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OGGETTO: Classificazione delle case di cura privata in "fasce funzionali" (D.M. 30.6.1975) - Rapporti con la successiva legislazione.

   
   
                                   ASSESSORATO REGIONALE SANITA'            
                                                                                                           P A L E R M O

   
               1. Con lettera 17 novembre 1998, n. 2N23/3452 - integrata con successiva nota 21 dicembre 1998, n. 2N23/3781 - codesto Assessorato ha sostanzialmente posto all'Ufficio i tre seguenti quesiti:
   1) se la riforma sanitaria introdotta dal D.L.vo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modifiche - in particolare la sostituzione dell'istituto del "convenzionamento" con quello dello "accreditamento" delle case di cura private presso il Servizio sanitario nazionale - abbia o meno travolto l'obbligo della classificazione delle stesse case di cura in "fasce funzionali", prescritto dal decreto del Ministro per la sanità 30 giugno 1975;
   2) se il predetto obbligo sia comunque vigente ai fini dell'autorizzazione all'apertura delle case di cura private di alta ed altissima specialità; le quali, ai sensi del decreto dell'Assessore regionale per la sanità 4 aprile 1992, n. 98734 - devono fra l'altro essere classificate in fascia "A";
   3) se, ove necessaria, "l'attribuzione di fascia funzionale A debba farsi con un provvedimento espresso".
             In merito alle questioni testè enunciate, codesto Assessorato si limita a fare presente che i due gruppi di lavoro competenti nella materia (23°, II Direzione e 41° IRS) "propendono per orientamenti interpretativi contrapposti".
   
               2. Il D.M. 30 giugno 1975 - recante, ai sensi dell'art. 18 della legge 17 agosto 1974, n. 386, gli schemi di convenzione tra le regioni e gli enti nello stesso D.M. indicati - prevede che le case di cura private, "ai fini della corresponsione della diaria di degenza e dell'eventuale compenso ai sanitari curanti", vengano assegnate a quattro "fasce funzionali" (denominate A, B, C e D), individuate in base al possesso dei requisiti (prescrizioni igienico-edilizie, servizi, attrezzature, dotazioni di personale) specificati per ciascuna di esse.
               Con D.M. 5 agosto 1977 e poi con D.P.C.M. 27 giugno 1986 sono stati determinati i requisiti per l'autorizzazione all'apertura delle case di cura private; mentre altri provvedimenti - il D.M. 22 luglio 1983 e il D.M. 16 giugno 1990 - hanno rispettivamente dettato un nuovo schema tipo di convenzione, nel quale risulta di fatto mantenuta la correlazione tra la diaria di degenza e le fasce funzionali, nonchè i nuovi criteri per la classificazione delle case di cura private nelle predette fasce funzionali.
               La riforma introdotta dal D.Leg.vo n. 502/1992 ha, come è noto, profondamente inciso sull'intero assetto del Servizio sanitario nazionale; e dunque, per quanto qui interessa, anche nei rapporti dello stesso Servizio sanitario nazionale con le strutture sanitarie private.
               Tali rapporti, infatti, nel nuovo sistema non sono più fondati sul convenzionamento, bensì sull'accreditamento delle strutture interessate; vale a dire: da un lato sul possesso dei requisiti minimi fissati in sede statale ed eventualmente integrati dalle Regioni (art. 8, commi 4 e 7 del D.leg.vo n. 502/1992) e dall'altro su un sistema retributivo "a prestazione", cioè commisurato alla tipologia della prestazione stessa.
   Nel quadro di tali innovazioni, importanti provvedimenti statali (D.M. 15 aprile 1994 e D.M. 14 dicembre 1994) hanno rispettivamente classificato tutte le possibili prestazioni ospedaliere di ricovero e cura in raggruppamenti omogenei di diagnosi (ROD) e stabilito le relative tariffe, poi concretamente determinate in sede regionale con D.A. 7 novembre 1995. Successivamente il D.P.R. 14 gennaio 1997 ha stabilito i requisiti minimi per l'esercizio delle attività sanitarie e la nuova classificazione delle strutture sanitarie secondo i criteri ivi individuati.
   
               3. La breve rassegna che precede evidenzia - quanto all'interazione tra case di cura private e Servizio sanitario nazionale - la seguente evoluzione legislativa.
               Il sistema del D.M. 30 giugno 1975 - fondato sul convenzionamento delle strutture interessate - presenta in sostanza una commistione tra requisiti tecnici e organizzativi delle stesse strutture e criteri di remunerazione delle prestazioni da esse erogate. Nel senso che i predetti requisiti da un lato concorrono a determinare i presupposti per l'autorizzazione all'esercizio delle case di cura e dall'altro, condizionando la relativa classificazione in "fasce funzionali", servono in ultima analisi, come sopra si è visto, da parametro cui rapportare le rette di degenza.
               La legislazione successiva al D.M. 30 giugno 1975 ed anteriore alla riforma del 1992 appare già volta a separare la disciplina dei requisiti tenici ed organizzativi delle case di cura da quella delle convenzioni delle stesse con il Servizio sanitario nazionale; anche se in essa permane, per quanto riguarda i relativi criteri remunerativi, la rilevata collusione, sempre mediata dalle "fasce funzionali", con i requisiti tecnici ed organizzativi.
               Questa linea evolutiva appare definitivamente espressa nel nuovo assetto introdotto dal D.leg.vo n. 502/1992, dominato dal principio dell'accreditamento; il quale, dopo avere posto sullo stesso piano le strutture sia pubbliche che private, ha altresì reciso, come logica conseguenza della cennata omogeneizzazione, ogni collegamento tra la remunerazione delle prestazioni e le caratteristiche tecnico-organizzative delle strutture interessate, ponendo l'altro basilare principio della remunerazione a prestazione. Ciò che sul piano della normazione positiva risulta - giova ribadirlo - dal fatto che provvedimenti distinti ed autonomi hanno disciplinato da un lato le prestazioni e le relative tariffe e dall'altro i requisiti minimi necessari per l'esercizio dell'attività sanitaria.
               Considerata pertanto la profonda differenza, specialmente in tema di remunerazione, che corre tra il nuovo sistema descritto e quello ad esso precedente, non può che dedursene, secondo questo Ufficio, che la recente riforma sanitaria ha di fatto travolto, in quanto non più necessaria, la classificazione in fasce funzionali delle strutture private, fin dal suo apparire preordinata alla determinazione delle rette di degenza. Nel senso di tale conclusione può leggersi il D.M. 1 febbraio 1991, che sospendeva l'adeguamento delle case di cura al nuovo assetto di fasce funzionali stabilito nel D.M. 16 giugno 1990, subordinandolo "all'emanazione della legge sul riordinamento del servizio sanitario nazionale"; nell'implicito presupposto che la legge - come di fatto è avvenuto, secondo lo scrivente, con il D.leg.vo n. 502/1992 - avrebbe potuto rendere superfluo quell'adeguamento.
   
               4. Passando al secondo quesito, va preliminarmente osservato che il problema della collusione fra strutture sanitarie di alta e altissima specialità e fasce funzionali non sembra porsi in sede nazionale; in quanto la disciplina fondamentale dello Stato nel settore (D.M. 29 gennaio 1992) emanata alla stregua dell'art. 5 della legge 23 ottobre 1985 n. 595, pone autonomamente i requisiti per l'esercizio delle attività di alta specialità, che non appaiono collegati alle predette fasce funzionali, nè in particolare alla fascia "A" di cui al D.M. 30 giugno 1975.
               Il problema, comunque, sempre in sede statale, appare definitivamente superato nel nuovo assetto posto dal D.leg.vo n. 502/1992. In tale sistema, infatti, le strutture sanitarie eroganti prestazioni di alta specialità senza dubbio confluiscono anch'esse - quanto ai requisiti minimi necessari - nell'unica classificazione stabilita dal sopra citato D.P.R. 14 gennaio 1997, il cui art.4, secondo comma, lett. b) dispone che le strutture che erogano prestazioni in regime di ricovero ospedaliero a ciclo continuativo o diurno possono fra l'altro essere distinte, in relazione alla tipologia dell'istituto, in "aziende ospedaliere di rilievo nazionale e di alta specializzazione". Il che equivale a dire che neanche la più recente legislazione statale sembra porre alcun nesso fra esercizio di attività di alta specialità e fasce funzionali.
               Per quanto riguarda poi la Regione siciliana, il problema in esame, pur partendo da premesse opposte a quelle riscontrate in sede statale, sembra risolto dalla stessa normativa regionale oggi vigente.
               Vero è infatti che il D.A. 4 aprile 1992, n. 98734 richiede per le strutture destinate ad esercitare alta o altissima specialità la classificazione in fascia "A"; ma tale prescrizione risulta di fatto vanificata dal successivo D.A. 22 luglio 1997, n. 2273, che pone l'obbligo a tutte le case di cura private di adeguare gli standard alla ex fascia "A"; essendo ovvio che i requisiti di cui trattasi, ormai richiesti a tutte le case di cura private, a maggior ragione devono essere posseduti da quelle impegnate nel campo dell' alta specialità.
               Con l'ultimo quesito, infine, si intende conoscere se il possesso dei requisiti di fascia "A" da parte delle case di cura private, derivante dall'art. 1 del D.A. n. 98734/1992 ovvero dall'art. 3 del D.A. n. 2273/1997, debba o meno risultare da apposito provvedimento.
     Al riguardo va preliminarmente rilevato che l'accertamento del possesso dei predetti requisiti non sembra più, oggi, da collegare al citato D.A. n. 98734/1992, che ne impone il possesso alle sole case di cura di alta specialità, bensì all'altro D.A. pure sopra citato (n. 2273/1997), che li estende, come si è detto, a tutte le strutture interessate senza distinzione di tipologia.
               A questo punto appare determinante che gli stessi requisiti di fascia "A", sebbene attualmente imposti nella nostra regione a tutte le case di cura, non siano più preordinati - come si è ampiamente dimostrato - né in sede statale, né tanto meno in sede regionale, alla quantificazione delle rette di degenza.
               Tale considerazione, infatti, induce a ritenere che non sia più necessario alcun provvedimento di classificazione vera e propria delle strutture interessate nella fascia "A"; ma al tempo stesso a non escludere che l'Amministrazione vigilante accerti, nel modo ritenuto più opportuno, l'avvenuto adeguamento alla prescrizione di cui all'art. 3 del vigente D.A. n. 2273/1997.
               Trattandosi comunque di questioni che richiedono per ovvi motivi un'unica soluzione in tutto il territorio nazionale, si suggerisce di acquisire al riguardo, per quanto non circoscritto all'ambito regionale, l'avviso dei competenti organi dello Stato.
   
   

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