Gruppo II Prot. N. /266.01.11


Oggetto: Annullamento in autotutela di atto di inquadramento in qualifica superiore relativo a un dipendente cessato dal servizio.




Allegati n...........................


Dipartimento regionale
del personale, dei servizi generali,
di quiescenza, previdenza
ed assistenza del personale
P A L E R M O


1. Con la nota suindicata è stato chiesto l'avviso dello Scrivente sulla seguente questione.
L'Assessorato regionale degli enti locali ha trasmesso a codesto Dipartimento, in data 27 luglio 2001, uno schema di provvedimento relativo all'annullamento in autotutela, con efficacia ex tunc , di un precedente decreto del 1987 di inquadramento nella qualifica di dirigente superiore relativo a un dipendente cessato dal servizio nel 1994.
Codesto Dipartimento nutre perplessità sull'opportunità di procedere all'annullamento del predetto atto per carenza d'interesse, poiché la conseguenziale modifica del provvedimento di quiescenza non sarebbe possibile alla luce di quanto disposto dagli artt. 203 e s.s. del T.U. 1092 del 1973 che prevedono la revoca o la modifica di tali provvedimenti solo nelle ipotesi e alle condizioni ivi previste; infatti, riferisce sempre codesto Dipartimento, l'Avvocatura dello Stato chiamata ad esprimersi in un caso analogo ha rilevato che "un eventuale annullamento in autotutela sarebbe illegittimo per eccesso di potere... ciò perché l'esercizio dell'autotutela è inutilmente espletato riguardo a situazioni, come la presente, che siano totalmente esaurite, abbiano esplicato in maniera esaustiva ed irreversibile i propri effetti che non siano in alcun modo più modificabili".

2. Come correttamente osservato dall'Avvocatura dello Stato, la revoca e la modifica del provvedimento definitivo concernente il trattamento di quiescenza può essere disposto in ipotesi tassativamente stabilite (art. 204 DPR 1092/1973) e, precisamente , allorchè vi sia stato un errore di fatto, oppure sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti (lett. A), oppure vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo di riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità, o nella applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l'ammontare della pensione (lett B)) oppure siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l'emissione del provvedimento (lett. C)), od, infine, quest'ultimo sia risultato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi (lett. D)).
Nelle prime due ipotesi, la revoca o la modifica non potranno essere disposte oltre il termine di tre anni dalla data della sua emanazione. Nelle ipotesi residue, il termine è di sessanta giorni e decorre dalla data di rinvenimento dei nuovi documenti o dalla notizia della riconosciuta o dichiarata falsità dei documenti. Tali termini hanno natura decadenziale.
Quindi, essendo trascorsi, nella fattispecie, oltre sette anni dalla data di emanazione del provvedimento concessivo della pensione, si ritiene che, sulla base dei principi sopra illustrati, lo stesso non sia più suscettibile di revoca o modifica e comunque, anche se si procedesse all'annullamento del decreto del 1987, tale annullamento non produrrebbe effetti nei confronti del dipendente de quo , stante l'immodificabilità del trattamento di quiescenza già concesso, come pure affermato nel richiamato parere dell'Avvocatura dello Stato.

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Si ricorda che in conformità alla Circolare presidenziale 8 settembre 1998, n. 16586/66.98.12, trascorsi 90 giorni dalla data di ricevimento del presente parere senza che codesta Amministrazione ne comunichi la riservatezza, lo stesso potrà essere inserito nella banca dati "FONS".


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