito dell’ordinamento regionale ax art. 1, comma 2 della l.r. n. 10/2000 (cfr. parere di questo Ufficio prot. n. 264/2.11.20010 dell’8 gennaio 2010) – disciplina l’affidamento degli incarichi delle strutture di massima dimensione a soggetti esterni all’Amministrazione regionale, nei limiti e alle condizioni espressamente e puntualmente richiamate.

La Corte dei conti - Sezione del controllo di legittimità su atti del Governo, con delibera n. 3/2003/P assunta nell’adunanza congiunta del  I e II Collegio del  9 gennaio 2003, ha chiarito che “il criterio secondo il quale il legislatore ha inteso disciplinare l’immissione nell’esercizio di funzioni dirigenziali di soggetti, quali essi siano, in precedenza già non investiti di tale qualifica, risulta evidentemente informato alla volontà di acquisire professionalità estranee, tali da presentare qualità aggiuntive e comunque non minori rispetto ai già elevati requisiti previsti per le nomine di funzionari appartenenti ai ruoli dirigenziali”. Ne consegue, continuano i giudici contabili, “attraverso una lettura sistematica dell’art. 19, c. 6°, che la facoltà da tale norma prevista richiede, nei suoi destinatari, il concorrente possesso di una particolare specializzazione, sia professionale, che culturale e scientifica; quando si passi all’accertamento di tali requisiti, in relazione alle funzioni da attribuire, l’interprete, dal canto suo, non può sottrarsi alla verifica, sotto ogni profilo, della presenza di tutti gli elementi che complessivamente rendono il soggetto idoneo all’incarico.

Ne discende che, ferma rimanendo l’esigenza dell’accertamento di un livello di formazione culturale identificabile nel possesso della laurea, gli elementi che configurano e completano in estranei il profilo della professionalità debbano, insieme ad altri, ricavarsi dal già disimpegnato esercizio di funzioni almeno di pari rilevanza di quelle previste nel nuovo compito.

Quindi, oltre all’accertato possesso di sufficiente formazione culturale, in un contesto normativo in cui è però prevista l’attribuzione di incarichi dirigenziali previa verifica della sussistenza di livelli di formazione particolarmente elevati, occorre che la valutazione venga estesa ad un  puntuale esame dei curricula degli incaricandi.

Pertanto, nel valutare, nel caso concreto, i requisiti richiesti per il conferimento di un incarico  ......  occorre rinvenire nel curriculum dell’incaricando un livello di esperienze già maturate, tale da correlarsi al complesso delle attribuzioni dell’Ufficio cui esso viene destinato”.

 

Ai fini per cui è parere occorre rilevare che l’articolato normativo (art. 19 comma 6 D.lgs 165/2001) distingue al terzo capoverso tre distinte ipotesi di affidamento di incarichi a “soggetti esterni” e puntualizza le condizioni che occorre si verifichino a che l’Amministrazione regionale possa legittimamente procedere a conferire tali incarichi.

In dettaglio:

Ø     rientra nella prima ipotesi l’affidamento di incarico a coloro  che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati, ovvero aziende pubbliche o private, con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali;

Ø     si integra la seconda ipotesi nei confronti di coloro che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza;

Ø     si da corso alla terza ipotesi qualora i soggetti individuati quali destinatari dell’incarico provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato.

 

 

2.1 In ordine alla prima ipotesi questo Ufficio rileva, in limine, che il Legislatore non fa alcun riferimento allo svolgimento di attività libero professionale.

Vengono, infatti, in rilievo per questa fattispecie due elementi fondanti di natura oggettiva e che, come tali, non presuppongono alcuna indagine ermeneutica dell’attività curriculare né eventuali attività di valutazione dei profili professionali posseduti dal soggetto che si intende contrattualizzare.

Ciò che rileva è soltanto la verifica – documentale – dei requisiti posseduti.

Il riferimento è:

Ø     allo svolgimento di funzioni dirigenziali (presso organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private);

Ø     alla circostanza che tale attività sia stata svolta per almeno un quinquennio.

Si richiama, pertanto, il concetto di svolgimento di funzioni dirigenziali e di possesso della qualifica dirigenziale e, in dettaglio, cosa siano le prime, come si possa formalmente avere contezza della seconda, e come si possa avere contezza dell’effettiva natura dirigenziale di funzioni svolte presso organismi ed enti privati, ovvero aziende private.

In ordine allo svolgimento di funzioni dirigenziali presso organismi ed enti pubblici, ovvero aziende pubbliche, e ferma restando la prescrizione di cui all’art. 97 Cost[1] secondo cui è sempre la legge che definisce gli assetti organizzativi (rendendo, per ciò stesso più agevole l’esatta individuazione dei profili dirigenziali dell’incarico) il Giudice delle leggi, dopo la riforma introdotta nell’ordinamento nazionale con il D.Lvo. n. 29/1993, ha chiarito che il dirigente che ha operato all’interno della pubblica amministrazione (presso organismi ed enti pubblici e presso aziende pubbliche) è “una figura tecnico-professionale che ha il compito di perseguire, nell’adempimento di un’obbligazione di risultato (oggetto di un contratto di lavoro autonomo), gli obiettivi gestionali e operativi definiti” dall’Organo politico, “dal provvedimento di nomina e dal contratto di lavoro con l’amministrazione” (cfr. sent. n. 104/2007)[2].

In altri termini, per enti ed organismi pubblici, nonché per aziende pubbliche, ferma restando la riserva di legge di cui all’art. 97 Cost che delimita chiaramente gli assetti organizzativi della pubblica amministrazione, è al provvedimento di nomina e al contratto di lavoro che allo stesso accede che occorre fare riferimento per verificare l’effettiva maturazione dell’esperienza dirigenziale.

Quanto alla (diversa) ipotesi di un dirigente che ha operato (esclusivamente o anche parzialmente) presso organismi ed enti privati ovvero aziende private, merita di essere evidenziato che, in assenza di diversi e formali parametri di riferimento,  l’Amministrazione regionale è tenuta a muoversi nella stessa direzione appena cennata: analisi della natura dell’incarico svolto all’interno di aziende private, del provvedimento di nomina e del contratto sottoscritto.

E ciò quantomeno (e principalmente) con finalità tuzioristiche e di salvaguardia sia dell’interesse pubblico a fruire delle migliori professionalità formatesi sul mercato aziendale privato, che a un corretto impiego del denaro pubblico.

A tale (prudente) conclusione si giunge nella consapevolezza che, diversamente dal rapporto di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione, la qualifica dirigenziale nel settore privato non ha una sua univoca configurazione concettuale, sia per l'assenza di un preciso quadro normativo di riferimento (l'art. 2095 c.c., anzichè indicarne espressamente i caratteri rinvia ai contratti collettivi, nei quali le definizioni di dirigente non presentano sufficienti livelli di idoneità e di puntualità come nella p.a.), sia per la varietà delle attività contrattualizzate nel mondo dell’impresa privata come espressione ed esercizio di funzioni dirigenziali[3].

Infine, nulla quaestio in ordine al secondo elemento – 5 anni di effettivo svolgimento delle funzioni – per il quale non vengono indicate limitazioni circa il periodo di maturazione (ad es. 5 anni nell’arco degli ultimi 10), né in ordine alla necessaria continuità, rectius assenza di soluzioni di continuità, dello svolgimento dell’incarico o degli incarichi dirigenziali.

In altri termini - al di la della scelta del vertice politico di servirsi di quel particolare professionista (e non di un altro) perché ritenuto astrattamente idoneo a perseguire gli obiettivi indicati nel programma di governo, e quale concreta espressione della natura di alta amministrazione dell’atto di nomina della dirigenza generale - la nomina è subordinata all’analisi del possesso dei requisiti previsti dalla legge[4], analisi oggettiva dovendo il soggetto prescelto rientrare nei cennati parametri: esercizio di funzioni dirigenziali, periodo minimo di 5 anni.

Ne consegue che per l’integrarsi della prima fattispecie è alla concreta esperienza manageriale già maturata che il Legislatore ha inteso fare riferimento rinviando, quindi, al provvedimento di nomina a dirigente, alle funzioni affidate con tale provvedimento, all’oggetto ed alla durata del contratto stipulato, ed all’effettivo esercizio delle funzioni (anche relative a più incarichi infraquinquennali) per un periodo minimo di 5 anni.

In questa prima fattispecie, quindi, non viene in alcun modo – direttamente - in rilevo l’esercizio di attività libero professionale per la quale è richiesta apposita iscrizione negli albi professionali.

 

2.2. Quanto alla seconda ipotesi il Legislatore ha inteso, con ogni evidenza, ampliare il novero delle condizioni legittimanti l’affidamento dell’incarico a coloro che, pur non avendo una esperienza manageriale/dirigenziale già maturata, sono in possesso di una esperienza lavorativa – maturata aliunde e non necessariamente in posizioni apicali presso soggetti gerarchicamente strutturati – caratterizzata da una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica, utile a consentire il perseguimento di un interesse pubblico ritenuto meritevole di cura.

Il riferimento è alla maturazione di una concreta e significativa esperienza nei campi espressamente indicati (professionale, culturale e scientifico), ed alla acquisizione nel tempo (almeno 5 anni) di una capacità/idoneità a mettere in pratica tale esperienza che lo stesso Legislatore  definisce “particolare”, cioè propria di quel singolo individuo, e, di contro, non comune a tutti.

Anche l’ambito in cui il possesso di questo specifico requisito deve essere stato maturato è espressamente definito e oggetto di specifica connotazione, facendosi riferimento al campo professionale, a quello culturale e a quello scientifico. 

Tuttavia la norma (a differenza di quanto indicato nella fattispecie precedente) non fissa parametri, ma si limita a formulare criteri utili a operare la verifica della “particolare specializzazione”, e affida alla p.a. designante una valutazione caratterizzata dall’assenza di puntuali ed oggettivi parametri.

E non è dubitabile che si tratta in questa seconda ipotesi di attività certamente più complessa rispetto alla mera verifica del possesso dei requisiti minimi previsti nella prima ipotesi, attività  dai margini più sfumati, in cui la verifica della particolare qualificazione professionale non è ancorata a precisi margini di manovra e in cui, al di la di un comune sentire in ordine alla connotazione minima che l’esperienza culturale, scientifica e professionale maturata deve avere per potere essere ritenuta utile a valutazione, potenzialmente diverso è l’esito di tale analisi a seconda di chi procede alla valutazione stessa.

Il riferimento è ai presupposti legittimanti richiamati nella norma ed alla prescrizione che la “particolare specializzazione” si desuma:

a) dalla formazione universitaria e postuniversitaria;

b) da pubblicazioni scientifiche;

c) da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza.

In concreto, quindi, il tenore letterale della norma:

Ø     rimanda ad una analisi curriculare e documentale in cui non si indicano i parametri minimi per considerare positiva e, quindi, apprezzabile la formazione universitaria e postuniversitaria, o per ritenere decisivo o, funzionale all’incarico, il pregio scientifico delle pubblicazioni edite;

Ø     àncora alla analisi complessiva della significativa esperienza lavorativa maturata (e non al possesso di un singolo requisito), il presupposto dell’affidamento dell’incarico.

E’ nello stesso senso che si muove il riferimento a “concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio”, locuzione nella quale rientra a pieno titolo l’esperienza lavorativa di liberi professionisti iscritti in albi professionali[5].

Ed infatti quella maturata da professionisti iscritti negli albi è esperienza lavorativa qualificata e significativa e, quindi, possibile oggetto di valutazione anche ai fini per cui è parere.

Basti ricordare che  per ottenere l'abilitazione professionale e potersi iscrivere agli ordini, i laureati devono superare l'esame di stato che, per alcune categorie, può essere affrontato solo dopo aver svolto un tirocinio professionale e che gli ordini sono istituti delle professioni per esercitare le quali è necessario il titolo di laurea.

In tal senso proprio il possesso del titolo di laurea e la maturazione di una esperienza almeno quinquennale costituiscono elementi richiesti dal vigente ordinamento nazionale per l’accesso alla dirigenza, circostanza che integra gli estremi espressamente previsti dal legislatore laddove richiede che le “concrete esperienze di lavoro” ultraquinquennali siano state maturate “in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza”.

Pertanto:

Ø     anche l’esperienza di libero professionista iscritto all’albo costituisce presupposto liberamente apprezzabile – come gli altri espressamente indicati - dall’organo conferente per l’attribuzione di incarico dirigenziale a soggetto esterno, e non iscritto nel ruolo unico della dirigenza della Regione siciliana;

Ø     tale apprezzamento, preso atto della circostanza che tale esperienza lavorativo libero professionale deve essere stata svolta per almeno un quinquennio (desumibile dal concreto periodo di iscrizione all’albo),  dovrà concretamente fondarsi sull’esame dell’attività curriculare prospettata dal soggetto nominando.  

 

2.3 Terza, ed ultima, ipotesi prevista dal Legislatore è quella che l’incarico dirigenziale possa essere affidato a soggetti che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato.

Si tratta di ipotesi per la quale non occorre alcuna attività ermeneutica ricollegandosi l’affidamento dell’incarico – non sono, ad esempio, previsti periodi minimi di esercizio delle attività poste in essere dai soggetti – alla mera appartenenza dei designati alle categorie professionali espressamente e tassativamente elencate.

 

Nelle superiori considerazioni è il parere dello Scrivente.

 

A termini dell’art. 15 del regolamento approvato con D.P.Reg. 16 giugno 1998, n. 12, lo Scrivente acconsente alla diffusione del presente parere in relazione ad eventuali domande di accesso inerenti il medesimo.

 

Codesta Amministrazione vorrà comunicare, entro novanta giorni dalla ricezione, l’eventuale possibilità che il parere stesso inerisca una lite, ovvero se intende differirne la pubblicazione sino all’adozione di eventuali provvedimenti amministrativi. Decorso tale termine senza alcuna comunicazione in tal senso si consentirà la diffusione sulla banca dati “FoNS”, giusta delibera di Giunta regionale n. 229 dell’8 luglio 1998.



[1] L’art. 97 della Costituzione repubblicana stabilisce che “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari”.

[2] La sentenza chiarisce anche che “Proprio con riferimento ai dirigenti, del resto, la Corte ha sottolineato che la disciplina privatistica del loro rapporto di lavoro non ha abbandonato le «esigenze del perseguimento degli interessi generali» (sentenza n. 275 del 2001); che, in questa logica, essi godono di «specifiche garanzie» quanto alla verifica che gli incarichi siano assegnati «tenendo conto, tra l’altro, delle attitudini e delle capacità professionali» e che la loro cessazione anticipata dall’incarico avvenga in seguito all’accertamento dei risultati conseguiti (sentenza n. 193 del 2002; ordinanza n. 11 del 2002); che il legislatore, proprio per porre i dirigenti (generali) «in condizione di svolgere le loro funzioni nel rispetto dei principî d’imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione [...], ha accentuato [con il d.lgs. n. 80 del 1998] il principio della distinzione tra funzione di indirizzo politico-amministrativo degli organi di governo e funzione di gestione e attuazione amministrativa dei dirigenti» (ordinanza n. 11 del 2002)”.

[3] Nella prassi delle imprese, a seguito di un lungo percorso di trasformazione dei processi produttivi e dei rapporti aziendali, il dirigente non è più o non soltanto il top manager, l'alter ego dell'imprenditore, colui che collabora direttamente con lui, che ne ha la fiducia, che può disporre di poteri di autodeterminazione (secondo i dettami definiti dalla Cassazione sin dagli anni trenta), poichè si è formata una schiera di dirigenti inferiori, il c.d. low managment, composto da dirigenti tecnici, ricercatori, che, per il fatto di possedere competenze puntuali, legate magari alle caratteristiche tecnologiche di un certo impianto, assumono il ruolo di dirigenti , dirigenti di staff , ecc.  Si tratta, cioè, di personale non dipendente direttamente dal vertice dell'impresa e non investito di ampio potere gerarchico nella organizzazione aziendale, che, seppur direttamente investito dei compiti e delle responsabilità di attuazione è tuttavia estraneo al momento decisionale .

La dirigenza privata è insomma un contesto operativo multiforme e frammentato, in cui la definizione e la caratterizzazione dei profili operativi del dirigente non si rinviene chiaramente ed univocamente nei contratti collettivi spesso caratterizzati da criteri vaghi e tautologici.

 

[4]  Si veda, in proposito, la sentenza n. 127/09 del 25 febbraio 2009 della Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Campania, in ordine alla sindacabilità, nel merito delle scelte discrezionali, operate in sede delle nomine dirigenziali di che trattasi :«Nella specie non è in discussione la scelta .......  di apprestare gli strumenti più idonei al soddisfacimento degli obiettivi dell'ente ( il cd. merito), atteso che è inibito a questo giudice il sindacato sul merito della scelta, a mente dell'art. 3 della legge 639/1996: in termini Sezione III Centrale, sentenza n. 160/2000.

Di converso non possono “sotto lo scudo del merito” essere sottratti a valutazione di liceità amministrativo-contabile i “modi di attuazione della scelta discrezionale (di ogni scelta discrezionale) alla luce del parametro della conformità a criteri di ragionevolezza ed economicità”; rientra, infatti, nel potere-dovere del giudice contabile l'accertamento di tutti i fatti e comportamenti causa di danno erariale e la loro imputabilità o meno al soggetto chiamato a risponderne: così le SS.RR. Di questa Corte nella decisione n. 4/A del 1999».

[5] Nell'ordinamento italiano gli ordini professionali - enti di diritto pubblico col compito precipuo di tutela dei cittadini riguardo a prestazioni professionali che, essendo di tipo intellettuale - sono l'istituzione di autogoverno di una professione riconosciuti dalla legge, col compito di tutelare la qualità dello svolgimento dell'attività svolta dai professionisti, cui lo Stato ha affidato il compito di tenere aggiornato l'albo e di tutelare la categoria professionale e il codice deontologico. Gli ordini sono posti sotto la vigilanza del Ministero della Giustizia.