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Gruppo XIV /223.99.11

OGGETTO: Lavoro.- Diritti e doveri dei lavoratori. Diritti sindacali. Contratto integrativo operai agricoli-forestali. Interpretazione.

ASSESSORATO REGIONALE
AGRICOLTURA E FORESTE
Direzione foreste
(Rif. nota n. 16725/Gr. 2° del 23-6-99)
P A L E R M O

1.- Con la nota emarginata si rappresenta che le organizzazioni sindacali firmatarie del contratto integrativo regionale di lavoro (CIRL) per gli operai addetti ai lavori di sistemazione idraulico forestale e idraulico agrario, non hanno condiviso un'interpretazione resa dallo scrivente, con nota n. 22708/174.98.11 del 1° dicembre 1998, in ordine alla sostanziale interdipendenza tra le previsioni recate dall'art. 14 e dall'art. 15 del medesimo CIRL, relative in particolare a "permessi sindacali" ed a "permessi sindacali regionali".
In occasione del citato parere questo Ufficio, nella considerazione che le disposizioni recate in tema di permessi sindacali dal contratto integrativo in discorso, "non possono non interpretarsi sistematicamente", aveva affermato che "sembra ragionevole ritenere che i permessi retribuiti cui fa riferimento l'art. 15 siano quelli previsti e disciplinati dal precedente art. 14".
Le organizzazioni sindacali sopraindicate, alle quali è stato esternato l'orientamento espresso dall'Ufficio, hanno, di contro, formalmente contestato la soluzione ermeneutica prospettata, rilevando che gli artt. 14 e 15 di che trattasi riguardano e disciplinano fattispecie sostanzialmente diverse, ed in particolare il primo concerne i "permessi sindacali",ed il secondo i "distacchi sindacali", la cui regolamentazione fondamentale si ritrova nel corrispondente contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL), e la cui disciplina, per quanto di competenza regionale, è dallo stesso contratto (art. 2, lett. h)) demandata alla negoziazione integrativa regionale.
Sulla questione, e quindi, in buona sostanza, sull'effettiva portata delle disposizioni in questione, si chiede l'avviso dello scrivente.

2.- Ai fini della soluzione della problematica proposta appare necessario svolgere, preliminarmente, talune considerazioni in ordine all'attività di interpretazione.
Per effetto della natura privatistica dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro postcorporativi, la loro interpretazione è soggetta alle regole generali per l'interpretazione dei contratti recate dagli artt. 1362-1371 del codice civile (cfr. Cass. 19 marzo 1986, n. 1921).
L'art. 1362 c.c., in particolare, che costituisce il fulcro dell'intera disciplina dell'interpretazione negoziale del nostro ordinamento giuridico, la norma-principio che definisce la stessa interpretazione, nel disporre, al primo comma, l'obbligo di "indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole", contiene quell'idea di interpretazione del contratto quale ritorno conoscitivo, e quindi ricostruttivo, al momento della dichiarazione interpretanda e la distinzione tra i due momenti principali di essa: il grammaticale o filologico ed il logico o contenutistico.
In via generale si osserva che il primo dei metodi interpretativi (cfr.: Fabio Ziccardi, voce "Interpretazione del negozio giuridico", in Enciclopedia giuridica Treccani), nonostante l'apparente svalutazione datane dal testo dell'art. 1362, consiste nell'accertamento del significato delle singole parole impiegate dalle parti nel testo, e quindi nel significato, che pur inizialmente individuale, risulta essersi fuso in una intenzione comune.
Ed invero, secondo le costanti pronunce giurisprudenziali (cfr.: Cass., 2 dicembre 1974, n. 3929, 11 marzo 1983, n. 1845, 13 aprile 1985, n. 2450) l'interpretazione di una dichiarazione negoziale va condotta in base alle parole che compongono la formulazione letterale della dichiarazione medesima, da cui va rilevata l'intenzione del dichiarante, se si tratta di dichiarazione negoziale unilaterale, o la comune intenzione delle parti, se si tratta di dichiarazione bilaterale o plurilaterale. Nel processo interpretativo, da condursi secondo questo criterio fondamentale, si deve tener conto di tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, collegando e raffrontando frasi o parole al fine di chiarirne il significato; e può negarsi valore a singole frasi o a singole parole solo quando risulti con certezza che siano sovrabbondanti od inutili, dovendosi, invece, in mancanza di tale certezza, attribuire ad ogni frase o parola il significato che è loro proprio, ed utilizzarlo, ai fini ermeneutici, insieme al significato proprio delle altre frasi o parole che compongono la dichiarazione negoziale.
Peraltro, per capire il significato proprio di un termine, ben potrà farsi riferimento non soltanto al significato di esso nel comune lessico nazionale, bensì anche a quello che lo stesso assume in precedenti usi individuali o comuni delle parti, in comportamenti o manifestazioni successive, in consuetudini locali, in determinati od analoghi tipi contrattuali, in altre parti dello stesso contratto, o di altri a cui il medesimo si riferisca, ove viene impiegato lo stesso termine.
Per quanto concerne poi specificatamente la contrattazione collettiva, la comune volontà delle parti di cui all'art. 1362 c.c. deve essere desunta non già attraverso una puntuale ricostruzione della volontà degli stipulanti, bensì in funzione di ciò che nelle clausole del contratto collettivo appare obiettivamente voluto, così da comporre l'eventuale dissenso delle singole volontà nell'unità di intento che si può desumere obiettivamente dalla formula contrattuale. Conseguentemente l'elemento letterale del contratto è il primo e fondamentale criterio per indagare la comune intenzione delle parti, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri ermeneutici quando le espressioni testuali siano sufficientemente chiare, precise ed adeguate per cogliere la detta intenzione comune (Cass. 3 aprile 1979, n. 1923).

3.- Alla luce degli espressi principi, lo scrivente, dovendo interpretare il contenuto degli articoli 14 e 15 del contratto integrativo in discorso, e rilevata l'esatta identita dei termini ivi utilizzati (permessi sindacali), non ha potuto che attribuire agli stessi un uguale significato; ciò, tenuto altresì presente che il contratto collettivo nazionale da cui l'integrativo trae origine e fondamento differenzia invece, ovviamente anche lessicalmente, le fattispecie relative ai permessi ed ai distacchi.
Pertanto, non riscontrandosi analoga differenziazione nel contratto regionale non si è potuto, coerentemente con i surrichiamati canoni ermeneutici, che interpretare la volontà delle parti che come diretta a disciplinare esclusivamente l'ipotesi dei permessi sindacali, siano essi concessi per consentire ai dirigenti sindacali l'attività interna che quella esterna al luogo di lavoro.
Non appare infatti consentito all'interprete ritenere che l'utilizzo di un determinato termine sia conseguente ad improprietà lessicale o ad un non corretto utilizzo della lingua italiana.
Ancora, peraltro, si osserva che neppure il raffronto con le disposizioni del contratto collettivo nazionale di lavoro vigente all'epoca della stipula dell'integrativo regionale - e le cui disposizioni in parte qua risultano sostanzialmente confermate dal successivo CCNL 6 marzo 1995 - poteva indurre l'interprete ad una diversa conclusione. Ed invero non tutte le materie demandate, dall'art. 2, alla contrattazione integrativa regionale risultano dalla medesima disciplinate (cfr., a titolo esemplificativo, la materia relativa a "missioni e trasferte", ovvero all'"indennità di mancato ricovero ad uso mensa"), e pertanto non poteva oggettivamente ritenersi che si fosse voluto, con l'art. 15, rubricato "Permessi sindacali regionali", disciplinare la diversa materia dei "distacchi sindacali di competenza regionale" cui ha riguardo il citato art. 2 del CCNL, e che vengono altresì citati dall'art. 5 dello stesso contratto collettivo.

4.- Premesse le superiori considerazioni, non ci si esime dal rilevare che qualora codesta Amministrazione, anche in considerazione dell'attuazione sinora data alle disposizione di che trattasi - prassi che costituendo un uso negoziale può, di fatto, costituire anch'essa un mezzo di interpretazione, ma che risulta, allo stato degli atti e degli elementi forniti, assolutamente ignota allo scrivente - dovesse ritenere che in realtà la posizione delle organizzazioni sindacali abbia un fondamento, ben potrebbe procedersi ad una interpretazione autentica della specifica clausola contrattuale.
Ed invero, nel nostro ordinamento è da ritenersi pienamente legittima un'interpretazione autentica stipulata dalle parti contraenti, le quali peraltro, essendo del tutto libere, nella logica propria dell'autonomia contrattuale, di porre in essere negozi di accertamento sia per il futuro che per il passato, possono anche prevedere che la clausola interpretativa operi retroattivamente.
Con tale figura, ancorchè atipica, di contratto, le parti, in realtà, non dispongono di diritti, bensì mirano ad eliminare l'incertezza relativa a situazioni giuridiche fra esse intercorrenti, e si vincolano reciprocamente ad attribuire al fatto o all'atto preesistente gli effetti che risultano dall'accertamento contrattuale, con preclusione di ogni ulteriore contestazione al riguardo. Il rapporto giuridico, in tal modo, trova pur sempre la propria fonte nel fatto o nell'atto che l'aveva originariamente prodotto, ma il negozio di accertamento fa sì che gli effetti prodotti dalla fonte originaria siano quelli di comune accordo accertati (cfr. Luigi Cavallaro, Note (critiche) sull'interpretazione "autentica" dei contratti collettivi di lavoro nel settore pubblico, in Nuove Autonomie 3/1996).

5.- Conclusivamente, a termini dell'art. 15, comma 2, del "Regolamento del diritto di accesso ai documenti dell'Amministrazione regionale", approvato con D.P.Reg. 16 giugno 1998, n. 12, lo scrivente comunica preventivamente di acconsentire alla diffusione del presente parere in relazione ad eventuali domande di accesso inerenti il medesimo.
Codesta Amministrazione vorrà comunicare, entro novanta giorni dalla ricezione, l'eventuale possibilità che il parere stesso inerisca ad una lite, ovvero se intenda differirne l'accesso fino all'adozione di eventuali provvedimenti amministrativi cui la richiesta consulenza fosse preordinata. Decorso detto termine senza che sia pervenuta alcuna comunicazione in tal senso, si procederà, giusta delibera della Giunta regionale n. 229 dell'8 luglio 1998, all'inserimento del presente parere nella banca-dati "FoNS", ed alla conseguente diffusione.




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